Spiritus loci

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1946

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Civis

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Basilicata, colonia di secondo grado: Civis

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  • «Il Politecnico», 30 marzo 1946.

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Basilicata, colonia di secondo grado

L'Italia non è ancora un paese solo. È un insieme di paesi. E di paesi tra i quali corrono gli stessi rapporti che corrono all’interno di un impero coloniale. Vi sono regioni, in Italia, che stanno, rispetto ad altre, come i territori metropolitani stanno a territori coloniali. E città che stanno esse pure, rispetto alle proprie province, come metropoli rispetto a colonie. Così accade che una regione italiana sia in posizione di colonia rispetto a un’altra regione che a sua volta in posizione di colonia rispetto a una terza. Questo è il caso della Basilicata: è colonia rispetto al resto del Mezzogiorno, che a sua volta è colonia rispetto a Torino o Milano. Riuscirà la Costituente a fare dell’Italia un paese solo? Certo è nel suo compito. Ma bisogna, purché possa farlo, ch’essa voglia farlo. Bisogna che in essa predomini la volontà di coloro che vogliono farlo.

Nell’agricoltura della Basilicata predomina la coltura estensiva, a causa della scarsità della popolazione; e vi si riscontrano le forme più antitetiche dell’economia agraria, dal latifondo alla piccola proprietà, dall’azienda a condizione diretta alla mezzadria. I poderi sono generalmente divisi in aratori e cereali, maggesi e pascoli per il bestiame da lavoro e per quello da reddito a cui servono pure le stoppie e le terre in riposo. Ciò che caratterizza essenzialmente l’economia agricola della Basilicata è soprattutto la mancanza di capitali, che produce la persistenza di un sistema primitivo di produzione. I capitali incorporati stabilmente nel suolo (fabbricati rurali, piantagioni legnose, adattamenti di superfici e ammendamenti stabili, opere per irrigazione, prosciugamento e governo delle acque, difesa del suolo, viabilità, ecc.) sono limitatissimi. Tutto si riduce il più delle volte a qualche, rudimentale sistemazione dei campi, un po’ di strade poderali e qualche rozzo casolare.

Le case coloniche proporzionate all’ampiezza del fondo, all’intensità e al metodo di coltura, alla natura delle piante coltivate e alle industrie agricole esercitate, cioè le case coloniche esattamente rispondenti ai bisogni dell’economia agraria, ai più sani criteri della tecnica costruttiva e delle norme igieniche, si possono contare sulle dita, in ogni singola località. E si sa benissimo che la casa colonica, consentendo al lavoratore la continua e ininterrotta permanenza sul fondo, lo induce a compiere lavori di miglioramento agrario e fondiario, a impiantarvi allevamenti e iniziarvi nuove coltivazioni. Il contadino, ridotto sovente a possedere come unici arnesi e strumenti di lavoro, la sola zappa e la sola falce, privo talvolta anche di dimora fissa, non può essere certamente interessato a compiere queste migliorie e queste innovazioni. Vive alla giornata, una tribolata vita di angustie, senza sicurezza nel domani né speranze per l’avvenire, minacciato dalla disoccupazione, dalla malattia, dall’infortunio.

La diversa natura del terreno, le notevoli differenze di clima e di altezza producono le più svariate colture, così da passare dalla zona dell’arancio a quella faggio, dalla coltura arborea a quella cerealicola. La superficie agraria e forestale della regione è quasi tutta collinosa o in montagna, riducendosi la pianura a zone limitate del litorale jonico e del confine pugliese. Misura circa 95 mila kmq ed è coltivata a frumento, granoturco, vite, olivo, castagno, con una produzione media per il frumento di circa 11,5 q.li per ettaro e di 10,7 q.li per il granoturco, indici unitari fra i più bassi della penisola. Da calcoli approssimativi risulta che la condizione a salariato comprende oltre il 50 per cento della superficie coltivata; del rimanente i quattro quinti sono a conduzione diretta familiare, il resto a forme diverse. Soltanto una metà del territorio è messo a coltura, mentre l’altra metà è formato da boschi abitati, torrenti, strade e da terreni incolti e deserti.

Il contratto colonico tipico della Basilicata è questo: il contadino prende in affitto per la durata di tre a sei anni, degli appezzamenti che coltiva a sua discrezione e suo rischio completo, pagando un canone annuo in denaro o in derrate. Dati gli imperfetti e arretrati sistemi colturali, il contadino si vede costretto, spesso, a lavorare a giornata, all’altrui dipendenza, ricorrendo a sua volta, a mano d’opera, estranea tutte le volte che le esigenze delle sue coltivazioni lo richiedono. L’agricoltura della Basilicata, come si vede, si trova in una condizione di inferiorità, tecnica ed economica, nei confronti di quella delle regioni ove il capitalismo è riuscito a sradicare le vecchie forme di conduzione, rivoluzionando interamente il processo produttivo e creando nuovi vincoli e nuovi rapporti tra le classi sociali. La produzione agricola della regione non è ancora entrata nella fase dell’industrializzazione, sebbene si noti qua e là qualche sintomo.

