
Spiritus loci
date
1949
author
title
Insopportabile vita nel paese natale: C. Alavaro
summary
bibliography
- «La Nuova Stampa», 1949, p. 3.
teibody
Insopportabile vita nel paese natale
(Dal nostro inviato speciale)
La profonda impressione suscitata nel Paese dai fatti di
Leggo, riportato da
Fu per poco. Un regno di dieci anni non bastò neppure a completare quella legislazione. La plebe calabrese seguitò a tenersi il suo carico feudale per esplodere poi di quando in quando in episodi più o meno feroci di rivolta, dando a questo e a quello la colpa dei suoi mali e della sua miseria; ai medici come avvelenatori dell'acqua potabile come a
Poi, quando la popolazione aumentò, e le frontiere del Regno si spostarono, e i grandi Stati ricchi e nuovi e bisognosi di lavoro aprirono le loro porte, chi potè fuggì la regione privandola anche di quel fermento intellettuale che pure aveva dato buona prova nella lotta per l'Indipendenza. Fu prima l’emigrazione, poi le professioni liberali e gl'impieghi, che rappresentarono soprattutto per la plebe calabrese il mezzo di evasione, se non dei padri ormai condannati, almeno dei figli. Fu il primo strumento della lotta di classe: la cultura, gl'impieghi, le professioni, il sacerdozio.
Dare un diploma e un impiego ai figli fu riderle della plebe più misera, contadini, piccoli artigiani e impiegati, piccoli bottegai, i quali, a volte con l'usura, mandarono i figli a studiare attraverso privazioni più gravi di quelle che la loro stessa vita imponeva. Molti di quei ragazzi, nelle città degli studi, si sostentavano col sacchetto settimanale dei salami, formaggi, fichi secchi, pane, che arrivava da casa, ed era il boccone cui rinunziavano quelli che a casa aspettavano. L'incitamento continuo era di fuggire, «abbandonare questo paese maledetto»; tutti quelli che siamo raggiri ce lo siamo sentito dire dal padre e dalla madre. Chi rimaneva a esercitare il suo impiego o la sua professione nella regione, preti, avvocati, medici, quasi sempre finivano alleati della classe dominante, proprietari terrieri i quali avevano interesse a dare le figlie a gente che esercitava una professione munita d'un prestigio e d’un'influenza.
Finiva così quel movimento per cui la
Quelli che con gli altri meridionali si sparsero nella nostra penisola, furono il nerbo della burocrazia, della polizia, delle professioni liberali, ancora poco adatti ai commerci e alle industrie, o considerandoli, per un testo di grandigia feudale anche se poveri, mestieri poco nobili, o sprovvisti di denaro per tentarli. Vale a dire, penetrarono nel circolo della nazione, e in quello che ha di più delicato lo Stato. E qui torna la frase di
C'è di più. Chiuse le porte dell'emigrazione, da trent’anni e con moto veloce nei nostri anni, non è più il meridionale qualificato che tenta la sorte nelle città grandi d'
Naturalmente, col peggio, cioè col più istintivo e ferino della popolazione meridionale, fugge anche il più vigoroso, il più intraprendente, se non il migliore e il più intelligente. È il fenomeno più grave della società calabrese: la mancanza di convivenza civile. Evade l'elemento sociale più inquieto e più audace, evade l'elemento intellettuale, quando può evade l'elemento direttivo. Resta la plebe, tra i fornitori di merci e l'usura, fornitori di medicine, di consigli, di processi; insomma, fornitori di dolori e di lacrime. E il popolo detesta i mercanti, i commercianti, i professionisti, la burocrazia. Ogni più povera famiglia, fin dalla sua costituzione, fa economie atroci per due eventi della sua vita: quando verrà la malattia e quando verrà l'arresto, il processo, il carcere. È questa una prospettiva mai esclusa da nessuna mente di calabrese, abituato a considerare irrazionale la sorte come la giustizia.
Fra le classi estreme, poveri e ricchi, non esiste nessun potere mediatore, nè il clero nè i professionisti che rimangono nella regione e che a loro volta temono l'avvenire, sanno di trovarsi in un paese senza solidarietà in cui l’usura aspetta l'occasione per assalirli e depredarli; col denaro accumulato comprano terre che poi non hanno la possibilità di mettere a frutto. Così, anche quando la proprietà cambia, non migliora. È là, e quello che dà, dà. Proprio come i feudatari di ventitremila e di diciassettemila ettari. L'ignoranza, lo sbigottimento, la diffidenza del calabrese in ogni atto della sua vita pubblica e nei contatti coi pubblici uffici, è beffeggiato, vilipeso, deriso; «tamarro!» cioè cafone rozzo ignorante villano, è un appellativo usuale per le povere donne ignare e i poveri cristiani; così all'ignoranza si mescola l'amara coscienza d'una rozzezza irrimediabile, d'un complesso di inferiorità che si rassegnò sempre agli abusi, ai soprusi, agli ordini dei grandi e piccoli incettatori di voti per le elezioni amministrative e politiche, e agli incettatori di malati per i medici, di rei e di delitti per gli avvocati.
Sembra di raccontare cose di un tempo antico, e sono di oggi. Il fatto è che noi calabresi fuori della
notes alpha
notes int