
La cronaca del cosiddetto Iamsilla
Edizione digitale
Presentazione
La Historia: il codice IX.C.24 della Biblioteca Nazionale di Napoli e risultati di una nuova edizione
E' stata avanzata l’ipotesi che lo pseudo-Iamsilla, attraverso quest’opera, si faccia sostenitore delle rivendicazioni aragonesi sul regno di Sicilia, con lo scopo di offrire precise indicazioni su questioni di legittimità dinastica; aspetti dinastici che sembrano essere anche il motore della copia (Koller 2005; D’Angelo 2000; Delle Donne 2011) del codice napoletano IX.C.24, il testimone manoscritto più alto alle cui carte 1-52r trova spazio la Historia.
Essa conosce una tradizione manoscritta con 17 testimoni (Cartellieri 1901; Nitschke 1954-1955; Koller 2005; Delle Donne 2011), ma quello napoletano riveste un ruolo del tutto eccezionale visto che gli studiosi concordano nel ritenere che esso sia all’origine di tutta la famiglia. La prova definitiva è individuata da Fulvio Delle Donne nella lacuna coincidente con la lunga descrizione degli esiti della battaglia di Benevento, della conquista della città e del ritrovamento del corpo di Manfredi (Delle Donne 2011). Infatti, in fondo alla c. 48v, c’è il richiamo praeter humanam che non trova corrispondenza all’inizio della carta successiva, segno evidente di caduta di almeno una carta. E poiché tutti i codici manoscritti che contengono l’Historia non trasmettono questa parte è assolutamente certo che dipendano, direttamente o indirettamente, dal codice napoletano. Gli studiosi, parimenti, però concordano anche sulla natura “problematica” di questo codice, in quanto il testo è fortemente corrotto (Nitschke 1954-1955) e presenta non poche criticità.
Anche alla luce di questi elementi è, dunque, auspicabile una nuova edizione critica dell’opera pseudo-iamsilliana che, basandosi sul codice napoletano, superi e corregga l’edizione del Muratori, che è ancora oggi quella di riferimento.
Per due saggi di edizione critica si rimanda a De Angelis 2019 e De Angelis 2021.
Le sezioni del testo: la struttura
Fulvio Delle Donne dimostra che l’Historia tratta le vicende che vanno dalla morte di Federico II (1250) fino all’anno 1267, cioè fino alla discesa di Corradino in Italia. Viceversa, l’edizione del Muratori del 1726 (Muratori, Historia), che a oggi è ancora quella di riferimento, al di là dei meriti che devono essere sempre riconosciuti allo studioso settecentesco, è stata foriera di criticità per lettori e studiosi, perché «oltre ad alterare sostanzialmente la fisionomia dell’opera, ne riconobbe erroneamente l’autore in Nicolaus de Iamsilla, che, invece, dovette essere, presumibilmente, solo il possessore di un codice che la trasmetteva» (Delle Donne 2011). Muratori, infatti, divide l’Historia in due parti, considerandole come due unità indipendenti: la prima narra i fatti che vanno dalla morte di Federico fino all’incoronazione di Manfredi a Palermo avvenuta nell’agosto del 1258; la seconda, alla quale Muratori attribuisce il titolo generico di Supplementum, riporta i fatti che vanno dall’agosto del 1258 fino al 1267 (Muratori, Supplementum). In particolare, per quanto riguarda questa “seconda parte”, la scelta di Muratori di separarla dal resto dell’opera ha indotto «alla convinzione che si tratti di un’opera del tutto diversa e oltretutto poco significativa» (Delle Donne 2011); anzi Muratori «ha frapposto, di fatto, un grave ostacolo alla corretta comprensione dell’Historia che egli attribuiva a Nicolaus de Iamsilla, perché il lettore viene male indirizzato, o, meglio, indotto all’inesatta conclusione che l’opera termini con il racconto dell’incoronazione di Manfredi» (Delle Donne 2011). Per questo motivo, dunque, seppur riconosciuta sin da subito la problematica natura compositiva dell’opera, le analisi dell’Historia proposte dagli studiosi che l’hanno esaminata nell’edizione muratoriana non potevano che essere viziate dal dato che per essi la cronaca si fermava all’incoronazione palermitana di Manfredi. Ad esempio Fuiano (Fuiano 1975) e Pispisa (Pispisa 1984) avevano ipotizzato una divisione dell’opera in tre parti: la prima, dal 1210 al 1254, con pochi cenni su Federico II e sulla sua opera di governo e la sua morte; le prime azioni di guerra di Manfredi; l’arrivo di Corrado IV fino alla sua morte avvenuta a Lavello nel maggio 1254; la seconda comprende gli eventi del biennio 1254-1255; questa parte occupa circa i due terzi dell’opera ed espone i fatti minuziosamente in un ordine logico e non cronologico; la terza parte giunge all’incoronazione del giovane principe (agosto del 1258). Delle Donne, viceversa, non solo ipotizza una divisione dell’Historia in quattro parti, postulandone la dipendenza da differenti fonti, ma a queste “ricongiunge” una quinta , cioè il Supplementum, avendola riconosciuta come parte integrante dell’opera (Delle Donne 2011):