Dove le speciali e particolari condizioni lo permettevano è già sorta l’azienda agraria industrializzata, che ha applicati i moderni portati della meccanica e della chimica, sia ai metodi lavorativi che alle rotazioni agrarie, trasformandovi i sistemi di conduzione. Ma altrove vi sono pochi esempi di miglioramento e di trasformazione: il vecchio aratro a chiodo, di virgiliana memoria, tenta ancora di scalfire le zolle di una terra divenuta in gran parte sterile e pietrosa.

Nelle zone dove è diffusa la piccola proprietà, questa ha la sua ragion d’essere nella disposizione del terreno, nelle esigenze delle coltivazioni speciali, nella deficienza di mano d’opera sul mercato di lavoro. Nelle medie e grandi aziende agrarie i salariati fissi ricevono una retribuzione in derrate e in denaro mensilmente o annualmente. Si tratta in genere di lavoratori dediti a occupazioni specializzate: boari, bifolchi, vaccari, casari, pastori, ecc. gli avventizi invece vengono retribuiti con salario in denaro e con uno o due pasti al giorno. Ma la conduzione dei braccianti è la più penosa: si calcola che in un’annata normale riescono in media a lavorare soltanto 150-180 giorni.

I contratti agrari collettivi non vi hanno mai trovato terreno fertile. La stipulazione dei contratti agrari colonici d’affitto viene fatta isolatamente spesso verbalmente, tra il proprietario fondiario e il contadino. La Basilicata era un tempo regione di boschi ed è ora spoglia. Conseguenza ne sono le frane, le alluvioni, la malaria, l’emigrazione.

Quest’ultima si manifestò come un vero e proprio spopolamento dei paesi. Basti dire che in 20 anni emigrarono oltre 200 mila persone.

Non c’è fenomeno morboso nella vita sociale che non trovi in Basilicata il suo indice esasperante. Guardate un po’ le statistiche (quando esistono!): vi troverete registrata per la malaria la ragguardevole cifra annuale di circa 10 mila casi denunziati e poi… c’è il resto.

La malaria è la malattia insidiosa che produce sull’organismo conseguenze talvolta mortali, quasi sempre gravissimi, rendendo chi ne è colpito inabile al lavoro proficuo, distruggendo e fiaccando ogni sua forza fisica e morale.

I contadini di Basilicata diventano vecchi innanzi tempo e inarcano la schiena, mentre le donne fiori rigogliosi di salute e di bellezza in gioventù, avvizziscono presto e subito si sformano, logorate dalla eccessiva fatica e dai patimenti. È intuitivo che le condizioni fisiche dei lavoratori di Basilicata, il cui regime nutritivo è dei più poveri, non possono opporre alcuna resistenza all’infezione malarica.

Altra piaga della Basilicata è l’analfabetismo. Dalle statistiche del censimento del 1931 (cinque anni prima della conquista dell’Abissinia!) si ricava che su 100 abitanti di superiore ai sei anni 46 non sanno leggere e scrivere. Le pietose condizioni della scuola nella regione sono state varie volte descritte. Aule deficienti, numero degli insegnanti insufficiente. Scuole spesso allogate in locali privi di aria e di luce, senza materiale didattico. Le scuole secondarie sono limitatissime e avendo sede nei capoluoghi di provincia e di circondario, per le difficoltà dei mezzi di comunicazione, sono aperte a una cerchia limitata di alunni, naturalmente appartenenti alle classi agiate. I figli del povero sono praticamente esclusi. Notevole poi il fatto che in una regione, così essenzialmente agricola, manchi una scuola pratica d’agricoltura, che fornisca la necessaria cultura professionale e abiliti alla direzione delle aziende agricole.

La mancanza di spirito di solidarietà riduce al minimo ogni forma di organizzazione. Priva di commercio di beni e di scambio di merci è mancato alla regione anche quello che fu chiamato il commercio e lo scambio delle idee. Il giornale è un lusso che possono permettersi soltanto i «galantuomini». La rivista, l’opuscolo, il libro non possono diffondersi né fra il popolo, data l'intensità dell’analfabetismo, e il livello generale della cultura, né tra la piccola e media borghesia, refrattaria a ogni iniziativa intellettuale. Non vi sono mai esistiti partiti politici definiti o definibili, ma vi sono invece sempre prosperate clientele, che hanno sostenuto or questo or quell’individuo, lontane da ogni ideale e da ogni pensiero politico, preoccupate soltanto di rafforzare e perpetuare la propria egemonia. I superstiti del feudalesimo sono assenti da ogni competizione politica, come lo sono fisicamente dalla regione. Essi amano consumare lontano le rendite delle proprie terre ed affidano la difesa dei loro interessi alla media borghesia, che è alla direzione della vita politica comunale e regionale. L’assenza di ogni competizione civile, il più sfacciato e corrotto favoritismo: ecco ciò che caratterizza la meschina politica paesana.

Occorre perciò che i nuovi partiti politici italiani si sforzino di stimolare, nelle moltitudini della Basilicata, la formazione di una coscienza politica, per allargare a più ampi orizzonti le contese locali, la lotta economica e la battaglia morale. Tutta la vita politica e sociale della regione è dunque intimamente legata alla soluzione della «questione agraria».

CIVIS

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