Digital Libraries of Basilicata - Modern Literature

date

1634

author

Orazio Persio

title

Matera e dintorni nel XVII secolo: paratesti, prosa e poesia encomiastica - Orazio Persio - Vita di San Vincenzo Ferreri - Lettera alla città di Matera

bibliography

  • Persio, Orazio. Vita di San Vincenzo Ferreri. Trani, Valerij, 1634, cc. a3r-a4v.

teibody

[c. a 3r] Alla mia carissima Città di Matera, et alla sua nobile Gioventù curiosa di lettione. L'AUTORE. Ecco città mia diletta, e nobili giovani miei sempre osservandissimi, che finalmente, e dopo lo spatio di anni dodici vi do alle stampe la vita di S. VINCENZO FERRERI da me descritta in dodeci canti per vostro diletto et utile, così come mai sempre è stata la mia intentione sin da gli anni della mia adolescenza, nella quale vi cominciai a dar frutti e saggi di poesie dramatiche e rapresentative e poi comedie; et il tutto per darvi diletto e da questo cavarne l'utile, che è il suo fine, cioè di aborrire i vitij e gli otij, e di abbracciare le attioni virtuose, o andare imitando gli antecessori, che in ogni secolo, in ogni professione et arte sono stati eccellentissimi e notissimi al mondo (sì come si legge ne gli annali e croniche del Regno). E credetemi certo che non ho havuto altro fine che di svegliare ne i vostri petti per mezo delle virtù gli antichi spiriti della vera nobiltà de gli antenati, accioché la virtù o delle scienze o dell'arme incastrata nell'oro di quella, facesse una gioia inestimabile e pompa [c. a3v] al mondo. Poiché la vera nobiltà è quella che sta con la virtù congionta, la quale si acquista con incessante fatica, che è sua madre, come l'otio del vitio, tanto pernicioso alla Republica. E voi sapete in quanti affari della mia professione stia involto, e pure per sbandire questa peste esecrabile et accioché in me non alloggiasse un minimo punto, mi ho privo in gran parte del sonno bisognevole nel che ho fatto l’abito per dare un poco di campo alla dilettazione della poesia, nella quale naturalmente (com’è suo proprio) avendo avuto inchinazione da’ primi anni dell’età mia, mi fu persuaso in Bologna et in Roma, senza lasciare il verbo della propria professione, a seguirla dalle bb. aa. di Antonio et Ascanio Persî miei zii, e dal P.M.F. Tommaso Campanella de’ predicatori celeberrimo in tutte le professioni e stimato e tenuto in pregio da’ primi prencipi e letterati del mondo. Appresi il lor conseglio non di essere poeta no, ma di dilettarmi di poesia a segno che da’ primi anni in versi drammatici vi diedi, benché pieni di errori, e posso dire “delicta iuventutis meae”: Pompeo Magno, tragedia, La santa Dorotea, tragedia sacra, Il figliuol prodigo, [c. a4r] Il Marsia, in 4 intermedii, L’Erminia pastorella, intermedio, Armida infuriata, intermedio, La Santa Cecilia, tragedia sacra, La Prima parte delle Rime, Il S. Vincenzo Ferreri, in 12 canti, L’Avaro, La Crivellaria, Il mal marito, Il Romano alloppiato, Gl’inganni amorosi, I veri amici, commedie. Tutte queste opere, oltre ad alcune altre che sin’hora stanno da me refutate, et altre incompite, non sono segni dell'inimicitia che ho tenuto con l’otio? Sì per certo. Et acciò che altri non mi critichi, rispondo alla tacita obiettione che nella mia professione non ho perso il tempo, come sapete, né scritto poco; e se il Sig. Iddio mi darà vita e quiete, farò conoscere al mondo, conforme al conseglio sopradetto, che non ho lasciato il principale per l'accessorio. Da me non aspettate altre fatiche poetiche: “huc usque licet”, perché Apollo, padre della poesia, si dipinge giovane. Et abbiate in mente, leggendo, che io non sono, né mai mi ascese alle narici l’odore di essere poeta, per [c. a 4v] scusarmi dell’errori che leggete nelle mie opere e leggerete in questa di S. Vincenzo, la quale, sebbene è spirituale e poco desiata (ahi, secolo corrotto!) a farsi leggere, è nondimeno involta in istorie curiose che serviranno per salsa e sapore agretto, acciocché non si renda del tutto sazievole e vi faccia stommaco. Né è lecito che altri ardisca d’intitolarsi poeta in questa città precisamente che ha prodotto il Sig. Cavalier Tommaso Stigliani, veramente famoso poeta e tanto stimato nella corte romana, in Italia e fuori per li suoi gravi componimenti e faticoso e regolato poema eroico del “Mondo Nuovo”. Questo sì ch’è poeta (non parlando de’ morti immortali Ariosto e Tassi) come anche lo Strozzi nella sua “Venezia”, il Bracciolini nella sua “Croce”, il Grandi nel suo “Tancredi” et altri con illustrissimi poemi sono ascesi in Parnaso per vie scoscese a mali stenti e pericoli di vita, ove non si ascende con pochi scalini di sonettucci e di alcune operette come le mie di niun conto al mondo, abbacinate avanti che compariscano alla luce del cospetto di tanti poemi, come il picciolo splendore delle stelle all’apparire delli splendentissimi raggi del sole. Hor tanto basti, pregate Iddio per me e difendetemi da i zoili e dalle lingue canine et amatemi com’io col puro del cuore vi amo e desidero ogni vero bene.

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