- la prima sezione, nella quale trovano spazio in modo piuttosto rapido le azioni e la descrizione di Federico II e quella omologa del figlio Manfredi, «costituisce una sorta di introduzione […], la premessa, l’antefatto che permette la più precisa interpretazione degli eventi descritti nella sezione successiva» (Delle Donne 2011); qui si procede con il sistematico confronto tra Federico II e Manfredi allo scopo di tratteggiare quest’ultimo, sebbene implicitamente, come «più capace di gestire il potere adeguatamente, senza le violente esasperazioni assolutistiche del padre» (Delle Donne 2011);
- la seconda sezione, che tratta i fatti accaduti in tutto il 1254, cioè dall’assunzione del baliato del Regnum da parte di Manfredi fino alla fuga in Puglia, è caratterizzata da una narrazione portata avanti con un punto di vista autoptico e da un racconto dei fatti dettagliato e preciso;
- nella terza sezione, pure contraddistinta da un racconto dei fatti preciso e dettagliato, si narrano gli avvenimenti di Pietro Ruffo e in particolare i suoi spostamenti tra la Sicilia e la Calabria e si giunge, in questo modo, all’estate del 1255;
- la quarta sezione, caratterizzata da una narrazione breve e zoppicante, descrive i fatti che vanno dall’estate del 1255, appunto, fino all’incoronazione a Palermo di Manfredi, avvenuta l’11 agosto del 1258;
- l’ultima sezione, infine, racconta i fatti che dal 1258 giungono fino al 1267, cioè alla discesa di Corradino in Italia, che «nell’edizione di Muratori, di fatto, è espunta e considerata un Supplementum, in quanto riprende il testo della Historia di Saba Malaspina» (Delle Donne 2011).
Di queste cinque sezioni Delle Donne riesce in maniera molto convincente a dimostrare che tre possono essere considerate i nuclei principali dell’Historia, tenuti assieme da parti di raccordo (Delle Donne 2011):
- quella identificabile con la sezione numero due «che risulta essere la descrizione autoptica delle imprese e dei movimenti di Manfredi fatta da un sostenitore che lo accompagna»;
- quella identificabile con la sezione numero tre «in cui l’attenzione è concentrata sugli avvenimenti di Sicilia e Calabria connessi con la ribellione di Pietro Ruffo»;
- infine, quella identificabile con la sezione numero cinque (o Supplementum) «che, in buona parte, riproduce il secondo, il terzo e l’inizio del quarto libro dell’Historia di Saba Malaspina».
Un testo in cerca d'autore
Piuttosto complessa è la questione relativa all’autore che, come già detto, Muratori nella propria edizione riconobbe in Nicolaus de Iamsilla così come dichiara di aver attinto da un codice appartenuto al patrizio sorrentino Vincenzo De Miro (Muratori, Praefatio). Già a partire dalla seconda metà del secolo XIX, incominciò ad apparire chiaro che Iamsilla non poteva essere il nome dell’autore e perciò si fecero spazio varie ipotesi: da Nicola da Brindisi (Schirrmacher 1871) a Nicola da Rocca (Capasso 1902) fino a Goffredo di Cosenza (Karst 1898; Cohn 1932; Pontieri 1950; Croce 1952; Palumbo 1959; Morghen 1974; Kantorowicz 1976; Pispisa 1984) che ha raccolto il maggior consenso.
Tutte queste ipotesi attributive partono da un dato di fondo errato, cioè quello di aver preso in considerazione, da un lato, il testo pubblicato da Muratori senza scorgerne la dipendenza da fonti diverse; e, dall’altro, d’aver perso di vista la quinta sezione, che è parte integrante dell’opera e della quale sappiamo, con certezza, essere una “riscrittura” di una parte dell’opera di Saba Malaspina. Si è palesata, dunque, la necessità di prendere in considerazione nuove chiavi di lettura, attraverso le quali non si può escludere che ci si potrebbe trovare di fronte a un’opera storiografica “stratificata”: è emblematico proprio il caso della quinta sezione e del riuso che in essa si fa del testo di Saba Malaspina in quanto i fatti sono raccontati con una forte connotazione filosveva e, dunque, in contrasto con lo spirito complessivo della cronaca del canonico romano (D’Angelo 2000, p. 226, e Delle Donne 2011).
