Le quattro province di Calabrie e Basilicata, strette prima fra i due mari Ionio e Tirreno, vanno poi allargandosi fra l’Appennino e l'Ionio, e terminano in quella vasta pianura fortemente ondulata, che si confonde colla Puglia. L'Appennino forma, per così dire, la spina dorsale delle Calabrie. Prima corre in un’unica catena centrale, poi in due rami, che lascian posto fra di loro alla vasta valle del Crati; quindi, cambiando direzione, forma quel nodo di monti, che è la parte alta di Basilicata. Le marine talvolta sono strette fra i monti e le acque, talvolta si allargano in vaste pianure.
Il clima, freddissimo negli altipiani che coronano in buona parte della sua lunghezza la catena centrale della Calabria Ulteriore, nell'altipiano della Sila, nella parte alpestre di Basilicata, che rimangono coperte di neve tre o quattro mesi dell'anno, caldo alle spiagge dei due mari e nelle pianure ondulate della Basilicata pugliese, atto secondo le altezze alle produzioni più diverse, sembrava, per la sua varietà, prestarsi alla divisione delle colture ed in conseguenza ad un attivo commercio interno. La coltura degli alberi fruttiferi, agrumi, viti, ulivi, che esigono, i due primi sempre, i terzi in alcuni casi, le continue cure del lavorante, sembrava promettere un patto colonico dove il contadino, dividendo col padrone i frutti della terra, interessato quanto lui ad assicurare la riescita, vivesse vita agiata. E se la conformazione fisica del paese, montuoso al centro, privo di porti naturali alla marina, rendeva difficili le comunicazioni e il commercio interno ed estero, sembrava che la fertilità del suolo, il gran valore di alcuni suoi prodotti, i fiumi in parte perenni e perciò atti a servire all'irrigazione, avessero a dare tanta ricchezza di avanzo da poter supplire coli' industria ai difetti della natura, e promettessero tali guadagni in compenso, da spingere all'opera i proprietari più inerti, i capitalisti più timidi.
Gli eventi politici hanno disposto altrimenti. Le marine e le pianure furono disertate dalle incursioni dei Saraceni, rammentate anch'oggi dalle numerose torri di guardia diroccate lungo la spiaggia dell'Ionio. Gli abitanti, cacciati dentro alle montagne, furono costretti a diboscarle e a dissodarle per mangiare. I fiumi, colmato il loro letto dalle macerie dei monti, impaludarono le valli e i piani, e ne avvelenarono l'aria. E dopo che questo ebbe reso necessario maggior lavoro e maggior risparmio per poter approfittare delle ricchezze e dei vantaggi naturali di quella terra, le invasioni e le conquiste dei Normanni, Angioini, Aragonesi, Francesi, Spagnuoli e Tedeschi, riunirono tutti quei terreni nelle mani di pochi forestieri che conoscevano per ricchezza quelle sole cose che loro servivano a mantenere degli armati, il cui solo interesse era assicurarsi la fedeltà e affezione di quegli armati; e i quali, rinchiusi nei loro fondi, essi, i loro uomini e i loro prodotti, non ne uscivano che per guerreggiare contro i vicini. Col cambiare delle dominazioni cambiarono i feudatari, non la barbarie, non i disordini, la prepotenza dei signori, la miseria e l'abbrutimento dei contadini, non l’incertezza dei magri prodotti d'una terra appena coltivata in alcuni punti. E mentre il rimanente d'Europa andava mano a mano incivilendosi, quei paesi, per la loro stessa posizione tagliati fuori, per così dire, dal rimanente d'Europa, duravano nella loro miseria e nella loro barbarie. Venne la rivoluzione e la dominazione francese a cercarli in quell'angolo remoto. Dieci anni di signoria forestiera o quasi, tolsero il feudalismo, almeno in diritto, principiarono la prima strada rotabile che doveva congiungere quelle province al rimanente d'Italia, fecero cambiar di mano a qualche fortuna, e poi finirono, lasciando leggi ch'erano speranza e possibilità di miglioramento piuttosto che miglioramento, lasciando le strade e i mezzi di commerciare quasi come li avevano trovati, maggiore il numero dei proprietari ed accresciuto per tal modo il numero dei piccoli tiranni possessori esclusivi della terra e del capitale, ma non sminuzzata la proprietà. Perché l'abolizione della feudalità, la principiata divisione dei demani comunali, e le vendite di beni dei conventi avevan lasciata la gran massa dei contadini proletari come prima. Tornati i Borboni, impedita con ogni mezzo, dalla loro politica egoista e sospettosa qualunque comunicazione, specialmente di quelle quattro province col rimanente d'Italia e d'Europa, il commercio, ed in conseguenza la produzione, non ebbero agio di crescere, e quelle quattro province; o buona parte di esse, rimasero, di fatto, in condizioni economiche e sociali non molto dissimili a quelle del secolo precedente.
Ed ecco perché, nel 1860, quando i soldati e l'amministrazione Italiana entrarono in Calabria e in Basilicata, trovarono la popolazione divisa in due classi, degli oppressori e degli oppressi, cioè dei proprietari e dei lavoranti del suolo, che lasciavano appena fra di loro posto a pochi contadini agiati, a piccoli commercianti troppo poco numerosi per influire sulle condizioni economiche e morali del paese, e ad avvocati che erano in numero troppo grande pei bisogni di un paese senza commercio, accattanti, e perciò corruttori, insomma quali li dipinge il Colletta. Trovarono gli oppressori, con quei vizi che, in ogni tempo ed in ogni paese, ha chi non deve rispondere in nessun modo a nessuno dei propri atti, cioè, salve alcune eccezioni, prepotenti, disonesti senza averne coscienza, incapaci di concepire nella classe sottoposta diritti che, nel fatto, non avevan sanzione; continuamente rivali fra di loro per la preponderanza; nelle gare e nelle vendette, pronti ad usar la violenza, come quelli che, vivendo in paese semibarbaro, con poca varietà e complicazione d'interessi, non hanno luogo d'intendere da per sé la necessità dell'ordine per il buon andamento della società, e d'altra parte, non sono dall'autorità sociale costretti efficacemente a rispettarlo. Negli oppressi, nessuna transizione fra il timore, l'ubbidienza, la docilità la più abbietta, e la rivolta la più brutale ed efferata contro tutti, il brigantaggio, insomma. I ricchi, ancora sotto l'impressione dei tempi d'incertezza politica e di violenza, repugnavano dal seppellire per lunghi anni capitali nella terra; impediti dalla mancanza di commercio di sperimentare i guadagni di una maggior produzione, erano soddisfatti del frutto di alberi crescenti quasi spontaneamente, e di poter trarre da una terra magramente coltivata, senza capitali, quasi senza arnesi, quella parte dei prodotti che potevano, senza fare attualmente morir di fame i contadini. I poveri, in grandissima maggioranza colle sole braccia, ridotti a lavorare la terra per un vitto per lo più appena bastante, spogliati dall'usura di quel poco che potevano aver risparmiato.