Se l'obbligo che ho, come deputato del Collegio e, unitamente con i colleghi Gianturco e Grippo, come deputato anziano del Circondario, di brindare anche io all'Uomo, che oggi onora di sua presenza noi e la nostra provincia, può avere, in questa occasione, un intento di comune non dubbia espressione di fede politica: ebbene, cittadini di Melfi, voi lasciate che io ricordi e rinnovi il saluto augurale, che dalla vostra città, or sono sette anni, il 16 maggio del 1895, alla vigilia di una delle più contrastate elezioni generali del Regno, io inviai, se rammentate, nel nome vostro, nel nome del maggior numero di voi, a Giuseppe Zanardelli (applausi). Tanti rancori che parevano eterni, tante lotte che sembravano inesauribili, tante correnti, tante abitudini che solo un cataclisma credevamo potesse interrompere, tante cose né tutte belle né tutte nuove sono passate, e quel tempo ormai ci appare lontano da noi assai più del vero, come dianzi, guardando di qui nell'aperta campagna, dietro il velo della pioggia, le vette del Vulture (applausi); e quest' Uomo, il nostro beneamato ospite, l'unico, l'ultimo rappresentante la generazione eroica che ci ha data la Patria, è sempre lo stesso, sempre giovenilmente animoso, sempre fidente, sempre credente a un modo, — duce e maestro a noi tutti nell'assidua austera pratica della Virtù, nel sentimento devoto e pio, nel culto della Libertà (vivissimi applausi). Ed oggi eccolo, qui tra noi, presso che al termine del faticoso suo viaggio per la nostra Basilicata, — testimone e auspice di una grande verità: questa, che il problema del Mezzogiorno è, e sarà, il problema capitale, il problema fondamentale della politica dello Stato italiano. Egli cotesto problema, nel recente suo discorso di Napoli, ha coscienziosamente posto nei limiti precisi e degni di un elevamento sempre maggiore, suggerito da ragioni ideali di giustizia e suffragato da ragioni pratiche di salvezza comune, di un elevamento civile ed economico — per opera di tutto un nuovo indirizzo di politica generale — delle province meno prospere e fortunate: «meno fortunate» (è la parola da lui pronunziata), non per vizio né per colpa di uomini, ma per minori fonti, per minori risorse naturali di pubblica ricchezza, che a noi meridionali rendono poco meno che insostenibile — causa la estrema povertà di nostra terra, che dà scarso il reddito e più scarsa la rimunerazione del lavoro — insostenibile e non equo, secondo io penso, secondo è verità, il presente carico tributario del Regno (approvazioni).
Certo, averlo così posto non significa averlo risoluto...Tutt'altro, se a voi è noto che io ho sempre rifuggito e non mai come ora rifuggo, rispetto ad esso, da ogni illusione, da ogni falsità, da ogni mistificazione! Tutt'altro, se tra noi meridionali, specialmente, è ancora e tanta la confusione delle lingue, tanta la ignoranza delle cause, tanto l'egoismo meno di classe che di conventicole, tanto l'impulso disordinato e cieco alla caccia, direi quasi — perché tacere? — all'arrembaggio del pubblico erario! Ma averlo così definito è già molto; addirittura moltissimo se racchiuso, com'è, per il bene e l'onore dell'Unità nazionale, nel nome della Virtù e sotto l'egida della Libertà, poi che solo con esse e per esse è possibile onestamente combattere, onestamente raggiungere, insieme con la mèta, non la gloria che è vana cosa, non la gratitudine che non è dote del cuore umano, ma la gioia intima, suprema, senza di che la vita è nulla, del dovere compiuto (applausi e grida di:viva Zanardelli!
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Io bevo per ciò e vi invito a bere a Giuseppe Zanardelli, intemerato e puro; e a lui, alla grande autorità, all'alto valor morale della sua persona, a lui che ancora una volta, in questa ora novissima, afferma e conferma il nostro buon diritto, io levo il bicchiere, — risalutandolo come sette anni addietro, come sempre dacché ho l'onore di rappresentarvi alla Camera, con animo non mai mutato né più mutabile, maestro e duce! (vivissimi applausi, lunga ovazione).