Spiritus loci
date
1934
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Appunti per la poesia d'un viaggio da Foggia a Venosa: G. Ungaretti
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- «Gazzetta del Popolo», 22 agosto 1934.
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Appunti per la poesia d’un viaggio da Foggia a Venosa
Il Piano delle Fosse
Piazza ovale che non finisce più, d’una strana potenza. È tutta sparsa di gobbe, sconvolta, secca, accecante di polvere. Da un lato la chiude una fila di carri obliqui sulle ruote nelle profondità dei quali i fichidindia messi in mostra fanno come un mosaico coi loro colori gelati. Grandi scommesse a chi ne mangerà di più, e c’è chi arriva a mandarne giù anche cento.
Mi sono avvicinato a una delle gobbe. Dietro aveva come le altre una piccola lapide. Smossa la terra, tolte le assicelle apparse sotto, s’è aperto un pozzo e dentro s’alza un monte di grano. Questa piazza a perdita d’occhio nasconde dunque l’uno accanto all’altro un’infinità di pozzi, conserva il grano della provincia che ne produce 3.000.000 di quintali, e più. Altro che grotte d’
Ho visto cose antiche, nessuna m’è sembrata più antica di questa, e non solo perché forse il
Nessun luogo avrebbe più diritto d’essere dichiarato Monumento Nazionale.
Tomba di Boemondo
Un poggio declina, salite gli scalini d’un vicolo cieco colle sue ombre che palpano la parete, col suo tonfo nell’ombra.
Vedete bene che non mancano di memorie qui a
Tendete l’orecchio a uno scalpitio confuso che arriva sino a voi pei lastroni della Piazza, poi per quelli del Corso.
Vi mescolate allo sciamare d’echi, siete portato a entrare in Chiesa, vedete sugli elefanti la Cattedra di mille anni fa del Vescovo Orso.
Vi trovate fuori intorno alla Tomba di
Nel grido sordo del sole:
Lo sgolarsi d’un galletto di primo canto.
La Via Traiana
Non vi sorprenda d’avere incontrato gli elefanti da queste parti. Ne hanno sentito parlare dai tempi d’
È una collina come un’onda gonfia più che non dovrebbe consentire la calma che le si stende ai piedi. Ma la
Un sole torturante come non può essercene un altro, degno d’una valle che è uno di quei quadrivi dove le razze si sono gettate senza trovare nemmeno nel sangue sparso a fiumi la fusione che le aveva spinte nella mischia e che non sarà mai trovata s’è necessario credere e vivere.
Questo è il campo dove si sono scontrati i continenti:
Questo è il quadrivio dei continenti dove da
Ma se le strade maestre le hanno sempre allargate i calcoli militari, è la favola che le ha tracciate e aperte: uno se ne va, gliene capitano di tutti i colori, per caso arriva dove si ferma, e dopo di lui tre quattro sono partiti, perché chi è lontano anche se non si sa dove è andato a sbattere è come una calamita.
Questa favola o un’altra: le strade che dureranno sempre nella memoria sono queste, con precisione non si sa quando nate, alle quali da un punto o dall’altro della terra i popoli finiscono sempre per tornare, aperte prima di tutto a furia di passi che non sapevano dove andavano a finire.
Il primo è sempre stato un puro eroe, uno partito solo per partire.
I vasi dell’ipogeo
Al Museo di bottas de futa, mi suggerisce il fine Soprintendente alle Belle Arti Aru, su un altro, un giovane ha in testa un sombrero: ladri di bestiame, iniziatori di piantagioni, forse l’arte greca s’era messa qui a immaginare un romanzo di pianura vergine.
Ma il vasaio canosino un giorno impazzisce. Ha mandato in giro tanto mai vasi sui quali il disegno è più o meno vivo, più o meno accademico, e ora è sul punto di doversi riposare e diventa naturalmente come un bambino, e sarebbe meglio dire: diventa come uno che abbia ritrovato se stesso: la tecnica delle figure rosse su fondo nero è abbandonata, e a nausea gli è anche venuto quell’untume che hanno i soliti vasi.
I nuovi sono vasi d’una cottura incompleta, è abbandonata, come era giusto in
Questa non è la sola novità: nel vaso è come penetrato un lievito, e il vaso s’è gonfiato, s’è fatto trabocchevole di ornati in rilievo: le teste dei cavalli d’una quadriga hanno sfondato la pancia d’un orciuolo, dai fianchi d’un secondo vaso fanno capolino vispi ippocampi, dalla bocca d’un terzo escono brontolando un tritone e una tritonessa, un quarto ha addirittura la forma d’una testa femminile e due testine giovanette le sbocciano lateralmente da quattro petali che formano calice.
Insomma il barocco più straordinario e più genuino si manifesta in questi vasi rinvenuti in un ipogeo di 22 secoli fa.
Sveglia a Venosa
Sono le sei di mattina. Come io sia arrivato quassù?
È il modo di suonare la sveglia quassù: uno a passo di parata, fermandosi di scatto tamburo: tre colpi e uno, la filastrocca su riportata, avviandosi tamburo: tre colpi e uno, venti passi, tamburo…
In Piazza c’è in marmo
Incomincia quassù la
Vedo delle antiche epigrafi ebraiche. Anche questo era un punto d’incrocio di strade romane. Anche qui rammentano
Questo, oggi è il punto strategico dell’Acquedotto Pugliese.
Alle fonti dell’Acquedotto Pugliese
La sete.
Ho conosciuto il deserto. Da lontano, un filo improvviso d’acqua chiara e viva faceva nitrire di gioia i cavalli.
Ho conosciuto paesi di grandi fiumi.
Ho conosciuto terre più basse del mare.
Ho conosciuto l’acqua che s’insacca, l’acqua che s’ammala, l’acqua colle croste, con fiori orrendamente bianchi, l’acqua venefica, i riflessi metallici dell’acqua, la terra come una tonsura fra rari ciuffi d’erbe idropiche.
Ho conosciuto l’acqua torrenziale, l’acqua rovinosa, l’acqua che bisogna asserragliare.
Ho conosciuto l’acqua nemica.
Ho conosciuto
Ora andremo sino alle fonti del
Se gli Estensi volevano vedere in giro vivente la loro nostalgia, se portavano
Ma per questo non ci voleva meno fantasia che a quei tempi, e ci voleva una volontà molto più umana. Né è nata un’opera che, come si vedrà in prossime note, sfida qualsiasi altra anche per bellezza.
Acquaforte
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