Spiritus loci

date

1954

author

Parrella, Michele

title

Tre fiumi incatenati: M. Parrella

summary

bibliography

  • «Civiltà delle Macchine», a. II, n. 6, 1954, pp. 33-35.

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TRE FIUMI INCATENATI

È una seconda anima del fiume ricostruita col cemento armato. Ci sono degli architetti, infatti, che parlano del cemento armato con l’ispirazione dei poeti, di questo elasticissimo materiale come di una forma autonoma e sicura per le più indovinate intuizioni.

Si può seguire passo passo questa proiezione del fiume, dall’attacco del primo ponticello con le paratoie per indirizzare le acque, costeggiando il canale di collegamento infossato nella torba per un chilometro, poi quello di sollevamento, il più suggestivo a vedersi, fino ai canali secondari e terziari e agli ultimi canaletti che faranno defluire le acque con regolarità, raggiungendo gli estremi margini della zona da irrigare.

In questa stagione nella Stornara s’incomincia intanto a raccogliere il cotone, con un rapporto medio di diciotto a venti quintali per ettaro e per una estensione di circa seicento ettari. Questo raccolto può considerarsi come un primo incoraggiante risultato, una positiva indicazione per la vasta opera di bonifica intrapresa. Non a caso, quasi affiancato alla Stornara, è stato organizzato un campo sperimentale per lo studio dei sistemi di irrigazione rispetto ai vari tipi di cultura. L’edificio al centro del campo porta la scritta dell’Ente Irrigazione per la Puglia e Lucania e sovrasta gli appezzamenti multicolori, che rappresentano la minuscola negativa di quelle che saranno poi le culture di più vaste zone. Il confronto tra il campo sperimentale e il territorio circostante è davvero illuminante e nella speranza di una prospettiva rassicurante sollecita intanto i più opposti pensieri. Nel campo si alternano gli esperimenti, continuamente provando gli effetti sulle colture dei sistemi di irrigazione a pioggia e per scorrimento. Il granturco occupa una striscia a nord del campo, mentre nelle strisce laterali sono piantati il mais, il cotone, il trifoglio alessandrino e l’erba medica. L’importanza di tali esperimenti, che fanno del campo sperimentale un grande laboratorio all’aperto e l’attenzione che essi richiedono, documentano chiaramente quanto sia complessa e delicata l’operazione di dare ad un determinato suolo quel tipo di strutturazione colturale che può garantire i normali sviluppi.

Bisogna poi aggiungere che l’estensione della Stornara è una minima parte rispetto all’intera piana di Metaponto che comprende complessivamente, trentanovemila ettari. Qui il problema dell’irrigazione supera di gran lunga la portata del Tara e investe i fiumi, o meglio i grossi torrenti che attraversando la Basilicata sfociano nel versante ionico. E non bastano di certo questa volta i semplici canali che già costituiscono un grosso investimento, ma si è dovuto ricorrere alla costruzione di imponenti dighe per raccogliere le acque in grossi bacini.

Risalendo dalla costa ionica verso l’interno si va incontro al Bradano, un fiume che nasce a Lagopesole a pochi chilometri dal capoluogo lucano e arriva al mare dopo un decorso di centotrenta chilometri.

Seguendo questo itinerario si passa per Ginosa, un paese vicino al confine sud-est della Basilicata, e noi abbiamo trovato Ginosa pieno di muli e di bancarelle per la festa di Cosmo e Damiano, i santissimi medici, e quasi letteralmente invaso dai Montescaglionesi che al mattino presto erano scesi in carovana per comperare, dopo laboriose trattative, un secchio, una bilancia, le scarpe alte per l’inverno, qualche metro di fune.

Lasciando Ginosa, dopo un po’, si ha l’impressione di essere partiti definitivamente dall’ultimo paese ai margini della terra, perché i calanchi e le montagne d’argilla che s’incontrano, senza posto possibile per un minimo di paesaggio diverso, senza il benché minimo segno di una qualsiasi vegetazione, somigliano piuttosto a certe convergenze surrealistiche dei sogni, a certe infantili fantasticazioni sul paesaggio lunare. Forse per via di questo ambiente irreale e quanto mai assurdo e tragico, dal momento che si era in una macchina che correva sulla terra, ci è apparsa un’opera del diavolo la diga di S. Giuliano sul Bradano. Un’opera del diavolo in un luogo dal quale si possono vedere le viscere della terra. Omiccioli al mio fianco era ammutolito, perché non succede tutti i giorni di vedere all’improvviso aprirsi la terra, dopo aver da poco lasciato le baracche sul mare, la fiera di Ginosa e il campo sperimentale che somiglia ad una tavolozza. Da quattro anni trecentocinquanta operai in due turni lavorano intorno alla diga che sarà ultimata nella prossima estate.

