Spiritus loci

date

1969

author

Madeo, Alfonso

title

Superstizione e fiori d’arancio: A. Madeo

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  • «Corriere della Sera», 11 nov. 1969, p. 3.

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Superstizione e fiori d’arancio

Potenza, novembre.

Abbiamo parlato dei riti che al Sud accompagnano e insaporiscono eventi come il fidanzamento. Il nostro viaggio prosegue lungo i sentieri lucani della superstizione e del folclore. È venuto il momento di passare in rassegna i riti legati all’avvenimento nuziale. Il matrimonio è il compendio di una serie di riti magico-religiosi, il cui momento più solenne si raggiunge all’atto della benedizione dell’anello in chiesa.

Un tempo, naturalmente, la serie dei riti magico-religiosi presentava ramificazioni nel costume della società contadina e implicazioni nella situazione economica, che hanno perduto vigore nel processo di evoluzione della mentalità regionale. Tuttavia sarebbe sbagliato credere che i «relitti rituali» abbiano perduto i contatti con la realtà della vita quotidiana delle popolazioni lucane e meridionali, dove la contaminazione fra magia e religione, fra sacro e profano, fra superstizione e tradizione, sopravvive in funzione di regola nel gioco dei rapporti individuali e familiari.

Si deve aggiungere che una quantità di riti superstiti fra quelli connessi all’evento nuziale propone alla psicologia moderna molteplici aspetti ameni, curiosi, strambi. Ad esempio, presso talune comunità all’interno, si continua ad attribuire influssi benefici o malefici ai mesi dell’anno prescelti per la celebrazione del matrimonio. Novembre è mese sconsigliato in quanto dedicato al culto dei morti. Il periodo quaresimale, per via dei richiami religiosi alla continenza, dev’essere ugualmente evitato. Essendo consacrato alla verginità della Madonna, anche maggio raccomanda cautela. Sono preferibili carnevale e autunno. Decisamente. Senza riserve.

Quanto ai giorni, è credenza popolare che più felice sia la scelta della domenica, del sabato e del mercoledì.

Brutto sintomo

Di marte e di venere, sappiamo tutti, non si parte e non si sposa. Sarebbe un giorno propizio pure il giovedì, se per consuetudine non fosse riservato alle nozze di vedovi e vedove. E di questo passo si perviene con rapidità al capitolo dei segni augurali, ai quali, in molti villaggi della Basilicata e della Calabria, conviene prestare attenzione estrema. È segno di cattivo augurio se il corteo nunziale incontra un funerale. Idem se incontra un carro carico di foglie secche o un asino morto. Buon segno, invece, se il corteo s’imbatte in una banda musicale. Alla riuscita d’un matrimonio sembra che la pioggia s’addica molto. È brutto sintomo che una candela si spenga in chiesa durante la cerimonia. Così, durante la cerimonia, è utile tener le orecchie tese. Qualora le campane si mettano a suonare a morto, un messaggero parta di gran carriera a raccogliere informazioni. Difatti, se le campane suonano per la dipartita di una donna, significa che morirà prima la sposina dello sposino. E viceversa.

Ora vediamo alcune procedure tipiche. In località come San Mauro Forte, alla vigilia delle nozze, una consuetudine vuole che la fidanzata si rechi nella casa del fidanzato per impastare insieme alla madre di quest’ultimo una speciale forma di pane per il banchetto. E scocca il giorno fatidico. Studiosi di tradizioni folcloristiche e di etnologia si sono cimentati nell’interpretazione dei valori emblematici attribuiti dalla credenza popolare ai diversi «capi» del vestito nuziale. E pare si debba concludere che la cintura della sposa abbia valore di legame cerimoniale, mentre il grembiule avrebbe la funzione simbolica di protezione del sesso e la scarpa indicherebbe la subordinazione di lei a lui.

In ogni posto si pretende che l’abito-costume della sposa sia riccamente ornato, il più possibile. Allorché il corteo si mette in moto, quindi, capita di osservare gruppetti di amici e parenti avviarsi lesti verso la chiesa. Vanno ad appostarsi intorno all’acquasantiera per impedire che qualche malintenzionato vi getti filtri per maligne fatture. Nei paesi di montagna è consuetudine che il corteo proceda a piedi. Negli altri posti, il corteo viaggia lentissimo in macchina con il clacson schiacciato a pieno volume.

È a Marsico Vetere che gli sposi devono saltare a piè pari la soglia della chiesa per scavalcare eventuali fatture: in quest’atto si salda il rapporto magico e religioso del rito, dunque. Aggiungeremo una piccola curiosità. È sempre a Marsico Vetere che gli sposi considerano d’ottimo augurio solo la lettura del Vangelo di San Giovanni.

