Lettera a Carlo Spinello, Duca di Seminara
Come V. S. Illustrissima sa, tra le buone cose ch’io conobbi peregrinando, fu
Pagolo Giovio, padre delle moderne istorie; il quale pervenuto all’estremo della
sua età, e poco contento de’ principi ch’egli diceva con la penna avere
illustrati, si era riparato in Firenze a casa il Gran Duca Cosimo, come ad unico
rifugio degli uomini eccellenti: ove dimorando anch’io, e assai con esso seco
ragionando dell’istorie, e di quelle principalmente che appartenevano al Regno,
l’udii molle fiate rammaricarsi che, per mancamento e trascuraggine degli
scrittori, egli non avea potuto in cotanti anni ridurre alla memoria degli
uomini uno de’ primi fondamenti delle guerre che seguirono nel Novantaquattro;
ciò era la congiura del Principe di Salerno e
del Conte di Sarno
contra Ferdinando Primo: per
la quale fatto il principe fuoruscito, e privo dello stato, si ricoverò da’
Francesi, e persuase il Re Carlo Ottavo a
fare l’impresa del Regno; dalla cui passata egli tirava il filo della sua
istoria. Questo desiderio io lo giudicai tanto giusto e sì fattamente
necessario, che in me si apprese, come fu in lui, di qualità che, pochi anni
sono, abbattutomi nel processo originale che fe formare il predetto Re contra il Conte e
Antonello Petrucci
suo secretario, parvemi che mi si porgesse occasione di potere in maggior parte
rinvenire le cose di quel tempo. Postomi poi a cercare dell’altre, io mi sono
finalmente avveduto di avere ragunate tante membra di quella congiura, che,
sebbene non sono perfette, se ne potrebbe pure da buono maestro formare corpo
intiero: il quale maestro, morto il Giovio, mi ho anche persuaso che sarebbe di
presente difficile a ritrovare. Ma sperando che i cieli col tempo ne possano
produrre de’ somiglianti e migliori, e per esserne già strettamente pregato
dalla veneranda memoria di monsignore illustrissimo Seripando, ne ho io fatto
una bozza e un modello, sopra il quale que’ che verranno non solamente possano
fabricare un bel corpo, ma dargli vita et alla eternità consegnarlo: il che da
me non potrebbe avvenire giammai. E veramente, si vorrebbe essere troppo dotato
dalla natura, e dall’arte ammaestrato, a corrispondere alla scelta delle parole,
o alla loro numerosa testura, richiesta nell’istoria. E molto più si converrebbe
ritrovarsi ricco d’ingegno, e fra’ rettorici lungamente versato, a bene usare
l’ordine, le sentenze e l’orazione di questa scienza. E grandissimamente
bisognerebbe esercitarsi ne’ maneggi degli stati e nell’opere militari, a
perfettamente ritrarre i consigli de’ principi, gli assalti e le battaglie.
Lascio da parte quanto sarebbe mestiero il penetrare nella geografia, e
filosofia morale, per esplicare compiutamente le qualità degli uomini, e de’
paesi. Converrà dunque a più sublime ingegno di formare una sì grande, vaga e
riguardevole figura: e io mi rimarrò contento di avergli nella presente operetta
additato e adombrato l’ordine, i tempi, e gli accidenti che seguirono. Ove, se
da saggio lettore fie scorto alcun neo, che con più studio e maggior diligenza
se le arebbe potuto torre, dirittamente a V. S. Illustrissima più che a me averà
da imputarlo; poiché, in approvandola tutta, mi ha confortato e sospinto a
mandarla in luce, né io me le ho potuto o dovuto opporre, essendo Ella nelle
lettere giudiciosissima, e sedendo per origine, per fortuna e per valore, in
altissimo grado fra’ nostri primi Baroni; al cui profitto questa fatica in
maggior parte riguarda. Ma, per certo, né anche è da maravigliarsi che V. S.
Illustrissima procuri con tanto desiderio che altri conosca, per la lezione
dell’istorie, li pestiferi frutti che sogliono produrre le discordie e le
ribellioni: poiché ancor giovanetto, seguendo l’orme de’ suoi predecessori,
devotissimi della corona aragonese, ha sì prontamente e magnificamente servito
il suo Re nelle prossime
guerre, che n’ha riportato dignità e gloria; e, quel ch’è mollo più da stimare,
l’amore e la benivolenza di tanta Maestà, dignissimo premio di un animo nobile e
generoso.