Denominazione Basilicata

date

1899

author

Ciccotti, Ettore

title

La Basilicata [estratto 8]

bibliography

  • Gazzetta Letteraria, a. XIII, n.21 del 25 maggio 1889, pp. 162-163.

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(L’emigrazione – parte seconda)

Ma quello che soprattutto ha determinata la larga corrente dell’emigrazione, è stato un fatto che ha colpito ugualmente proprietari e lavoratori ed ha dato origine alla crisi agraria. Come già saprà chi ha letto qualche cosa sulla Basilicata e specialmente il pregevole libro del Franchetti, in quella provincia, più che la mezzadria od altre forme di colonia, vige un contratto colonico, per cui il contadino prende, di solito per la durata di tre o di sei anni, degli appezzamenti di terra, che egli coltiva a suo rischio e pericolo, pagando in genere un determinato prezzo di locazione.

E poiché il contadino non ha dimora fissa sul campo colonico, e la coltivazione è molto imperfetta e superficiale, egli suole anche lavorare a giornata al servizio di chi lo chiama, ed assolda anch’egli altri per essere aiutato ne’ lavori campestri: così quasi ogni contadino, mentre è un giornaliero, è anche di solito un produttore. Anzi, giacché la mercede di giornaliero è incerta, e non gli dà luogo a risparmi, costituisce soltanto una ripresa; ma è sulla vendita del genere da lui prodotto che conta per poter sopperire a tutti i suoi bisogni. Così stando le cose, il rapido e progressivo svilimento del prezzo dei cereali è riuscito di notevole danno anche pe’ contadini; poiché il genere da loro prodotto, quando non rimaneva invenduto, fruttava loro pochissimo, e, nel generale rincarimento d’ogni altra cosa, ciò creava loro grandi svantaggi.

La mercede della mano d’opera, nell’universale rincaro, è anch’essa contemporaneamente salita in molti luoghi; ma i contadini neppure hanno potuto trarne profitto, perché, tranne che per le vigne, non coltivando i proprietari direttamente la terra a loro spese e non essendovi grandi fittaiuoli, i contadini stessi che nella loro qualità di produttori impiegano l’opera di altri, sentono pe’ primi gli effetti della mano d’opera rincarata.

Onde è nato che la coltura de’ cereali, come poi quella de’ vigneti, non è stata più remuneratrice, e n’è venuto l’abbandono della terra e l’emigrazione tanto più crescente, in quanto ad incoraggiarla si sono succeduti i cattivi ricolti. Chi ha voluto restringere in un punto solo le cause dell’emigrazione, non ha posto a mente questo: che al malessere dei contadini faceano riscontro le strettezze sempre maggiori dei proprietari, e che mentre i contadini erano costretti ad emigrare, la piccola proprietà, già fonte d’agiatezza, era pienamente rovinata.

Ora, se l’emigrazione fosse un bene od un male, è una domanda che si sono rivolta molte persone, e ciascuna vi ha risposto in vario modo: molti soprattutto, nel rispondervi, movendo da’ principi troppo generali, hanno fatta completa astrazione dal paese, di cui parlavano.

Tale domanda se la rivolse sin dal 1874 il Franchetti nella sua ammirevole pubblicazione sulle condizioni economiche ed amministrative dell’Italia meridionale, ed a lui parve, e non a torto in quel momento, che potesse essere un bene.

Certamente se si fosse contenuta in limiti modesti e si fosse manifestata, dirò così, come un fenomeno fisiologico e non patologico, l’emigrazione sarebbe stata un fatto benefico. Mentre sarebbe stato un utile diversivo per un paese già così fieramente travagliato da una piaga sociale come il brigantaggio, avrebbe migliorate le condizioni de’ proletari e delle classi meno abbienti, elevando il prezzo della mano d’opera, ed avrebbe, a lungo andare, riportato nel paese que’ capitali operosi di cui ormai difettava. Ma, allorché il Franchetti scriveva, l’emigrazione era ben lungi dall’assumere le proporzioni inquietanti che poi assunse, e non era nemmeno in vista la crisi agraria. L’emigrazione permanente per paesi non europei, che nel 1876 annoverò per tutta la Basilicata appena 1006 persone, discese a 911 nel 1877, e poi con movimento quasi sempre progressivamente ascendente salì nientemeno che a 12.058 nel 1887. L’emigrazione è composta in gran parte di agricoltori, e difatti l’emigrazione del 1887 comprendeva di agricoltori 5327 maschi e 2177 donne, ed in realtà ha avuto per effetto di aumentare, specialmente dove il territorio era più vasto o più coltivato, il prezzo della mano d’opera; ma questo risultato, che sarebbe stato ben auspicato in altre condizioni, com’è detto innanzi, non ha avuto altro effetto che di spopolare e di indesertire le campagne.

Ed ogni torma di emigranti che parte non agevola la risoluzione del problema, ma lo aggrava, e quelli che restano non si trovano in condizione migliore, ma peggiore di prima; onde il contingente dell’emigrazione invece di trovare il suo climax e di pigliare un movimento discendente, non fa che salire, e salirà fino alla completa spopolazione del paese.

Quale sia la condizione di cose fatta agli emigranti ne’ punti di arrivo, non è il caso di discutere qui; certo è che buona parte, il 51,87% nel 1886 ed il 42,61% nel 1887 degli emigranti permanenti della Basilicata è partito con la famiglia, cioè per non più ritornare, ed altri dalla famiglia si sono fatti seguire dopo il loro arrivo.

La massima parte non torna, o torna più povera di prima, e in ogni modo quel preveduto ritorno di capitali fruttiferi non si è verificato. Congiunta così alla crisi, che ne fa male necessario, l’emigrazione si può dire esiziale alla Basilicata, e colpisce quelli che vanno e quelli che restano, proprietari e contadini; e al di sopra degli interessi di regione e di classi vi è un più grave interesse che si impone, quello della economia pubblica nazionale, poiché sono le nostre maggiori forze produttive che si stremano e si esauriscono. Non vi sarebbe una ragione al mondo per commuoversi del disagio di qualche migliaio di possidenti; ma dacché gli strumenti della produzione sono in mano loro il disagio si ripercote su tutti. Specialmente ne’ due circondari di Lagonegro e di Potenza, meno adatti alla coltura della vite, dell’olivo e di altre piante arboree, soprattutto da che l’emigrazione è venuta crescendo, è uno spettacolo desolante di campi abbandonati e deserti, di villaggi spopolati; l’agricoltura, cioè l’unica sorgente di produzione, ridotta agli estremi; grande e pur sempre crescente la miseria; e se vi è qualcosa che possa essere più triste del presente, è il presagio dell’avvenire, perché non si vede speranza di meglio e non si ha confidenza in rimedi; giacché tutti quelli che quando il male era minore sembravano rimedi opportuni e infallibili sono stati sperimentati, e, perché inefficaci o malamente messi in atto, non solo non hanno apportato quella redenzione economica e morale che se ne aspettava, ma hanno lasciato il paese, sarei per dire, peggio quasi che non l’avevano trovato.

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