date

1874

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Franchetti, Leopoldo.

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Le condizioni economiche ed amministrative in Calabria e Basilicata secondo Leopoldo Franchetti [estratto 9]

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  • "Condizioni economiche ed amministrative delle provincie napoletane. Abbruzzi e Molise – Calabrie e Basilicata. Appunti di viaggio", Tip. della Gazzetta d’Italia, Firenze, 1874, pp. 150-155.

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Quale è stata descritta in queste ultime pagine, tale mi è parsa la condizione economica ed intellettuale della gran maggioranza dei proprietari in quelle province. Rimasti oggi ancora, almeno il maggior numero di loro, interamente isolati dal resto del mondo e dalle sue idee, padroni assoluti degli uomini e delle cose sui loro fondi senza che vi sia una forza efficace a contrastare le loro volontà qualunque siano, è naturale che, nelle loro menti, i loro interessi o desiderii, ed il loro diritto facciano una cosa sola. L'idea di diritto nel senso di giusto, non ha avuto luogo di nascere in quelle menti, e non era certamente atta a produrla la corruzione quasi sistematica dell'amministrazione Borbonica che sacrificava tutto ai suoi fini politici. Su questo argomento, come sopra parecchi altri non posso che rinviare il lettore a ciò che ho già detto intorno agli Abruzzi e al Molise. La differenza è in peggio per le province di cui parlo adesso, le quali hanno di più una classe di grandissimi proprietari dei quali buona parte ha residenza in paese ed amministra da sé i propri fondi, piccoli principotti gelosi della loro onnipotenza quanto dei loro guadagni materiali. Essi hanno perfino, specialmente in Calabria, una piccola forza armata ai loro ordini. I loro guardiani che, del resto, non potrebbero congedare anche volendolo, sono in parte, malgrado le leggi e regolamenti di sicurezza pubblica, persone pregiudicate colla polizia e che, essendo armate e non avendo idee sulla morale e la giustizia più chiare del rimanente della popolazione, se non hanno commesso un delitto, non hanno nessuna ragione per non commetterlo trovandosi nel caso di farlo. Il grande proprietario che fino a recentemente, quando il brigantaggio non era come adesso ridotto ai minimi termini, dipendeva dai suoi guardiani per la sua sicurezza personale, li difende da canto suo contro tutto e tutti; contro i loro nemici personali, come contro l'autorità pubblica quando abbiano commesso un misfatto. Insomma, sotto questo riguardo come sotto molti altri, sono rimasti ai tempi feudali. Al gran signore non importa che si produca molto sulle sue terre, ma vuole che tutto ciò che si produce sia suo; non gì' importa aver quella influenza estesa e variata che in un paese civile accompagna una gran fortuna territoriale e un gran nome, ma vuole che quei pochi che dipendono da lui siano assolutamente suoi schiavi. Egli insomma vuol potenza, ma in quelle condizioni di civiltà, la sola potenza che egli possa immaginare ed anche ottenere, è quella di un principotto selvaggio. Mi preme però fare osservare che qui faccio una descrizione a tratti generali, e che non mancano onorevolissime eccezioni di cui potrei nominar parecchie.

Ma tralasciando di parlare più a lungo della classe speciale dei grandissimi proprietari, questo disprezzo, o piuttosto quest' ignoranza dei diritti che non hanno per proteggerli e sancirli una forza qualsiasi, è comune a tutte le categorie di abbienti, quantunque dappertutto siano pure molte onorevolissime persone che vedono questi mali e li deplorano. Essa assume forme svariate secondo la ricchezza del galantuomo e le relazioni che esso ha in conseguenza coi contadini: le quali del resto sono d'ogni specie e numerosissime per l'assoluta dipendenza morale che accompagna come in Abruzzi e Molise la dipendenza economica. Citerò un fatto solo: un contadino, che pure era fra i più svelti, essendo stato in America, va da un sotto-prefetto a lamentarsi perché un galantuomo, al quale avea affidate le sue economie, rifiutava di rendergliele, ma raccomandandosi nel tempo stesso che il sotto-prefetto non parli, perché la persona, essendo un signore può fare del male a lui contadino. Il sotto-prefetto fece naturalmente iniziare un procedimento penale contro il colpevole, che probabilmente a quest'ora è in carcere. Ma per uno che ha osato lamentarsi, quanti stanno zitti? Evidentemente l'attuale modo di procedere della giustizia che aspetta le denunzie, è inefficace per quel grado di civiltà. Anche, se il contadino fosse tanto certo dell'esito del processo da andarsi a lamentare all'autorità giudiziaria quando ha ricevuto un torto da un signore, la sede del tribunale e del procuratore del Re è spesso lontana. Il pretore, è vero, è più vicino, ma senza dar nissun giudizio sul personale dei pretori non avendo dato alcuno in proposito, dirò solamente che il pretore, in generale, è amico dei principali signori del paese, in scambio con loro di visite e di gentilezze. La diffidenza del contadino naturalmente è risvegliata. Fra i rimedi per questo stato di cose, non sarebbe a parer mio il meno efficace l'istituzione di magistrati inquirenti che girassero tutti i paesi, incaricati specialmente di ricercare quei delitti i quali adesso non possono esser conosciuti che per mezzo della denunzia di persona interessata.

