Bonincontrus de Bovi

Hystoria de discordia et persecutione

Bonincontro de’ Bovi trascorse l’intera sua esistenza a Venezia, dove fu attivo come notaio della cancelleria dogale tra il 1313 e il 1346. Di lui ci è pervenuta un’unica opera, la Hystoria de discordia et persecutione quam habuit Ecclesia cum imperatore Federico Barbarossa tempore Alexandri tercii summi pontificis et demum de pace facta Veneciis et habita inter eos, qui proposta in edizione.

Si tratta di un esempio di cronachistica “minore” veneziana, redatto poco prima della grande cronaca di Andrea Dandolo. Il breve testo narra le trattative intercorse a Venezia nel 1177 tra Federico Barbarossa e papa Alessandro III. Il ruolo svolto dal doge viene enfatizzato e i fatti sono presentati in chiave celebrativa, contribuendo così a delineare un elemento fondativo del nascente “mito di Venezia”.

L’autore rielabora un nucleo di memoria locale integrandolo con informazioni di probabile provenienza extra-veneziana, che vengono ricondotte entro una cornice interpretativa funzionale alla narrazione civica. L’indizio più chiaro di questo apporto non autoctono è l’episodio in cui il pontefice posa il piede sul volto dell’imperatore dopo la riconciliazione: un’immagine fortemente allusiva, modellata su un preciso riferimento biblico, che rafforza la lettura provvidenzialistica della vicenda. In questa prospettiva, la Hystoria rivela una chiara consapevolezza autoriale: Bonincontro non si limita a registrare eventi del passato, ma interviene attivamente sulla memoria storica, rielaborandola in funzione delle esigenze di autorappresentazione ufficiale del Comune. L’opera di Bonincontro può dunque essere considerata un passaggio significativo verso forme più mature di storiografia civica, anticipando e preparando il terreno al grande cantiere cronachistico promosso, pochi decenni dopo, dal doge Andrea Dandolo.

Sul tema della consapevolezza autoriale è particolarmente significativo l’explicit dell’opera, che costituisce uno degli aspetti più originali e rivelatori del testo. In esso Bonincontro si nomina e si identifica come autore utilizzando una formula che ricalca la rogatio notarile. Una simile auto-presentazione rivela l’incrocio consapevole tra cultura cancelleresca e ambizioni letterarie: l’autore non solo certifica la propria identità e il proprio ruolo istituzionale, ma rivendica anche l’appartenenza piena alla comunità veneziana, nonostante le origini esterne. In questo modo, la subscriptio notarile – che ha normalmente la funzione di garantire l’autenticità giuridica di un documento – viene trasposta sul piano storiografico, conferendo alla narrazione un valore di testimonianza ufficiale e contribuendo a rafforzarne la funzione politica e memoriale nella costruzione dell’identità del Comune.