Spiritus loci
date
1949
author
title
Strade di Lucania: G. Russo
summary
bibliography
- «Pirelli», n. 4, 1949, p. 31.
teibody
Strade di Lucania
Passati gli anni della guerra, finito il contrabbando delle lattine di olio e dei sacchi di farina nascosti nelle carrozzerie eleganti, dalle nostre parti vengono ogni giorno di meno le automobili della città. Siamo rimasti con le nostre vecchie balilla allineate sulla piazza principale, i vecchi autocarri raffazzonati con l’aiuto di quattro tavole ben segate, i Dodge alleati che fanno un rumore di caldaie sbattute quando precipitano per le vertiginose discese.
Con questo non voglio dire che non ci siano anche delle macchine lucide e nuove: le macchine degli avvocati e degli ingegneri. Ma esse escono una volta tanto dal garage. E anche i grossi camions, che i mercanti hanno sostituito ai vecchi scassoni abbandonati vicino alla stazione, sotto la tettoia di latta arrugginita, non restano sulle nostre strade. Partono per
Queste sono le strade delle vecchie corriere azzurre, stipate di donne dagli scialli rossi con le frange che sventolano dai finestrini e di uomini che tengono fuori con il braccio il paniere colmo di uova per evitare che nella ressa sia tutta una frittata.
Qui passano macchine stranissime: vecchie automobili a sei posti, dipinte di giallo o di verde cupo, con il volante lungo fino al mento del guidatore, balilla che non hanno più colore se non quello grigio della polvere che ci si è accumulata da anni e che ronfano con un mormorio simile a quello del torrente che fa nei burroni lo stesso cammino, autocarri che hanno i copertoni ripieni (vecchi copertoni
Su queste nostre strade che odorano a primavera di ginestre, perché tutte le nostre montagne fioriscono di gialle ginestre (un odore che stordisce) è possibile incontrare i vagabondi che camminano affondando i piedi scalzi nella polvere, il pane giallo avvolto in un fazzoletto appeso al bastone sopra la spalla. Essi sollevano appena il capo al rumore di una macchina e hanno lo sguardo sperduto dietro i loro pensieri. Poi il bosco si annuncia d’improvviso e l’aria si fa fina e lo stormire delle foglie un dolce suono. Qui si fermano e siedono sotto gli alberi; puliscono le mani con le frasche colme di linfa e si dissestano masticando i gambi teneri delle foglie.
Per queste strade salgono d’estate i pellegrini ai santuari, alla Madonna di
Ma d’inverno le strade si riempiono di nebbia e diventano serpenti pronti all’insidia. Ogni curva offre l’abbraccio della morte, ogni cento metri la «S» del pericolo si leva dinanzi al guidatore.
E spesso franano, si perdono come un rivo di acqua dolce, riassorbito improvvisamente dalla terra.
Allora i paesi guardano disperatamente dall’alto con i loro castelli diroccati che sogghignano e dalle vuote occhiaie volano i nibbi a curiosare sul passeggero fermo sotto la montagna. Egli sente il richiamo triste dei campanili e il grido del pastore che riunisce il gregge disperso e gli viene incontro guardandolo con i suoi occhi colmi di meraviglia. Le pecore e le capre gli passano accanto e si arrampicano per il tratturo verso le case. A lui tocca tornare per le stesse curve ripide e tortuose e forse la notte lo coglierà in cammino.
Poi cade la neve e si vede come siano effimere queste strisce bianche faticosamente tracciate lungo i burroni o sui fianchi ripidi delle montagne. Scompaiono e sembra che non siano mai esistite; i ponti, che la guerra ha minato crollano sui torrenti, la solitudine riprende palesemente possesso di quei luoghi che sono dedicati a lei. E sembra che sia giusto così e che
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