Spiritus loci

date

2015

author

Cappelli, Gaetano

title

Maledetto Carlo Levi: G. Cappelli

summary

bibliography

  • «Appennino. Semestrale di letteratura e arte», 2015, pp. 43-44.

teibody

Maledetto Carlo Levi

Sono Gaetano Cappelli nato a Potenza – e per questo conosciuto anche come «lo scrittore di Potenza». Formula che, per quanto vieta, potrebbe pure dare un qualche suo ritorno, almeno di vendite, come succede per esempio ai miei omologhi delle più popolose e conosciute Napoli o Palermo e Bari, ma perfino di Matera dopo i film di Pasolini e soprattutto Depesciòn di Mel Gibson. Ma a Potenza? Siamo quattro gatti e per di più chi la conosce, Potenza?

Eppure ci fu un tempo in cui tutto sembrò essere cambiato! Ricordo ancora, e con una certa emozione, il giorno in cui, parlando al telefono con un giornalista di Roma, per la prima volta non dovetti né spiegare dove questo mio borgo si situi, né specificare: «Potenza, non Cosenza!». Anzi lo sentii gorgheggiare allegro: «Ah, Potenza!» e poi, dopo la piccola pausa che un sorrisetto complice richiede, aggiungere: «Vallettopoli, eh!… ve la spassate, eh».

Essì, in quegli ormai remoti giorni il signor John Henry Woodcock, certo spendendo qualche milione di euro in intercettazioni, era comunque riuscito lì dove tutti avevano fallito: fare di Potenza, non solo un posto conosciuto, ma un posto dove, tutto sommato, succedevano delle cose divertenti. Eh, ma quei meravilliuosi giorni sono ormai un ricordo e la città è di nuovo sprofondata nell’oblio, recuperando in pieno l’aura di tristezza che tradizionalmente l’avvolge – recentemente risultando, secondo una delle solite ricerche farlocche, buone per riempire le pagine dei quotidiani in giorni di magra, “la città più triste d’Italia” addirittura. Già perché, pur non conoscendone l’esatta collocazione, l’interlocutore medio è comunque convinto che, a Potenza, qualcosa di non proprio gradevole, fondamentalmente triste, sia successo – e questo a prescindere anche dal terremoto, di trentanni fa.

Il fatto è che già Pirandello, nelle sue Novelle per un anno, dovendo raccontare la storia di un funzionario che si vede distrutta l’esistenza a partire da un semplice trasferimento in una città del Sud, quale città ti va scegliere se non proprio Potenza? Ma il colpo decisivo doveva però assestarcelo, qualche tempo dopo, Carlo Levi – che dio lo stramaledica! E quante volte mi è toccato sentirmi pietosamente dire: «Ah, sei di Potenza... Carlo Levi eh, Cristo s’è fermato ad Eboli eh, la terra fuori dal tempo e dalla storia!».

Ecco, a raccontarvela tutta, io, tra l’altro, sarà anche il capolavoro che dicono, ma non sono mai neanche riuscito a leggerlo fino in fondo, quel libro. Diciamo che non è il mio genere. Diciamo che non sopporto quelli che pensano che siccome sei lucano, di Potenza, tu debba per forza averlo letto e apprezzato. Diciamo che ancora di più non sopporto quelli che, da quando son diventato scrittore, sentenziano: «Ma come, tu sei di Potenza, la terra fuori dal tempo e dalla storia di cui narra Carlo Levi in Cristo s’è fermato ad Eboli e invece di scrivere di contadini e magia, emigrazione e briganti scrivi di Karrieren und Affären!» – ovvero «carriere e intrighi sentimentali», come uno dei miei editori tedeschi ha utilmente sintetizzato.

Ora si dà il caso che, a Potenza, proprio a un centinaio di metri da casa mia, c’è piazza XVIII Agosto; da noi nessuno aggiunge certo: 1860. Questa data indica il giorno preciso dell’insurrezione dei potentini che “tra i primi in Italia alzarono il vessillo dell’Unità d’Italia”, come alle elementari recitavamo fieri. Per quanto mi riguarda, se fossi vissuto all’epoca, molto probabilmente me ne sarei rimasto a letto, a dormire; ma se per assurdo, ma proprio per assurdo, avessi deciso di metter a rischio la mia preziosa vita, be’, di sicuro lo avrei fatto per il Regno d’Italia essendo la scelta obbligata per chiunque volesse sentirsi davvero up to date, mica per altro: potevi mai schierarti con l’esercito di Franceschiello, finendo in un drappello di pacchianissimi briganti tagliagole?

Quindi, se è vera come è vera la faccenda del nostro scatto da velocisti nella suddetta insurrezione, così “fuori dal tempo e dalla storia”, come ci ha effigiato Levi, noi lucani non lo siamo mai stati. La verità è che Carlo Levi avrebbe tranquillamente potuto scrivere il suo Cristo anche se il duce, invece di spedirlo al confino nella, lontana Aliano, lo avesse invece inoltrato verso uno di quei paesini ugualmente sperduti della Valtellina, dove, a quanto si dice, in quegli stessi anni – gli anni dell’esilio di Levi – ancora si incontrava l’Homo Selvadego – “E sonto un homo selvadego per natura, chi me offende ghe fò pagura”, secondo il graffito che campeggia in una graziosa caverna di quelle pittoresche plaghe. Certo avrebbe dovuto pubblicare il suo famoso best seller con un titolo diverso, tipo Cristo s’è fermato a Sondrio ; e chissà se avrebbe poi avuto quel suo formidabile successo.

In realtà, nelle cronache dei viaggiatori, Potenza è da sempre stata descritta come una città con una classe intellettuale assai colta, spesso elegante; una piccola città, certo, ma con grandi degne biblioteche di famiglia, dove spesso si leggevano libri in lingua originale. E per Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia del 1957, non è che una delle tante cittadine dello Stivale che stavano allora vivendo il formidabile Boom di quegli anni. Cosa allora mi poteva mai condannare, in quanto figlio di questa città, invece al passo con i tempi, a inserirmi nel filone neorealista e scrivere di lotte contadine e turpi incesti e magia e cupe storie di famiglie in disgrazia; ed eroici briganti, certo?

Mi piacque invece descrivere la vita a Potenza proprio come io la vivevo. Lo feci la prima volta con una raccolta che si chiamava Mestieri sentimentali (1992), in cui raccontavo l’ingresso nel mondo del lavoro e le storie d’amore, ma anche solo di sesso, che sul posto di lavoro possono nascere. I miei personaggi erano per lo più giovani potentini, barman in palestre frequentate da signore propositive, giornalisti alle prime armi, venditrici di cosmetici porta a porta, maghi televisivi, camerieri col pallino della moda, artisti alla ricerca del successo, gay e culturisti, assessori alla cultura ex hippy o semplici disoccupati. Personaggi che si potevano incontrare dovunque ma che, in più, possedevano quel gusto irridente e l’ironia per le cose della vita che, prendendo in prestito la parola tedesca Witz (scherzo, lazzo, facezia), io amo definire u witz putenzeés e che da allora, e sono passati quasi trentanni, ho cercato di far brillare nei miei romanzi; e questo sempre alla faccia della tristezza leviana.

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