Denominazione Basilicata

date

1874

author

Homunculus [Giacomo Racioppi]

title

Storia della denominazione di Basilicata [estratto 1]

bibliography

  • Storia della denominazione di Basilicata, Roma, Tipografia Barbera, 1874, pp. 13-16.

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DERIVAZIONE ETIMOLOGICA DELLA PAROLA «BASILICATA»

Leandro Alberti, uno che fu dei primi dopo il risorgimento delle lettere il quale scrivesse delle cose geografiche d'Italia, viaggiando per le regioni del Regno nel 1526, arrivò in certe parti di Basilicata, da quel lato che è accosto all'aperta valle del Tanagro o di Diano; e —convien confessarlo non ebbe egli a ritrarne una troppo gradita impressione, se, oltre a molte reminiscenze dell'antica geografia ed a parecchi spropositi di geografia moderna, non gli viene ricordato altro di più segnalato o di più leggiadro alla regione, che selve e boscaglie, «ove sogliono nascondersi ed annidare (egli diceva) i ladroni». L'asperità delle vie, le difficoltà del cammino, le paurose ansie del viaggio ebbero ad imprimersi nella memoria di lui con ben triste efficacia: dappoiché dimandando onde fosse venuto che il vasto paese da Lucania che era detto nell'antichità, passò a dirsi presso i moderni Basilicata: «può essere, egli risponde, che traesse il nome dall'asperità e difficoltà dei monti che vi sono e delle vie tortuose, sassose e fangose nei tempi del verno, tanto fastidiose e faticose come un Basilisco».

Fra' Leandro, da buon monaco che egli era, ricordava l'Apocalisse e credeva nel Basilisco: anche la mia vecchia e buona bàlia, nella sua sapienza riposta, credeva in questo re coronato dei serpenti; e nelle veglie invernali di noi fanciulli accanto al fuoco: nasce, diceva, il basilisco dall'uovo covato dagli occhi di un gallo di cento anni, e verrà su alla luce del mondo, quando a Dio piacerà di mandarlo, precursore della fine del mondo! Questa indefinita e misteriosa immagine dell'animale apocalittico determinò senza dubbio, per recondito nesso di idee, i nostri antichi eruditi a ricercare il significato e l'origine della parola Basilicata. Or non sarebbe egli a trovare in questa stessa immagine - recondito riflesso di memorie nostre infantili- la ragione ignorata e suprema, che oggi stesso determina noi a volere sbarazzarci di un nome, il quale ricordando

«Chersi, chelidri, jaculi e faree,»

pare che rechi offesa alla nostra boria, o faccia macchia alla nostra nobiltà?

Il Pontano, letterato, storico e statista, alla dimanda stessa rispondeva: jure anceps est, ac dubium. «Suppongono alcuni, diceva, che questa provincia fosse stata donata, a titolo di dote, da un imperatore bizantino ad una sua figliuola». (E qui non veggo io punto, né credo vedesse meglio il Pontano quale ligame etimologico sia tra la dote di una fanciulla e la regione dei basilischi di Fra' Leandro). Altri, aggiungeva lo storico, la vogliono così denominata da un qualche Basilio, nobile e forte uomo; noi per altro lasceremo la quistione discifrarla ai posteri:nos quæstionem hanc posteris melius inquirendam relinquimus».

Ardua quistione... davvero, se ne valesse la pena!

Ma la storia è un tessuto di grandi e di piccoli problemi, come tutte le cose di questo mondo intricato; e perché il tessuto sia intero e perfetto, non è tempo perduto che altri s'ingegni a sgroppare il nodo di un filo aggrovigliato, o riempire la lacuna di una maglia smarrita.

Sulla seconda delle ipotesi del Pontano ricamarono tutti coloro che ebbero a scrivere delle cose di quella provincia dopo il Pontano.

Al Giannone, per esempio, pareva «facile» la risposta a questo minuscolo quesito tra i tanti della Storia civile del regno di Napoli. Esso afferma, senza più, che come egli avvenne che dal magistrato del Catapano i Greci diedero il nome di Capitanata ad una grande parte della Puglia, così «nei tempi di Basilio imperatore greco, o di qualche altro suo capitano del medesimo nome...acquistò una parte di Lucania il nuovo nome». Argomento di analogia che, logicamente, pare a me, vaglia poco; ma val qualche cosa, senza dubbio, come argomento di analogia storica. E dato l'aire sulla via dei patronimici, da un Basilio qualunque era facile di arrivare di galoppo a quel Basilio Bugiano, che fu Catapano delle Puglie nel 1010 e capitano di Greci nelle mischie contro i Normanni nella Italia Meridionale, e che ha lasciato un nome non affatto ignoto tra le reliquie della storia italo-bizantina. Costui, dicono, fondò o ricostrusse Troia, Dragonara, Ferentino e non so quale altra città; o perché non poteva egli dare, almeno, il nome alla Basilicata?

E Monsignor Lupoli ne è così securo lui, che è lì pronto a farne scommessa - deposito pignore - con chicchessia. E il Lupoli era un erudito, sagace e pien di buon senso, che non è veramente il viatico più ricco dei nostri archeologi discorritori pei campi delle antichità napoletane. Egli dà ancora un passo innanzi. «Certamente, la provincia di Capitanata, dice lui, fu detta da questo Basilio Bugiano; non può dubitarsene: or come non verrebbe, o perché non verrebbe (soggiunge) da questo stesso nome il nome eziandio alla Basilicata? I tempi rispondono a capello, adamussim: così è; non ci è mestieri di altra prova».

I Ed infatti è bastato: tutti gli scrittori nostrani accettano la discendenza in linea retta del Catapano Basilio: e la cosa, non che provata, è giudicata.

Ma la prova, ohimè! resta ancora a fare, — almeno conto mio.

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