Spiritus loci

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Giagni, Gian Domenico

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Diario d'amore: G. D. Giagni

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  • Il confine, Roma-Matera, Basilicata editrice, 1976, pp. 31-40.

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DIARIO D'AMORE

1

Queste notti le ho viste morire una alla volta con il tuo lamento di belva silenziosa, le tristi ore sono sgusciate fuori dal mio sonno. Ogni sera come una sposa mi chiedi la data della mia morte, potevo un tempo trascinarti con me, ora non basta. «È il sangue nei tuoi occhi; se avanza l'autunno tu sai dove cercarmi, inutilmente, come cerco un albero diverso lungo il viale, là dove nasce il giorno, tra la Città del Santo e i miei faggi». Ho indugiato per tutta la vita dinanzi a poche cose, nel mio paese ogni suono ha un indizio, nella conca tra gli orti anche il Basento conosce la tua voce, porti la luce nei capelli. Io resterò muto quando salirà il rumore dei tuoi passi legati alle mie voglie amare.

2

Dormi con me, aperta come l'alba, sai risvegliarti quando sotto l'erta che dà alla campagna senti spiegare le foglie. T'accompagna nella sera la mia voce; le tue doglie mansuete, la tua timidezza mi scendono sugli occhi. Anche la bellezza ti sfiorisce lentamente, a me s'allunga il giorno ai tuoi piedi. Vedi, i miei ginocchi arrossati hanno un riposo.

3

Sdraiata attendi il morso, ti manca il sole sulle ciglia, niente hai da me se non la noia. Sulle dita si posano le mandorle; ortofiorito, mia speranza in cui la luce ha un soffio. Anche la terra è tiepida.

4

È caduto ottobre sulle vigne acerbe e tu non sai deciderti, morderesti i miei anni con la tua insofferenza. Ho spiato in un attimo quei gesti del tuo cuore, hai le notti agitate; sotto il braccio nascondo i rimorsi, le amate cose, il verde pallore come m'appare impossibile stasera quando muovi il piede stanco alla danza! Anche dalla stazione fumiga un vapore nella valle, sopra i dolci muretti. Forse all'alba, nella stanza, se aspetti, porterai il rossore del volto alla partenza.

5

Dolce amica dalle spalle di gelo anche per te offro sconfitto la fronte bruciata. Vivrò in città silenziose, solo, senza lo sguardo di chi alletta i ricordi, quella voce giunge nel mio tardo tramonto. La giovinezza ha piegato il tuo spento desiderio di felicità.

6

Anche stasera il fiore bianco di novembre ha rivolto al cielo la sua raggiera moribonda. Sono que􀂋ti gli ultimi deliri prima che giunga il vento invernale. Tu sospiri lontana nella tua villa, prigioniera nelle tue mura vedi i cani rubare il sonno al bambino impaurito, ti specchi nella vasca e rinchiudi i pensieri, la mia audacia ti esaspera. Ahimé i risvegli crudi mi trascinano lungo questo mese senza un limite, un anno che non scorre, bacia improvviso il volto la tua mano. È questa la stagione che declina in me inesorabile, stilla a stilla, il rosso, il giallo, il verde dai tuoi occhi nel giardino lombardo, dal mio davanzale sullo sterrato. Posso ricordarmi di te, hai lasciato un'impronta sul viale, dove la luce cade dai palazzi schiusi tra gli oleandri e i platani bruciati. Ecco la voce dei ragazzi impazziti sui pattini nel sole e le mani nei miei sogni interrotti dalle tue parole; questa è la mia primavera, l'altra si disperse nel rapido meriggio del nostro addio.

7

Ora al tuo cuore esausto aggiungi l'ultimo gesto delle nostre serate trascorse lente con la luna d'agosto. Ora potresti privarti di me, delle mie parole dimenticate, forse il bianco sole di Cernusco riporterà a te, tra i pioppi, le impossibili grida del ragazzo. Il mio giorno l'ho segnato sul muro, il duro esilio è compiuto, intorno il vento ha un sibilo, dal ponte, dalla piazza d'armi il nano del circo con la fronte illuminata offre la mano ai tuoi sogni, volteggiano le dita tra gli urli, ogni rissa mi muore dolcemente. Dalla tua terrazza le luci tenere si mutano, stasera hai lasciato la nera stagione, ancora una volta e dalla valle una nube aprirà i tuoi pensieri.

8

Via Lagrange

Sulla strada ha gridato il cane come una volta. Forse ti accarezza la rada ombra sui cancelli aperti da sempre e le favole delle monache riverse alle preghiere come santi. Nelle sere di piena estate una sigaretta può dare luce a questa via appassita di glicini dove la morte pietisce e i bambini in fretta si scambiano i cappelli (Paolo, Ilva, Marjorie, Lucia). Tu deludi questa mia stanca sorte dietro i vetri segnati; la memoria non si ferma, il tuo profumo sconvolge ciò che resta in questo imbuto che chiudi dai binari alla piazza. Nei giorni di festa l'alba è più lieve qui del tuo respiro.

