La linea ferroviaria Rocchetta Sant’Antonio - Gioia del Colle

date

1893-08-15

author

Fortunato, Giustino

title

La “fermata” di Rapolla e la stazione di Rocchetta. Lettera del deputato Fortunato al sindaco di Rapolla [parte II]

summary

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E qui, egregio signor Sindaco, io avrei posto fine alla mia lettera, se, cogliendo la occasione che mi si offre, io non credessi dover rispondere, in pari tempo, a que’ non pochi, a’ quali duole che il centro di congiunzione delle ferrovie ofantine non sia stato trasferito da Santavenere su al Vulture.

L’argomento si confà al caso nostro più di quanto non possa apparire a prima vista: chè spesso io ho udito esprimere dagli amici il convincimento, che Rapolla avrebbe da tempo seguito l’esempio di Ripacandida, quello, cioè, di rifiutare il dono di una fermata lontana e impervia, e che da tempo sarebbe stata paga di chiedere in cambio la semplice affissione del suo nome su le mura della prossima stazione di Melfi, se Melfi avesse ottenuta quella maggiore importanza, cui pure aveva diritto: ossia, se ad essa, e non alla stazione di Rocchetta Sant’Antonio, malarica e deserta, avessero fatto capo le due linee laterali di Gioia e di Avellino.

Or anche una siffatta affermazione non ha fondamento né ragione di sorta.

Stranezza delle cose umane! La legge del 1879 tagliava fuori della rete ofantina il versante orientale del Vulture, e stabiliva, non a Rocchetta Sant’Antonio, ma nientemeno che all’Iscone il distacco della strada ferrata di Potenza, facendola asservire – per tutto il tratto dal ponte di Santavenere alla foce della fiumana di Atella – alla strada ferrata di Avellino. Bisognò lavorare Iddio sa come per ottenere dal parlamento l’autonomia tecnica e legale della nostra linea, la Cenerentola del 1879, - provvidamente in ciò soccorsi da’ deputati avellinesi, al sagace e fraterno consiglio di uno de’ quali, l’onorevole Di Marzo, io particolarmente sono debitore (e qui gliene rendo pubbliche grazie) della creazione di essa, ex novo, negli emendamenti apportati alle tabelle con la legge del 1885; bisognò, io dico, un tanto miracolo di costanza, di disinteresse e di buona fortuna, per avere quello, che durante tutto un decennio parve follia poter raggiungere: ed oggi, a cose fatte, noi osiamo deplorare e rimpiangere, che le altre due linee, di un interesse generale tanto maggiore, non siano state assoggettate alla nostra! Francamente, è serio ciò?

Pare inverosimile, del resto, che a una così breve distanza di tempo sia a noi sfuggito dalla mente, che il tentativo, dopo tutto, venne pur fatto, ma che esso andò a monte perché…semplicemente perché non era attuabile! E poteva mai approdare a buon fine il disegno di togliere ogni efficacia propria ad una via come l’Avellino-Rocchetta-Gioia, nel solo ed unico interesse locale di Rionero e di Melfi? Ignoravamo noi forse, che l’Avellino-Rocchetta-Gioia era destinata, fin dal 1865, a rappresentare la diagonale del quadrilatero ferroviario Napoli-Foggia-Brindisi- Metaponto?

Scrivo, avendo qui d’innanzi alcuni documenti, che noi abbiamo il torto di aver troppo presto dimenticati (Documenti riguardanti le ferrovie Ofantine, Roma, tipografia Eredi Botta, 1888).

Spetta a Rionero il merito, se merito è, di aver chiesto il 1883 al Governo, che la linea di Avellino avesse fatto capo alla sua stazione, e che dalla stazione di Melfi si fosse dipartita la linea di Gioia, - secondo un diligentissimo disegno di massima dell’ingegner capo dell’ufficio tecnico della provincia, il cavalier Lodovico Carelli: un disegno, tuttavia, che non solo il circondario di Sant’Angelo de’ Lombardi e il Consiglio provinciale di Avellino si affrettarono a denunziare, ma contro cui altamente e senza indugio protestò, a dì 15 gennaio 1884, con apposita memoria a stampa, il consorzio intercomunale di Venosa, Lavello, Montemilone e Palazzo, il quale «si tenne ad obbligo di avvertire il Governo, che il progetto era inaccettabile, perché contrario alla lettera e allo spirito della legge». Né la protesta, in quel tempo, era del tutto infondata. Non uno, forse, non uno in quel tempo credeva alla possibilità della vaporiera lungo il versante orientale del Vulture, e molti, forse, molti rammenteranno ancora lo sdegnoso rifiuto de’ rappresentanti di Venosa di far parte del consorzio unico circondariale, promosso dal sindaco della città di Melfi.

Il Governo, prima di promuovere a norma di legge il parere del Consiglio superiore de’ lavori pubblici, ritenne conveniente di far esaminare e studiare sopra luogo, insieme con i tracciati per le ferrovie di Avellino e di Gioia, gli allacciamenti proposti dall’ingegner Carelli. Ma le conclusioni, cui giunse il commendatore Ferrucci nelle due sue relazioni, una del 31 gennaio 1884 per l’Avellino-Santavenere, l’altra del 26 marzo 1885 per la Santavenere-Gioia, furono del tutto contrarie alle aspirazioni propugnate dai cittadini di Rionero.