De Gasperi nell’agosto del ’50 fece saltare la prima mina. Dei trecentocinquanta operai, una cinquantina tra piemontesi, veneti e romani, costituiscono il nucleo specializzato dell’Impresa, mentre gli altri sono ex braccianti di Miglionico e di Matera, che dall’ingaggio saltuario nella piazza al tempo della mietitura sono passati al ruolo di minatori ed hanno imparato ad arrampicarsi sull’alta torre che manovra le benne per la calata del materiale. Come minatori, in particolar modo, hanno presto rivelato capacità sorprendenti, ricollegandosi in ciò alla migliore tradizione dei minatori calabresi. Il cantiere dista diciotto chilometri da Matera, ed è un vero e proprio paese, certamente più organizzato dei paesi circostanti. La diga è lunga trecentoquindici metri ed alta trentuno. Descrivere una diga non è facile cosa quasi allo stesso modo che non deve essere stato semplice per l’Impresa gettare le fondamenta in un terreno martoriato, con una roccia di tufo macinata nei secoli, e con strati di argilla impastata con grumi di calcare. A lavoro ultimato saranno stati impiegati centotrentamila metri cubi di calcestruzzo. Il bacino conterrà centocinque milioni di metri cubi di acqua che passerà attraverso una galleria a pelo libero lunga circa quattro chilometri, con una portata di sei metri cubi al secondo, fino alla zona S. Lucia ove avrà inizio la vera e propria irrigazione. Per ora una teleferica preleva a monte nell’alveo del fiume la sabbia e la ghiaia, e girano continuamente le betoniere che impastano il calcestruzzo. La spesa complessiva della diga si aggira intorno ai due miliardi di lire e le acque del Bradano irrigheranno un territorio di novemila ettari nella piana di Metaponto. L’Agri e il Sinni copriranno la rimanente estensione di ventiseimila ettari e si completerà in tal modo l’opera di irrigazione dell’intera fascia costiera metapontina. Sono questi i torrenti della Basilicata, le grosse fiumane che ne dilaniano la terra, che ogni anno si alzano in piena e poi non resta più nulla se non un più ampio e devastato letto del fiume. Disciplinare il corso di questi fiumi, assolutamente vuoti d’estate e minacciosi d’inverno, irregolari e rovinosi, significa tracciare una definitiva separazione tra ciò che è vero e ciò che è morto, tra il pantano e le colture utili all’uomo, tra lo sfasciume e l’inizio di un regolare e umano svolgimento della vita nelle campagne del Sud.

Una volta, però, sistemata l’irrigazione della zona costiera, resterà per sempre da risolvere, e in maniera radicale, il problema della bonifica interna, della sistemazione montana, se si vorrà evitare di assistere da qualche poggio allo spettacolo del fiume che scorre ormai con regolarità fino al mare, attraversando terreni deserti e senza vita. Per queste ragioni le progettazioni di bonifica richiedono uno studio particolareggiato ed organico, con esecuzione di lavori abbinati in più zone, se non si vogliono creare nuovi squilibri, certamente più disastrosi e deludenti. Non serve a niente realizzare l’optimum in una sola zona, vale a dire non bisogna procedere con la mentalità dei campi sperimentali, meravigliandosi nel loro genere, ma ben definiti nella funzione di pura e semplice sperimentazione.

Soprattutto occorre tempo per portare a termine un’impresa tanto grandiosa quanto delicata, e a questo riguardo è inutile nutrire illusioni sulla possibilità di stringere i tempi, come è inutile fare promesse che non potranno essere mantenute. L’amore che crediamo di portare a quelle regioni ci suggerisce tali considerazioni. Non bisogna in alcun momento dimenticare che si interviene su un territorio massimamente disgregato, retaggio ormai di una sfortuna secolare, e dieci anni, venti anni o più non sono nulla rispetto al tempo che è passato, alla miseria accumulata e patita che ha reso colma la misura in zone materialmente vuote.

