Anche prima del novembre 1248, epoca del matrimonio di Manfredi con Beatrice di Savoia, pare avesse Federico II legittimato la propria unione con Bianca Lancia, quam ille summe dilexerat; certo, egli allora costituì in appannaggio al figlio due de’ maggiori feudi della corona di Puglia, ossia, il principato di Taranto, unitamente con le contee di Gravina, Tricarico e Montescaglioso, e l’«onore» di Monte Sant’Angelo: donazioni, che a lui, nominato tra’ discendenti legittimi, riconfermò col testamento del 10 dicembre 1250. Or il principato di Taranto, come lo stesso testamento conferma, si estendeva a Porta Roseti usque ad ortum fluminis Bradani
, vale a dire sino a Castel Lagopesole; e le contee di Tricarico e di Gravina, a norma del «catalogo» normanno, andavano fin su a Montemarcone l’una, a Forenza l’altra. Così, tanto il territorio di Lagopesole quanto quello di San Gervasio, collegati fra loro dall’agro intermedio di Forenza, vennero a toccare, de jure paterno, a Manfredi, - dalle cui mani passarono quindi, in un sol corpo di boschi, a re Carlo I d’Angiò. Ma egli, a differenza del padre, fu solito preferire la dimora di San Gervasio a quella di Lagopesole, forse perché molto si compiaceva dell’allevamento equino e molto amava il cavallo pugliese: il bel cavallo color baio oscuro, ad succussum assuetus, incrocio di vecchie razze locali e di stalloni arabi o berberi; né per altro, appunto, era già sorto il
Palatium regium Sancti Gervasii
, fatto costruire da Federico II tra Cervarezza e Francavilla, come sede di quella grande azienda Aratiarum Curiae, che ebbe, fino agli aragonesi, sue proprie stazioni, dentro terra, a Monte Serico e alla Leonessa, sul mare, a Policoro e a Laterza. «Ancora oggi», scrive il Bertaux, «nel fronte della collina su cui è edificata la piccola città, biancheggia e sta in piedi la gran fabbrica quadrata dell’imperatore. Se ne riconoscono le disposizioni principali: il cortile, il porticato per il governo degli animali, le scuderie basse coperte di volte a botte per le giumente e per i puledri. Nella facciata, affiancata da due torri quadre, e che guarda la estesa valle, si distinguono al primo piano le cinque finestre, quattro bifore, con una trifora nel mezzo, dell’appartamento reale: da quelle finestre Federico e Manfredi potevano vedere, di là da un colle delle Murge, il posto avanzato del Garagnone, che difendeva la gran via di confine, il tracturus, fra Puglia e Basilicata». Re Corrado, che non cessò mai di avere in sospetto il fratello, sbarcato appena a Siponto (era sceso dalle Alpi a Venezia, donde mosse, per mare, con le vele abbrunate), gli tolse tutti i castelli, tutte le città avute dal padre, meno il principato di Taranto, mutilatum comitatibus Tricarico et Gravinae
: gli tolse, cioè, anche Lagopesole e Palazzo San Gervasio, le cui fabbriche il padre aveva innalzate non prima di concederne a lui stesso le terre; e Manfredi tacque, lasciò fare, non se ne dolse neppure. Morto re Corrado, nel maggio del 1254, egli che gli si trovava da presso accampato cum pulchra militum comitiva, corse da Lavello a San Gervasio, vi fece atto di signoria, assumendone direttamente l’amministrazione, e quella vasta sua «difesa» accrebbe, fin da allora, della tenuta di Acquabella, che i monaci della Trinità di Venosa godevano a catholicorum
Regum Siciliae temporibus
. Tardi i monaci ne chiesero a Carlo I d’Angiò la restituzione, una prima volta nel 1269, una seconda nel 1275.
«...Principem Tarenti eum constituit, et Comitatus Gravinae Tricarici et Montis Caveosi, necnon Honorem Montis Sancti Angelis, quem ille iam matri (Manfridi) donatione fuerat elargitus, ei concessit» (JASMILLA).
HUILLARD-BRÉHOLLES, op. cit., vol. IV, p. 806.
RACIOPPI, Tra caccie e cavalli, nell’Ann. della Sez. Luc. del C.A.I., Potenza, 1881, p. 98.
JASMILLA, p. 117.
CRUDO, La SS. Trinità di Venosa
, p. 291 e 296.