Nella prima, infatti, egli sostenne, che «la linea Avellino-Santavenere doveva essere principalmente intesa ad aprire alla vallata dell’Ofanto il suo naturale sbocco verso Foggia e verso le Puglie il suo naturale sbocco verso Foggia e verso le Puglie, a riavvicinare al capoluogo una gran parte della provincia, che ora comunica con Avellino per strade lunghe e disagiate, ad accordare infine al vasto circondario di Sant’Angelo una tardiva riparazione, stabilendo il tracciato in guisa da soddisfare principalmente gl’interessi di quelle diseredate popolazioni».

E nella seconda egli affermò, «doversi considerare la ferrovia Santavenere-Gioia siccome la parte intermedia di una linea interna da Taranto a Foggia, atta a favorire le dirette comunicazioni fra un gran porto militare e uno de’ centri principali della nostra rete ferroviaria, e quindi doversi specialmente procurare che il servizio fosse fatto in guisa, che i treni percorressero, senza interruzione e senza discontinuità, l’intero tragitto, e che perciò nella costruzione si osservassero le stesse condizioni di struttura, di tracciato e di altimetria, che si riscontrano nei tronchi già esistenti tra Foggia e Taranto».

Il Consiglio superiore non esitò, naturalmente, a convalidare del suo voto un parere così bene inspirato al sentimento dell’interesse generale, e il 10 maggio del 1884> approvò «il tracciato dell’Avellino-Santavenere per la valle dell’Ofanto , avvertendo, che per l’importanza della linea, ne’ riguardi della difesa dello Stato, occorreva la esclusione assoluta di pendenze superiori al venticinque per mille», e il 21 novembre del 1885 confermò, «che per i tronchi dall’Ofanto a Palazzo San Gervasio della Santavenere-Gioia fosse da seguire il tracciato primitivo, perché il movimento generale sarà ivi sempre diretto, non già verso Potenza, ma da un lato verso Foggia e dall’altro verso Taranto». Né è male rammentare, che lo stesso Consiglio, a scanso di equivoci, con altro apposito suo voto del 19 dicembre 1885, tenne a dire qualmente «la legge del 29 luglio 1879, ordinando una via Avellino-Santavenere-Gioia, avesse fissato in modo indiscutibile l’andamento generale, che l’articolo 21 prescrive doversi mantenere inalterato».

E questo fia suggel ch’ogni uomo sganni!

Oggi, a opera compiuta, neanche in via tecnica il disegno dell’ingegnere Carelli può stare a pari del progetto che è stato eseguito. La lunghezza effettiva è perfettamente identica nell’uno e nell’altro, perché uno e l’altro misurano quarantatré chilometri, come qui appresso:

dall’Iscone a Rionero……….km. 19

da Rioneroa Melfi………………10

da Melfi a Rendina………………14

Km. 43

dall’Iscone a Rocchetta………km.21

da Rocchetta alla Rendina……….22

Km. 43

Ma quale differenza, dal primo al secondo, riguardo alla lunghezza virtuale, sul cui fondamento è mestieri calcolare le spese di esercizio, e quindi le tariffe per le merci e per i viaggiatori! Il primo avrebbe avuto due chilometri con la pendenza del 27 per mille, quattordici col venticinque, non meno di dodici oltre il venti. Il secondo, al contrario, ha frequenti rettilinei, curve non inferiori a trecento metri, pendenze medie dal due al cinque per mille, non oltre il quattordici tra l’Iscone e Santavenere, né oltre il quindici tra Santavenere e la Rendina. E ciò, pure facendo astrazione dalle maggiori spese di costruzione!

D’altra parte, poiché non v’ha dubbio, che Venosa, Lavello, Montemilone e Palazzo, se col disegno dell’ingegnere Carelli si sarebbero avvantaggiate nelle loro relazioni con Melfi e Potenza, non poco si sarebbero danneggiate nelle loro comunicazioni con Avellino e Foggia: resta luminosamente provato, che tutto l’enorme sacrificio di un così vano e costoso saliscendi per la giogaia del Vulture non sarebbe tornato di giovamento che a Melfi soltanto e a Rionero, e più a Rionero, anzi, che a Melfi. Melfi, nel fatto, non avrebbe guadagnato che sette chilometri per Avellino, ventitré per Gioia; Rionero, pure ottenendone ventitré per Gioia, sarebbe giunto ad averne fin ventisette per Avellino…Ma seguire più oltre su questa via, a me parrebbe, in verità, di cadere nel ridicolo!

Lasciamo, egregio signor Sindaco, coteste miserie, e confortiamo, sì, confortiamo l’animo e la mente nello spettacolo di quel molto, che generosamente ha dato a noi lo Stato italiano! Dolerci di non avere avuto più di quello che fortunatamente ci è toccato in sorte, non è cosa, no, che onori la equanimità e, mi si perdoni, il buon senso di quanti siamo conterranei del circondario di Melfi. Guardiamoci d’intorno, e facciamo di renderci degni dei nuovi doveri, che a noi provengono dalle mutate, progreite condizioni della nostra viabilità. La quale aspetta, per essere compiuta, l’apertura al pubblico esercizio del tronco da Rionero a Potenza. Una questione, riguardo ad essa, è tuttora in campo: ché a torto, contro il buon diritto dello Stato e nostro, la Società per le strade ferrate meridionali potrebbe rimandarla di un anno oltre il termine prescritto. O perché mai, in cambio di tante inutili querimonie, noi non diamo opera, tutti insieme, a vincere quest’ultimo, leggerissimo ostacolo, che al nostro avvenire si frappone?

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