Una vicenda rivoluzionatrice, come può essere nel suo insieme la Riforma Fondiaria, deve essere certamente legata ad una politica, ma non alle sollecitazioni di una qualsiasi parte, tanto più che vi è la consapevolezza ormai radicata nelle esperienze dei protagonisti, dei tecnici, interessati a questa azione, che si agisce su un tessuto estremamente fragile e logoro, cioè su una società che non è meno franosa della terra sulla quale vive. Già da più parti si va parlando e si scrive della fretta che pare abbia invaso gli organi interessati alla Riforma, e siamo senz’altro pronti a distinguere tra le varie voci, non certo tutte legate alla decisione di agire in questa direzione, alcune, anzi, terribilmente sofferenti per le situazioni che si rinnovano, a causa dei nuovi diritti che emergono dalla Riforma. Tra queste voci, accanto a quelle sciocche di certi abulici agrari, bisogna, ad esempio, allineare le altre di certi economisti puri, i quali gridano al disastro, alla rottura di chissà quale preesistente equilibrio. Sono questi i purissimi economisti, fuori dalla contesa, i quali ad ogni lieve soffiar di vento, dondolano tristissimi la testa, atteggiandosi a profeti di sciagure, a salvatori dell’economia nazionale. L’azione di riforma è sorta tra vivaci polemiche e resistenze, e lasciando il massimo respiro ai tecnici, deve poter continuare per la sua strada, tenendo conto del massimo di tempo possibile, senza ombre e interferenze di nessun genere.

Alla fine del viaggio verso il confine alto della Basilicata, abbiamo visitato la diga sul Rendina, dopo aver attraversato l’interminabile Murgia, con il bellissimo castello ottagonale di Federico II che sovrasta la pianura, e ripercorso le strade della Puglia che in lontananza pare tocchino il cielo per poi ricadere in una fuga di ulivi e di pietre.

Il Rendina è uno degli affluenti dell’Ofanto con l’Osento e l’Atella. Dopo la traversa sulll’Ofanto, le tre dighe a sud formano un triangolo e raccoglieranno le acque per la piana circostante che fino ad oggi ha conosciuto soltanto la classica coltura estensiva, solo qua e là punteggiata da qualche macchia di arborato.

Con l’irrigazione di questo territorio che comprende ventiquattromila ettari si potrà contare sull’incremento delle colture cerealicole e quelle foraggere, e si produrrà inoltre una continua rotazione di colture negli orti che le affiancheranno. La diga sul Rendina non si presenta con la caratteristica muraglia in cemento armato, ma come un lunghissimo solco di oltre un chilometro, e in verità non ci si accorgerebbe della diga se non fosse presente la tipica architettura del grosso cantiere con le gru, le ruspe, i trattori, gli escavatori, se non fosse per alte pareti di cemento del canale di superficie che funzionerà da pozzo di sicurezza dell’intero bacino.

Anche qui ritorna la terminologia che ricorre nella costruzione di una diga in terra com’è quella sul Rendina: la paratoia principale, quella secondaria, il pozzo di manovra, lo spessore del rivestimento esterno, il materiale impiegato, la larghezza della base, la galleria di derivazione, lo scarico di fondo. Il solo laboratorio per lo studio del terreno è costato quindici milioni. A più di due miliardi, invece, ammonterà la spesa totale della diga che raccoglierà ventitremila metri cubi di acqua.

L’entità della spesa che si ripete per le altre due dighe sull’Osento e l’Atella, riportata al costo della diga sul Bradano che da sola conterrà una massa d’acqua quasi quattro volte superiore al bacino della Rendina, potrebbe sollevare delle questioni sull’opportunità di costruire la diga in quel punto, e richiamare ancora una volta le considerazioni sulla fretta che spesso, purtroppo, concorre a deviare un ponderato lavoro di progettazione, a tutto scapito dei costi e del buon fine delle opere in corso.

Il destino del territorio meridionale, delle popolazioni di quelle regioni, e a lunga scadenza le sorti dell’economia dell’intero paese, molto dipendono dalla capacità che la Riforma mostrerà come strumento per l’edificazione di nuove strutture, di cui i lavori di bonifica, il corso regolato di un fiume, configurandone l’espressione fisica, sono un modello di architettura.

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