Ci troveremmo, dunque, di fronte non all’autore o a un autore, ma più correttamente si dovrebbe ipotizzare la presenza di autori primari (cioè quelli delle fonti, e tra questi certamente Saba Malaspina) e un autore secondario, cioè un compilatore/collazionatore che ha messo insieme queste tre fonti, raccordandole e cucendole tra loro, con l’intento di farsi autore di un’opera storiografica (Delle Donne 2011).
Per il primo autore primario (sezioni 1 e 2), Delle Donne ritiene che esso possa essere Nicola da Rocca senior, apprezzato dictator, che «fu partigiano di Manfredi e di tutta la dinastia sveva» e che «intrattenne rapporti […] con Goffredo di Cosenza […] e con i più alti ufficiali della cancelleria papale, tra i quali spicca proprio Giordano di Terracina» (Delle Donne 2011).
Per il secondo autore primario (sezione 3), è possibile che «fosse sì un cosentino, dato il modo in cui giustifica l’atteggiamento di quella cittadinanza, quando fu costretta a fronteggiare Pietro Ruffo, ma non un ufficiale centrale, bensì un funzionario periferico […] fautore della fazione sveva»; ma resta il fatto che al momento «è assolutamente impossibile cercare di identificare l’autore» (Delle Donne 2011).
Per il terzo e ultimo autore primario (sezione 5) la fonte è rappresentata certamente dall’opera di Malaspina, che viene rivisitata, come già scritto, in chiave filo manfrediana/sveva o, se si preferisce, in chiave filo ghibellina. Individuati i nuclei tematici principali, avanzate ipotesi e/o raccolti i dati su fonti e autori, restano in sospeso la questione relativa all’identificazione dell’autore secondario che ha “assemblato” le fonti a disposizione e quella della datazione dell’opera. Delle Donne, attraverso un’attenta analisi interna, riesce ad avanzare convincenti ipotesi cronologiche delle sezioni. Vediamole più da vicino. Per la prima fonte (o sezioni 1 e 2), alcuni elementi interni consentono di avanzare un’ipotesi di datazione tra l’estate del 1256 e il febbraio del 1257, cioè in un periodo caratterizzato da «un clima di riappacificazione diffuso […] in seguito ai trattati stipulati con il legato papale Ottaviano» (Delle Donne 2011). La seconda fonte, che probabilmente doveva contenere la descrizione delle vicende di Pietro Ruffo tra Sicilia e Calabria, stando a quanto si legge nella sezione 3, doveva essere stata scritta non dopo i primi mesi del 1257. Questa terza sezione, infatti, termina con la fuga di Ruffo a Lipari e di qui in Terra di Lavoro e non si fa cenno alla sua morte che probabilmente avvenne tra l’inizio del 1257, e comunque prima del 28 febbraio dello stesso anno (Delle Donne 2011; Caridi 2017).
Un altro particolare del racconto consente di ritrovare invece un termine post quem, cioè la morte di Bertoldo di Hohenburg che avvenne tra la fine del 1256 e gli inizi del 1257: alla fine della sezione si fa riferimento alla pena di morte comminata a Bertoldo e ai suoi fratelli, che spirarono in carcere, dove erano stati condannati a trascorrere il resto della loro vita, forse per mano di un sicario di Manfredi. Sulla terza fonte, cioè l’opera di Malaspina, la questione diventa lineare e piana, perché essa, quale parte integrante dell’opera, costituisce un prezioso termine post quem. Se, infatti, la Historia di Malaspina (Koller 1999) fu composta presso la curia papale tra il 1283 e il 1285, è stato possibile aggiungere un ulteriore piccolo elemento cronologico nella ricostruzione di questo complesso quadro, e cioè che la datazione dell’opera “compilata”, ovvero quella complessivamente assemblata dall’“autore secondario”, deve farsi risalire sicuramente dopo tali anni. Delle Donne, dunque, avanza anche un’ipotesi sul momento in cui l’autore secondario si mise al lavoro per sistemare, più o meno organicamente, l’opera adottando strategie letterario-compositive con lo scopo di piegare a esigenze precipue il testo che stava “copiando”. Dal confronto con il testo di Malaspina, emerge la volontà di cassare le parti «più politiche, per modificare gli eventi in chiave filosveva» (Delle Donne 2011; Delle Donne 2015); si ammorbidiscono le azioni compiute dai sostenitori dell’imperatore contro la Chiesa; si omettono parti e racconti che potrebbero compromettere l’immagine di Manfredi, quale princeps clemente; si omettono anche le parti in cui la Chiesa si mostra particolarmente vicina a Carlo d’Angiò e agli Angioini.
Dunque l’atteggiamento filo-svevo unitamente all’interesse mostrato per le vicende siculo-calabresi (Pietro Ruffo) riporterebbero «immediatamente alla Sicilia e alla temperie connessa con la guerra del Vespro, ovvero con la ribellione siciliana alla dominazione angioina scoppiata nel 1282» (Delle Donne 2011).