La linea ferroviaria Rocchetta Sant’Antonio - Gioia del Colle
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A Gaudiano in Val d’Ofanto
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La carrozzella aveva velocemente percorsa la strada nazionale che da
Una languida alba degli ultimi giorni di settembre dello scorso anno. Il alvanelle), chiuso alla opposta riva dell’altipiano frumentario di Ascoli e di Cerignola; a picco, su la estrema punta di questo, i vetri di un fabbricato bianco splendevano tremuli: il santuario della Madonna di Ripalta. Giù in fondo, lontano, giacente tra le vigne, Canosa dormiva ancora il sonno autunnale, pronta alla vendemmia abbondante, al lieto lavoro del mosto in fermento. A destra, su le Murge, Minervino si affacciava sorridente, con le sue case ad anfiteatro, dalla prima terrazza della provincia di Bari.
E la infinita steppa giallognola durava uniforme, appena qua e là interrotta da masserie silenziose. Nel cielo opalino, qualche nibbio solenne; nella quiete profonda de’ campi, non più che l’abbaiare ritmico d’un mastino, e il rumore lieve della carrozzella; in tanta solitudine, come un abbandono di tutte le membra mi prese a un tratto, e un indefinibile sogno s’impadronì della mia fantasia, stranamente alterandomi tutti i contorni, tutte le sfumature della realtà. Quanto avrei voluto che la dolce emozione mi fosse durata senza risveglio! Chi ti dimenticherà più, lontana alba settembrina, in quelle intraducibili voluttuose sensazioni della natura?
Il sole cominciava a farmisi sentire, che io ero già in vista de’ fabbricati e della palazzina, seminascosta tra gli alberi, di
Ma ecco la piccola casa cantoniera, ecco le prime viti allineate tra un ordine e l’altro di mandorli, i primi terreni arati, sottili come la seta, alimentati di concime chimico, e i primi distesi campi a foraggi; ecco la mandria libera delle cavalle, masticanti il fieno odoroso, e i grandi buoi, sdraiati per terra, con gli occhi fissi nel vuoto; ecco le fabbriche, bianchissime d’intonaco, il disusato pozzo patriarcale, la pila e la cannella della nuova fontana d’acqua venuta di lontano, la chiesetta, la palazzina col cipresso in vedetta alle spalle: ed ecco l’on.
Scendo dal legno, e incrociate le prime cordiali strette di mano con le prime affettuose parole di saluto, c’incamminiamo passo passo dietro al genius loci,
- Vedi – egli mi dice, - come stiamo bene, dopo tutta una estate torrida, noi e quanti qui abitano, cominciando da mio fratello che, ormai, non lascia più
- Quanti lavoratori ha
- Parecchie centinaia gli avventizi, più o meno a seconda delle stagioni; alcune diecine quelli ad anno, conforme alle usanze di Puglia: tutti di Minervino e di
- Così proprio a
E del contadino lavellese
Giriamo intanto lungo le fosse, gli antichi mirabili serbatoi del grano, che egli ha voluto tornassero in onore, e passando davanti alla chiesetta, semplice e bella, entriamo nella luminosità azzurra della palazzina, poi che tutte le finestre del pianterreno hanno le reti metalliche, quantunque a
Affronto, come m’ero proposto,
- Irremovibilmente deciso. Attendo, con rassegnata ansia, la fine, più o meno naturale, della presente legislatura, per congedarmi dagli elettori. Avversario d’una politica sbandata e contraddittoria, voluta da governi e governati, io sono stanco d’una vita parlamentare ormai così grigia e mediocre; ma, a dir il vero, anche più stanco di tutto un insieme di sistemi e di intendimenti elettorali, che, d’anno in anno, mi si è fatto sempre più gravoso. Poi, un trentennio di deputazione, dice mio fratello, è già troppo, ed è dovere, secondo lui, far posto agli altri. Un trentennio! Con che frutto, pel nostro Collegio? Un sol Comune io lascio in condizioni migliori di quelle nelle quali lo trovai:
Messo in carreggiata, l’on.
- Oh sì, - io finii per esclamare, - voi ben potrete ritirarvi con serena tranquilla coscienza…
Interviene il fratello, che, col più schietto suo accento, soggiunge:
- Ma se l’assenza da Montecitorio sarà per te di incalcolabile beneficio! Tu riavrai la salute de’ nervi e dello spirito. O già non ti avvedi che qui è il tuo risorgere, che
E io li rimiro, i due fratelli, con grande trasporto del cuore: due antitesi, che si integrano perfettamente. Uno, lo studioso e il politico, che tutti conoscono, ognora idealista e dubitativo. L’altro, un filosofo ultrapragmatico, calmo, forte, sorridente: un iperattivo, rifuggente dalle verbose opere del mondo, un innamorato della terra, risparmiatore ed economo pur senza famiglia e senza bisogni, un solitario, insomma, che vive e lavora, - come poco innanzi egli mi aveva scritto a Roma, - «per giustificare prima a sé, poi agli altri, un possesso, che se ha diritti, ha pure gravi doveri»…
Compare il giovane fattore, Fabrizio, che ha qualcosa da dire a Notizie Storiche della valle di Vitalba
, dopo, ben inteso, aver rifatto i sei già pubblicati. Di quali e quante cose non tentammo, lassù, di riparlare? Ed ecco un raggio di sole, battendo su la parete di fronte, illuminare una grande bellissima fotografia di Leone Tolstoi…O non ne avevo già viste parecchie altre, una con la firma autografa, così nella casa di
Poco mi costò quindi lanciargli una innocua frecciata: - vi confesso, mio ottimo amico, che Tolstoi non suscita in me l’entusiasmo che è in voi: egli è troppo semplice quando scrive, troppo anemico quando…non opera. Altri tipi d’uomini ci occorrono: Victor Hugo, Zola, Carducci, d’Annunzio anche…
- Che cosa risponderti? Tolstoi è la terra vergine, e, per intenderlo, è forza abituarci alla singolare sua semplicità di stile, che pure racchiude tanta bellezza e tanta filosofia!
- Dite anche tanta desolazione e tanto pessimismo…
- Il pessimismo è la realtà, che è quanto dire la verità. E perché pessimista, tu sai, io non partecipo della giovanile tua fede socialista, io che non consento in qualsisia concezione della vita, e l’ho già detto altra volta, con chi della vita voglia, ad ogni costo, cercare una soluzione logica…
- Ottimismo, pessimismo, non più che due stati d’animo, determinati dal proprio fondo organico. Ho forse torto?, - io soggiungo, nel volgermi a
Usciti dalla palazzina, tutt’e tre rifacemmo, con passo più sollecito, la via fino alla casetta cantoniera. Dardeggiava in alto il sole, accendendo l’enorme riposo delle stoppie. Lontano, ne’ maggesi, a file simmetriche, i buoi dissodavano la terra, mentre che gli aratori, a intervalli, cantavano in coro una nenia, dalle lunghe tonalità basse.
Ivi ci lasciammo, con molti augurii negli occhi e nel cuore.
NICOLA CILENTI
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