Riguardo alla condizione delle donne della classe infima, si può dire che in molti luoghi il diritto del signore esiste ancora di fatto. E l'esercizio di questo diritto è reso molto attivo dall'uso nelle famiglie ricche che uno solo dei fratelli pigli moglie. Gli altri prendono mantenute fra le contadine; i figli che nascono crescono alla grazia di Dio. Su questo argomento rinvio il lettore a ciò che dice il sig. Pani Rossi nel suo libro sulla Basilicata; le sue osservazioni si adattano alle Calabrie. In quelle province, una legge che permettesse la ricerca della paternità sarebbe sommo benefizio per la moralità pubblica e per la divisione delle fortune. Bisogna dire però, a pro del vero, che in molti luoghi e in molti casi, l'onore delle donne non è fra le cose che premano più ai contadini.

Ma d'altra parte, non è sorprendente che i contadini lasciati in tal modo in balia a tutte le volontà, a tutti i capricci, a tutti i soprusi dei ricchi, se hanno un po'di forza d'animo, finiscano per rivoltarsi e darsi alla campagna. Io non intendo punto fare un romanzo sociale sul genere di quelli di Eugenio Sue, né descrivere tutti i ricchi come dei mostri di brutalità, di corruzione, di crudeltà studiate, e tutti i poveri come tante vittime piene d'intelligenza e di virtù, che pensano e parlano come dei giovani educati nei licei e nelle università di qualche capitale d'Europa. I caratteri degli uni e degli altri non stonano punto fra di loro. Gli uni e gli altri sono i risultati o, se preferiamo, le vittime di condizioni generali che non hanno prodotte. Se i proprietari si pigliano le mogli e le figlie dei contadini, i contadini spesso e volentieri vengono a venderle da sé; ho già notato lo strano, contrasto fra la rigida onestà dei contadini in certe cose, e la loro disonestà sistematica in certe altre. I briganti di Calabria e di Basilicata non hanno nulla che fare con quelli di Schiller: le campagne disabitate, i boschi e i monti sono un rifugio buono per tutti, e tutti i birbanti, tutti i pregiudicati, tutti quelli che hanno commesso un delitto qualunque, vanno a farsi briganti come quelli che vi sono stati spinti da qualche ingiustizia e che sono pur essi ormai infami mascalzoni. Il genere di vita dei contadini è tale, che il farsi briganti é un miglioramento piuttosto che un peggioramento nella loro condizione, e perciò nessuno di loro ripugna dal gettarsi alla campagna. Voglio dire solamente che, nel tempo stesso che si fucilano i briganti e che si sottopone a stretta sorveglianza tutta la classe dei contadini, occorrerebbe ricercare se non vi sono in altre classi di persone torti e delitti per quanto siano meno facili a costatarsi, almeno cogli ordinamenti attuali, e ricercare e punire anche quelli con uguale attività e severità.

Questa mancanza di sentimento del diritto, o, per dirla un po' più brutalmente, questa mancanza di senso morale si estende naturalmente a buona parte di tutte le categorie di persone che hanno i mezzi di commettere ingiustizie e di operare inganni. E non sono soli a soffrirne i contadini, ma anche alcuni della stessa classe abbiente. Sento dire che non pochi grossi proprietari, residenti nelle grandi città, sono per così dire esclusi dai loro fondi da una specie di mafia di persone di condizione media che tengono quei fondi a fitto. Questo fatto non è però generale quanto alcuni sembrano crederlo, perché sono numerosissimi i grandi proprietari che amministrano da sé i loro fondi e risiedono nella vicinanza delle loro terre tutto l'anno, o almeno per alcuni mesi ogni anno.

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