9

Tu somigli alla sera che mi sfugge in queste ore di silenzio, dal basso la sega mi ripete sola il fischio rapido, poi nient'altro. Tu somigli al filo che mi lega le giornate senza un riposo; a quelle foglie raccolte in mucchio sulla ghiaia di Villa Glori. E così giunge l'inverno in quest'angolo nascosto dalle mie dita incrociate, dal corpo curvo, dai cenni indistinti e lenti sul quaderno. Ora mi piace rivederti seduta al margine del fiume; cadeva il cielo sul libro aperto da te per incanto, la stanchezza si sciolse dalle labbra sul verde della veste; chiamava dagli spalti il primo lume le antiche talpe, nuvole di fumo nella dolcissima stagione. T'investe il fuoco delle mie mani più deboli del sonno, tu riprendi nel lontano giardino i passi lesti lasciati sul ponte, dove la polvere stingeva gli occhi e le tue scarpe rosse.

10

A fine d'anno ho cercato a lungo la tua ombra, è indecisa la pena di qua dalle grida degli amici. Ai piedi dell'albero tu trascuri il foglio con le mie parole d'amore. S'è levato il vento sulle pendici, adesso la terrazza s'è divisa per la tua partenza, i muri, le piante grasse, l'orlo del tuo cuore tra questa neve; si compie la festa con i fuochi di dicembre. Un solo urlo intralcia le giornate, dove sei tu non canta il merlo scontroso, e il freddo falcia i riposi che chiedi alle spalle. Ma qui i saluti non suonano più sulla porta, qui alla curva ho atteso invano, ogni ragazzo stanotte ha chiesto a me la tua presenza disamorata ormai (ad un mio gesto dai balconi è volato l'ultimo razzo sugli orti sempreverdi). (S. Silvestro '46)

11

È alta la luna di febbraio, sui lunghi brecciati del fiume cade una voce, le colline desolate e tu dall'orlo della balaustra guardi l'ombra distesa sul muro, ai lobi una piuma si disfa come cenere: questo è l'ultimo rimprovero al cuore. Sono tornato vagabondo quassù a cercarti, anche il vento mi porta un nome e veglia il freddo sulle piazze dei Parioli.

12

Quando tornerai a stringermi le dita, a spegnere il fuoco sulle valli, a torturarmi con un giro della mano, con la voce più grigia di una tortora? Anche allora ripeterai quei cenni e dalle tue narici fumerà il soffio della primavera. Tu manchi nelle ore più lievi della giornata, da tanto tu pensi ai discorsi d'altri tempi; cosi in questa città mi cadranno le memorie, passa stasera una nube sopra i ponti, e tu riposi incantata.

13

Su questa nuova dimora ha battuto il vento dai giardini d'inverno. Ancora s'è chiuso il fiore superstite, mai saprò ascoltare gli zittii degli uccelli dietro i vetri. Forse è già tardi, non sento l'acqua sulla terra, sembra un monte il selciato. Tu resti, tu non vai con il nastro di sposa sul dorso della mano e il corpo inchinato, il passo leggero sui graticci rumorosi.

14

Ogni giorno è prigione tra i fiori del viale che la stagione apre rapidi e affonda sulla terra da te mai calpestata. Io non so se rivederti domani, tu non sai di questo cielo splendido sulle case intorno alla città che ti consiglia un lungo sonno, ma sono lontani i tuoi sospiri. Nessuno più batte alla mia porta, a braccia tese da quassù attendo, da questo altare tiepido le stelle cadono nel fosso con una traccia leggera, e le bestie curve le lambiscono, silenziose.

15

Suona una campana per te, sul costone la sera si fa fioca, trema il vocio della circonvallazione là dove gioca il vento tra le case d'oro: la tua attesa, la mia. La schiera dei ragazzi precipita dal monte, su un piede su un altro, con le mani dietro la testa; è il loro dolce regno, come la parola a te ristretta in cuore. Non hai fretta stasera, sospesa è ogni cosa, tu sola e i colpi battuti di lontano.

16

Soltanto i rami polverosi intorno ai lumi di Viale Angelico. Le ragazze svogliate cantano in cerchio sotto il cielo basso e aperto, guardinghe ai richiami di là, dagli orti odorosi. Non sai passare oltre i muri di mattoni; stasera ho con me tutti i ricordi, anche il tuo passo.

17

Uccelli alti nella sera e la tua bella immagine estranea, confusa. L'occhio rosso sulle antenne sottili come larve, e da nessuna finestra schiusa il grido amico...

18

Ti rincorro a piedi scalzi dove tu chiami, è inutile l'affanno. Tu balzi sui binari senza un gesto, come nell'anno del nostro primo incontro. Qui non c'è che il fumo dai vagoni, e più non s'ode un litigio, un urlo che ti porti la mia ansia. Soltanto ora ti so dormente sotto il bianco cielo del mio paese.

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