[c. 177r] Sonetto del Principe dell’Accademia intitolato l’Accademico Segace
Fu angusto giro al tuo elevato ingegno
questo da Dio creato immenso mondo,
fu lieve al tuo saper ogni gran pondo,
e breve cifra l’arenoso regno.
Fosti novello Atlante al ciel sostegno,
che di lui penetrasti il gran profondo
e festi noto a noi l’ampio suo tondo,
e dell’aurate stelle ogn’alto segno.
Ben è raggion che la tua mente s’orni
di rai di gloria e di stellanti lumi,
che verso il ciel drizza tutti i pensieri.
Altre grandezze hor vedi et altri giorni,
senza mutar di tempi e di costumi,
senza girar de gl’astri hor grati hor fieri.
Sonetto dell’Accademico Ardito
Come nocchier da rive strane e ignote,
citadino celeste, or CLAVIO siedi
nel patrio lido, ove ti posi e siedi
fra Cinosura e ’l gelido Boote.
Quivi di mille stelle erranti e immote
godi propinquo il lume e, lieto, vedi
come del ciel le più reposte sedi
aperte sono nelle tue carte e note.
[c. 177v] Et e raggion che di disaggi, al fine
del camin dubbio gionto, ivi homai prendi
dolce riposo e dormi un sonno eterno,
mentre da mille forme alme e divine,
Endimion beato i baci accendi,
sopito, in grembo al gran Motor attendi.
Sonetto dell’Accademico Schivo
Mentre a noi ti ritolse invida Cloto,
CLAVIO famoso e, nell’etheree e belle
stanze ti collocò, pur su le stelle
camin prendesti a te già conto e noto;
Ché ben sai tu dell’alte sfere il voto,
e l’ampi giri, e quale sian fra quelle
le stelle a noi benigne o pur rubelle,
l’orto, l’occaso, il trepidar del moto.
E ben sei degno che l’eterne faci
servan di lume ai spirti invece estinti,
se lume desti in vita al lume loro,
e che la luna e il sol, l’argento e l’oro,
scaccin dal volto in nero eclisse avanti
carbone in lutto, i loro ostri vivaci.