Denominazione Basilicata

date

1889

author

Ciccotti, Ettore

title

La Basilicata [estratto 4]

bibliography

  • Gazzetta Letteraria, a. XIII, n.20 del 18 maggio 1889, pp. 153-154.

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(Condizioni sociali ed economiche alla vigilia dell’Unità – parte prima) E le condizioni sociali non progredirono meglio. In un paese qual era e qual è in parte ancora la Basilicata per la mancanza di materia prima di altra industria e di forze motrici naturali da usufruire e fino a poco fa, anche per la deficienza assoluta di comunicazioni, altra industria non era possibile che l’agraria. Anche oggi che altri fatti hanno reso possibile e necessari un più difforme impiego dell’attività umana, la Basilicata è quarta tra le province del regno pel numero proporzionale del ceto agricolo e secondo il computo di uno de’ nostri scrittori di statistica, su 1000 maschi, 525 sono addetti all’agricoltura. Molto maggiore dovea essere per il passato la proporzione: la terra non era la principale, ma la sola nudrice in Basilicata, e l’organizzazione sociale era così semplice che si poteva dire che non vi fossero altro se non proprietari e lavoratori della terra. Le scarse esigenze de’ tempi e degli usi faceano sì che il ceto artigiano vi fosse abbastanza limitato; ed una classe media, che vivesse di lavoro professionale, si sviluppò soprattutto in seguito agli avvenimenti politici e sociali che ebbero luogo sulla fine del passato secolo e sugli inizi di questo, e crebbe molto d’importanza e di potere sì da essere in grado di preparare, essa principalmente, la rivoluzione, ma non crebbe mai molto di numero. Contadini, adunque, o cafoni, un numero relativamente piccolo di più grandi fittavoli, e proprietari della terra costituivano il fondo della popolazione, e vivevano tutti in un ambiente non molto diverso, né separati da grandi differenze intellettuali o morali; semplicemente la relativa agiatezza e la soluzione in parte tradizionale, in parte dettata dalla necessità dei presenti, inspiravano al contadino verso il galantuomo una reverenza che in parte era ossequio, in parte servilità, in parte paura. Il livello intellettuale in tutti era basso, ed istituzioni di coltura che potessero rialzarlo non v’erano, né v’era chi pensasse d’istituirle. Il Governo, inspirato da quel volgarissimo concetto che la dottrina de’ dominatori sarebbe maggiore quanto più grande fosse l’ignoranza de’ soggetti, non faceva niente per diffondere l’istruzione, anzi si adoprava a tutt’uomo perché avvenisse il contrario; e le cose veramente volgevano per esso a seconda. Non scuole popolari, non biblioteche, tranne che le raccolte di libri chiesastici e teologici de’ vecchi conventi; non giornali; L’unico istituto d’istruzione venne presto in mano a dei Gesuiti, e per ragioni economiche non era accessibile a tutti. L’istruzione professionale non era seguita da molti, e per i bisogni di una coltura mezzana sopperivano i seminari o le scuole private che nei più oscuri paeselli tenevano uomini, secondo lo spirito dei tempi, dotti soprattutto di latino e di diritto e di una certa loro suppellettile filosofica, insufficienti d’ordinario, o poco meno, nel resto. A nuovi libri, a giornali stranieri, a nuove correnti, se anche si fosse voluto, era precluso l’adito in diversa maniera. L’economia pubblica e privata poi era delle più semplici: scarsi i bisogni, frugali in genere, od almeno non soverchiamente dispendiose, le abitudini, ed arte e condizione insieme di dispotismo ed equivalente della ristrettezza di servizi pubblici, poco gravose le imposte. Onde massimamente avveniva che trovandosi una popolazione relativamente piccola sopra una superficie relativamente grande la coltura prevalente della terra dovea essere certamente l’estensiva, e tale fu. A mutare la coltura di estensiva in intensiva, ad accrescere la produzione non erano di stimolo i soverchi bisogni, e si seguiva anche in ciò la tradizione. Diversi metodi di coltura o non si conoscevano, o sembrava troppo ardito tentarli, mentre con poca fatica si poteva far rendere abbastanza la terra; e quando veniva fatto, il che certamente accadeva, di accumulare un capitale, sembrava più conveniente riporlo in serbo, od impiegarlo nell’acquisto di altri fondi, ed anche altrimenti, anzi che investirlo nella terra, perché rendesse vie maggiormente. Un impiego molto conveniente del capitale economizzato era ritenuto l’acquisto di mandrie e di greggi che mentre riuscivano di sussidio a quel modo di coltura potevano essere senza molto dispendio mantenute sulle estensioni lasciate a pascolo, o ne’ boschi vasti e presenti, ed oltre a ciò, proprio presso le popolazioni barbariche, davano una certa considerazione, quasi un’aria di nobiltà a chi ne era il fortunato possessore. E lo stesso sistema di coltura estensiva, non obbligando il coltivatore a dimorare continuamente sul fondo, spiega in parte la scarsezza di case coloniche, che colpisce a prima vista chi attraversa la Basilicata, e danneggia oggi gravemente in quella regione l’agricoltura. Il metodo adoperato nella coltura richiamava di rado al campo il contadino, ch’era, com’è ancora di solito giornaliero e colono al tempo stesso; e a tenerlo in paese contribuivano ancora l’inclemenza molte volte eccessiva degli inverni, la difficoltà de’ sentieri molto spesso interrotti da torrenti e privi di ponti, la tranquillità frequentemente turbata dalle campagne e la insalubrità di molti luoghi. Inoltre una buona parte dei paesi e delle borgate non erano che antichi centri colonici, i quali si erano venuti popolando; ed a costruire nuove case coloniche da un lato non si vedeva la necessità, e dall’altro i proprietari erano renitenti ad erogare un nuovo capitale, di cui non vedevano il frutto; ed i contadini stessi, avvezzi ormai per lungo tratto di tempo a vivere nell’abitato, mal si sarebbero piegati a vivere nell’isolamento, mutando subitamente usi, abitudini e l’impiego stesso dell’attività loro.

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