Al momento dell’elevazione, in alcune località del Materano, una comare si affretta a coprire il capo della sposa con un fazzoletto di seta. Il gesto è inteso a proteggere la sposa dall’eventualità di aggressioni demoniache. Analogamente, più tardi, si baderà che il corteo di ritorno non ripercorra l’itinerario di andata, lungo il quale è da temere che gli spiriti maligni si siano posti in agguato.

Il ballo rituale

Un altro momento gremito di riti con natura esorcistica è quello dell’ingresso della sposa in casa, dopo la celebrazione del matrimonio religioso. Fino a poco tempo fa, a San Mauro Forte, la suocera offriva alla nuora un cucchiaino di zucchero. A Craco, un cucchiaino di miele. A Grassano si pretendeva che la sposina calpestasse un dolce per terra. A Tursi, la suocera batteva un uovo sulla fronte della nuora fino a spaccarlo. La presa del potere domestico, a Tricarico, era recitata dalla nuora che riceveva in consegna dalla suocera una scure. La ritualità del momento si rinnova in ogni località, al giorno d’oggi. Solo, si sono attenuate le simbologie e si sono appannati i significati solenni.

E finalmente si dà inizio al banchetto. Pantagruelico in proporzione ai mezzi familiari. Rumoroso, allegro. E malizioso. Ceci arrostiti alla mensa tradizionale di Tricarico. Piatto unico per lui e per lei a Venosa. Offerte di denaro in busta chiusa da parte dei commensali. Poi, come rito di associazione, viene il ballo. Naturalmente, primi a scendere in pista sono gli sposini. Ritirati i regali e salutati i parenti stretti, ad un certo punto della festa, lui e lei scompaiono dalla circolazione. Dev’esser lei a precedere lui, di solito. Ma è questione di minuti.

Una volta, per trarre in inganno i demoni, gli sposini erano costretti dalle leggi della superstizione a rimandare la prima notte: giorni, settimane e perfino mesi, dipendeva dal grado del pericolo. Fatto è che ognuno tornava a dormire nella casa paterna. Quanto grande fosse il sacrificio e quanto profondo fosse il disagio che la coppia si infliggeva, lo testimonia una canzone popolare in dialetto lucano. Si cantava in quella parentesi d’astinenza volontaria.

Scherzi maliziosi

Il letto è stato predisposto con cura rispettosa dall’usanza e del rito. Ad Avigliano sono gli amici a prepararlo con due giorni d’anticipo e talvolta si lasciano andare a scherzetti maliziosi come quello di legare campanellini sotto la rete. A Matera, in molte famiglie, s’usa che siano le amiche nubili della sposa. Ma è più diffusa la consuetudine in Basilicata che vi provvedono le suocere. E ciò spiega la sopravvivenza di taluni riti di preservazione. Per solito si definiscono così gli atti di ricorso ad amuleti, santini, ritagli di stola sacerdotale da nascondere sotto il materasso.

A Marsico Vetere, i mezzi più tradizionali per combattere il malocchio sono questi: sei chicchi di grano, un pizzico di sale, la falce e una forbice aperta. A Pisticci, continuando l’esemplificazione: una successione di spilli lungo i quattro bordi del letto. Gran guaio, in certi villaggi di montagna, se si dimentica davanti alla porta della camera nuziale un aratro oppure una carogna di animale. È dimenticanza colpevole. Ne possono derivare dispiaceri seri per gli sposini.

Il miglioramento dei livelli economici e l’affermazione di riti più moderni e disinvolti hanno allargato il numero delle giovani coppie che si concedono il «lusso» che non tutti possono permettersi ancora. In soccorso di costoro interviene la tradizione. Gli sposi hanno diritto a trascorrere un’intera settimana nella propria stanza o nel proprio appartamento, liberi da incombenze domestiche, alle quali è necessario che provvedano i parenti.

A Tolve e in altri paesi, vien chiamata la «settimana della vergogna». Non si tratta di un appezzamento morale o sociale, ad ogni buon conto. È la definizione un po’ rude, pesantemente maliziosa, di ciò che si presume avvenga alla sposina durante i sette giorni di isolamento in camera. D’altronde, «settimana di vergogna» è la traduzione maldestra ed inesatta dell’espressione dialettale di «settimana della vergognanza». Dalla quale, aggiungiamo, è consuetudine che gli sposini escano per recarsi in chiesa in occasione d’una messa solenne. In qualche località, la fine della settimana d’amore si festeggia con la ripetizione del banchetto nuziale: questa volta inteso come rito di ingresso nella vita di tutti i giorni. La fine della festa val bene una festa, tutto sommato.

Alfonso Madeo

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