Spiritus loci

date

1947

author

Giagni, Gian Domenico

title

Tre poesie di Sinisgalli con una lettera ad una giovane amica: G. D. Giagni

summary

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  • «Corriere lucano», 31 agosto 1947.

teibody

Tre poesie di Sinisgalli con una lettera ad una giovane amica di Gian Domenico Giagni

Mia cara G., volevo inviarti il libro ma non ho avuto l’occasione di farlo. E poi pensavo che tu già l’avessi visto: in questi ultimi tempi è difficile che ti sfugga quello che io e Sinisgalli andiamo scrivendo su quotidiani, su riviste o su periodici letterari.

Di giorno in giorno mi meraviglia sempre di più il tuo grande amore per la letteratura e in particolar modo quella che noi predilegiamo. So che leggi poesie e non disdegni di leggerti tutto Gogol nella tua camera della nostra città alta.

Ma ti piacciono i versi, immensamente; un libro di poesie ti è più gradito di qualsiasi altro oggettino che si regala normalmente ad una ragazza della tua età. Ti invierò il volume di Leonardo, uscito due mesi fa (I nuovi Campi Elisi, Mondadori, 1947), ogni lucano dovrebbe averlo in casa, con amore; un volume che come indica la scheda bibliografica, è della dimensione 13-19, di 116 pagine e pesa appena 130 grammi (ogni pagina un grammo, com’è bella questa misura esatta per un libro di poesie!) È il secondo volume di versi di Leonardo Sinisgalli, nato dietro l’orlo dell’orizzonte che cinge la nostra città, dietro le montagne di Rifreddo, a Montemurro, paese lucano che guarda la valle dell’Agri.

Tu conosci Leonardo, lo conoscerai meglio dopo aver letta questa sua ultima raccolta di poesie.

Il mio amico ormai è grigio alle tempie e rassegnato; e questo è il frutto della sua maturità e rassegnazione.

Ogni uomo, cara G., ad una certa età stringe nel proprio pugno il frutto di anni di esperienze, di amori, di insoddisfazioni. È l’età che va dai trenta ai quarantacinque anni, e Leonardo gioca tra queste due date.

Il suo ultimo libro dice tutto; è la storia di una seconda giovinezza, forse della sua ultima giovinezza; una storia di centotrenta pagine e millenovantadue versi, se non erro, nata tra il millenovecentoquarantadue ed il millenovecentoquarantasei.

Ma ti sembro troppo legato alle cifre, forse hai ragione; le cifre molte volte distraggono, rendono freddi e calcolatori. Nessun calcolo si può fare su un volume di versi; ma a Leonardo piace, a lui è sempre piaciuto scrivere versi dietro un foglio bianco di un libro di geometria o di calcolo infinitesimale.

E questo per anni ha meravigliato critici ed amici, meraviglierà anche te che conosci le sue prose ed il suo primo libro di poesie, “la storia di una giovinezza”. Vuoi che ti dica del libro? Tu un giorno o l’altro lo vedrai; intanto ti mostro tre saggi che sono a fine libro, là dove normalmente si pensa che l’autore scelga il rifugio dei propri peccati. Qui invece non c’è peccato: sono i versi ritrovati in due mesi (“di stupida felicità” dissi un giorno) tra i luoghi familiari di Montemurro.

Io conosco il vecchio libro notarile sul quale furono scritte. È una delle cose più incantevoli che abbia visto; un librone azzurro fitto fino all’inverosimile: tra poesia e poesia vi sono annotazioni, schizzi, titoli, prose, racconti, studi sulla lingua italiana, sull’orfismo, sui dialetti (c’è “stozza”, “pèttela”, “luciente”, “grasta”) confessioni, geroglifici, ritagli eccetera.

Ho pensato alle annotazioni leopardiane alle canzoni «St. XII, v. 9. Che stai? La particella interrogativa che usata invece di perché non ha esempio nel Vocabolario… Solo in forza di romito, disabitato, deserto non è del Vocabolario, ma del Petrarca …» ho pensato allo Zibaldone, ad uno Zibaldone che nasce tra le colline sempreverdi di Monte Parioli e le case basse di Montemurro.

Leonardo Sinisgalli, mia cara amica, sa che il filo che lo sorregge ha questi due limiti, da uomo saggio e sensibile sa camminarci sopra, con gli occhi socchiusi. È un uomo rassegnato e tu lo vedi leggendo queste tre poesie, un uomo che oggi osserva una formica, una mosca, un cardellino, con la tenerezza e la meraviglia di un bambino, e non ha paura di chiarire un gesto, un pensiero («Avrei toccato a una una Le nostre sembianze risuscitate»).

Si commuove, e ha paura di farlo; da un angolo di un vico lucano s’incanta alla processione di monelli vocianti dietro la spoglia della “guardiana della sera”. Ma non tocca a me dirti questo, so quanto male faccia una parola falsata nel giro di un verso. Per questo i critici, anche i più rispettabili, riescono a distruggere un verso, due, un poema; il loro gioco è un triste gioco, ma il più delle volte necessario.

Ma tu che vivi tra i miei monti e i monti di Sinisgalli non ti lasci perdere da un’annotazione più o meno sbiadita che uomini seri legano agli splendidi otto versi di Terzo anniversario. In otto versi c’è tutto il nostro paese, c’è la sostanza dei Nuovi Campi Elisi c’è metà della nostra vita, c’è la rassegnazione di uomo che ormai attende il Divino Cacciatore oltre la nebbia della Città che da tre anni ha accolto la madre.

Ora il mio amico poeta è in attesa, la sua felicità è in questo restare immobile e ascoltare i sonagli sulla strada carraia, nessuna malinconia è più bella dell’attendere la fine dei propri giorni, con un fascio di versi sotto l’ascella e l’amore per una formica, per una mosca, per una chiocciola.

Buona notte, mia cara G., questo è tutto. Una farfalletta è caduta stamane nel mio calamaio. Non è ancora morta, non so come tirarla fuori; ogni volta che intingo il pennino è una pena. Chissà se vivrà fino a quando ti giungeranno queste mie poche parole sul mio più caro amico. Sarà una notte impossibile per lei e per me. Caramente

25 agosto 1947

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