
date
1874
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Le condizioni economiche ed amministrative in Calabria e Basilicata secondo Leopoldo Franchetti [estratto 7]
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- "Condizioni economiche ed amministrative delle provincie napoletane. Abbruzzi e Molise – Calabrie e Basilicata. Appunti di viaggio", Tip. della Gazzetta d’Italia, Firenze, 1874, pp. 102-105
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Fino adesso, ragionando della classe infima, non ho parlato che dei contadini; i quali, di fatti, la compongono quasi esclusivamente. La classe dei manifattori, in un paese quasi senza industrie speciali, si limita a quel numero di persone, relativamente ristrettissimo, il cui lavoro, è richiesto dai pochi bisogni giornalieri di quelle popolazioni. Lascio da parte l'industria dell'estrazione del sugo dalla radice di liquirizia, praticata in pochissimi luoghi, nei soli mesi d'inverno e con processo meccanico, per modo che impiega piccolissimo numero di persone, che appartengono alla classe dei contadini piuttosto che a quella degli artigiani. La condizione degli artigiani è, a un dipresso, eguale a quella dei contadini. Quantunque il salario della giornata sia per i mestieranti un poco più alto, l'incertezza del lavoro pareggia le condizioni, se pure la loro condizione morale non la peggiora. L'artigiano in generale si considera superiore al contadino, e, quando manca di lavoro, sdegna per lo più di cercare mezzi di sussistenza fuori del suo mestiere, coi lavori di campagna, col portar pesi, ecc. Le sue condizioni di vita lo portano meno che il contadino a una certa previdenza a corta scadenza; egli fa di rado le sue provvisioni di cereali per l'inverno e di rado fa il suo pane in casa. Per modo che deve andare a comprarlo dai fornai che dappertutto lo vendono non a peso, ma a pagnotte di prezzo fisso, venti centesimi per lo più, mal fatto, mal cotto, poco nutriente, esorbitantemente caro. Lo stare non solo di notte, ma anche di giorno in città, e la continua vicinanza delle bettole tira fuori di tasca all'artigiano quei denari che può avere; d'altra parte, il genere di vita della moglie che non lavora in campagna, la porta ad una certa ambizione nel vestire che la contadina non ha, od ha meno. Per queste ragioni, l'artigiano è, per indole, portato meno ancora che il contadino a tenere economie in denaro, ed ha minori opportunità che questo d'investire i suoi risparmi sotto una forma od un'altra, in provvigioni, per esempio. Da ciò nasce che in alcuni dei luoghi dove, per i lavori ferroviari e stradali i salari, specialmente dei muratori, sono cresciuti, l'effetto, a quanto ho sentito, è stato non un miglioramento, ma un peggioramento della condizione degli operai, perché sono cresciuti i loro bisogni. Laonde, nella generalità la miseria è estrema e i costumi sono corrotti. Specialmente fra gli artigiani dei paesi, accade che padri e mariti vendano le figlie e le mogli.
Vi è peraltro fra gli artigiani come fra i contadini, una classe economicamente e moralmente superiore alla maggioranza, e che si compone specialmente, per quanto ho potuto riscontrare, dei fabbri meccanici armaioli. A quest'arte, che richiede un capitale relativamente considerevole, si danno uomini non assolutamente proletari. La richiesta d'armi, in province dove nessuna persona agiata esce di casa senza revolver, o di paese senza fucile, è continua, e l'industria locale è stata scemata, non distrutta dalla concorrenza dei prodotti esteri che, quantunque siano più leggeri, più eleganti e meno costosi, hanno forse minor solidità e minor precisione. È sorprendente non solo la facoltà d'imitazione di quella categoria d'artigiani e l’abilità colla quale riducono armi vecchie o ne fabbricano nuove sui modelli più recenti, ma anche la loro intelligenza, il modo in cui si rendono conto del perché d'ogni cosa, le modificazioni che portano ai sistemi già conosciuti, e i nuovi sistemi che inventano. La superiorità intellettuale di questa ristrettissima aristocrazia, per così chiamarla, sulla generalità degli operai, mi è sembrata maggiore di quella dei contadini agiati sui miserabili.
In alcuni pochi luoghi dove l'agglomerazione di artigiani è un poco maggiore, ho notato, passando, qualche segno che, almeno in apparenza, accennerebbe ad un movimento intellettuale degli operai diretto a migliorare in un modo o in un altro la loro condizione. Vi sono alcune società operaie, si vedono insegne di botteghe come questa: «Magazzino di generi diversi del cittadino tale»; in un altro luogo ho visto un Caffè degli scioperai. Non ebbi agio di conoscere particolari su questo argomento, e ignoro assolutamente se a queste apparenze corrispondano fatti, e quale possa esser l’indole di questi fatti. Se, come oso sperare, fra i miei lettori vi sarà chi vorrà andare in quelle parti a rifare, verificare, completare e correggere questo mio abbozzo d'inchiesta, gli raccomando di tener d'occhio anche questa categoria di fatti. Un tale movimento, dato che esista realmente, se potesse esser diretto da persone oneste, disinteressate, istruite ed intelligenti, se sostenuto da stabilimenti seri di risparmio e di credito popolare, se non avversato dalle autorità quando si manifestasse con forme legali potrebbe forse aiutare il nascere di una classe media e industriosa, in possesso di capitale mobile, il cui bisogno si fa tanto sentire in quei paesi. Se lasciato in mano ad arruffapopoli o ad entusiasti sinceri ma ignoranti, oppure se avversato e compresso dall'autorità anche nelle sue manifestazioni lecite, potrebbe esser di grave pericolo per l'ordine pubblico in un paese come quello, dove un movimento violento degli artigiani potrebbe far conto sulla simpatia e sull'aiuto di una classe di contadini numerosissima, oppressa, sofferente e semibarbara.
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