
date
1890
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Le vie della Lucania
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- In "La viabilità nella provincia di Basilicata", Garramone e Marchesiello, Potenza, 1890, pp. 111-115.
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Lettor mio, questa provincia ora derelitta ed abbandonata da tutti i governi, non escluso il presente, il quale sebbene sorto dal suffragio nazionale è sordo alle grida delle nostre sofferenze, la più sventurata tra le provincie sorelle d’Italia, senza vie come una contrada della Turchia asiatica, era così negli antichi tempi? No. Già dal numero imponente delle sue splendide città, se altre pruove facessero difetto, si argomenterebbe che questa dovevano essere in facile comunicazione tra loro; ma la storia e gl’Itinerarii ci dicono che molte e stupende vie solcavano la
Quali erano queste?
Erano le seguenti:
1.° Via che sulle sponde del mar Tirreno toccava Pesto,
È cosa da meravigliare che questa strada, la quale costeggiava sempre il mare, si ritenga che da Pesto a
2.° La
Disputatissime sono le sue stazioni, ed i luoghi precisi pei quali passava; ma si può dire che nella
3.° Una diramazione di questa via menava a Balabo) andava a
4.° La
Passava per
5.° Vie venosine. Uniamo in un sol gruppo le vie che dall’Irpinia pervenivano in
a) Via, tronco dell’
b) Altra via, che dall’Irpinia pure proveniendo, ossia da Equotutico, pei contorni da Castelluccio dei Sauri, e per Alvano menava a
c) Via che da ad Pirum (Presso Ascoli) e ad Erdonia nella Daunia.
d) Continuazione della per Santa Maria della Civita a Spinazzola, vicino Altamura, Gravina, e
Qui in appresso poi si fa parola della:
6.° Via Numicia od
7.° Da
Queste sono le vie che più o meno chiaramente sono indicate da iscrizioni e dagli Itinerarii antichi: forse altre ancora, in ispecie traverse tra queste linee principali, saranno esistite, ma per mancanza di documenti non si possono con certezza determinare.
Furono esse aperte o restaurate ai tempi Romani. Ma quale poi fossero le strade che la
Anche delle vie dei tempi Romani sono scomparse quasi tutte le vestigia. Già nella decadenza dell’Impero, de esse non si aveva abbastanza cura, e ne venne il primo deterioramento; alla venuta dei barbari ogni cosa andò a sfascio, anzi la gente per liberarsi dalle loro incursioni e saccheggi, non solo abbandonò i luoghi posti lungo esse vie, ma è da supporsi che avesse concorso alla loro distruzione; l’avidità degli uomini dappoi in dissodarne il suolo e per prenderne i materiali per fabbricare, ne compì la distruzione; gli scoscendimenti di terra da ultimo, le frazioni, le alluvioni, e tutte le cause fisiche dissolventi che hanno agito pel corso di 20 secoli, hanno finito di occultare qualunque traccia.
Con ciò non si creda che quelle vie sieno state costrutte con poca solidità, come al presente costruiamo le meschine nostre strade. Noi siamo pigmei, e quindi altro non facciamo che spianare il suolo e gittarvi del brecciame, e mettere su ponti che la prima bufera porta via. Gli antenati nostri, per lo contrario, furono giganti in tutto, e specialmente nella costruzione delle vie. Le loro strade erano capolavori di solidità e di bellezza architettonica, erano spaziose, avevano marciapiedi, sedili, poggi per salire a cavallo, erano costrutte con massi di fabbrica compatta, e ricoverte di lastre di pietra dura.
Non si lesinava per la loro spesa. Le grandi vie si facevano a cura nello Stato, prendendosi il denaro dal tesoro pubblico. Le vie poi di traversa si facevano a spese dei comuni e proprietarii interessati: da queste contribuzioni non andavano esenti neppure i dominii Imperiali.
Non erano rari gli esempii di magnanimi cittadini che impiegavano vistose somme, o legavano per testamento una parte dei loro beni per simili opere pubbliche. Crediamo che non vi sia opera più meritoria e santa che spendersi così il denaro a chi ne ha in eccedenza dei suoi bisogni. Perché al presente in opere di tanta pubblica utilità, ricchissimi filantropi signori non imitano la liberalità dei cittadini antichi?
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