La linea ferroviaria Rocchetta Sant’Antonio - Gioia del Colle

date

1918

author

Fortunato, Giustino

title

Riccardo da Venosa e il suo tempo [estratto n.4]

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XII. IL PALAZZO DEL GIUDICE RICCARDO DA FORENZA TRASFORMATO IN OSPIZIO PE' MUTILATI FRANCESI

Nello elenco, dianzi riassunto, degl’immobili de’ cittadini di Venosa miseramente sperperati da’bandi regi, non è apparso il più notevole fra essi: quel palacium cum dominibus coniunctis, situato nella parrocchia di Santa Maria La Nuova, quod fuit com’è detto in un primo documento del ’72 , e sarà ripetuto in altri, judicis Riccardi de Florentia, proditoris regis, ex ipsius proditione ad manus Curie rationabiliter devolutum, - il regal giudice dell’atto notarile del novembre 1265, messo tra’primi nel bando del giugno ’69.

Niente re Carlo aveva tanto avuto a cuore quanto di allogare i molti mutilati di Benevento e di Tagliacozzo in appositi asili, sparsi per il Regno, o presso le maggiori Opere pie di Napoli: aveva pure tentato disseminarli per i grandi monasteri, ma San Lorenzo di Aversa e Montevergine più volte gli si erano rifiutati; e durante il sanguinoso assedio di Lucera, dacchè vie più aumentava il numero degli storpi, e invano aveva riscritto alle più cospicue badie, che, se non per amor suo, avessero tamen consentito pel sacro timor di Dio, - egli, nel disporre degl’immobili di Venosa, pensò fare del più comodo, del migliore di essi, un ospizio per alcuni de’ recenti invalidi, che stretti dalla miseria, non potessero ripassare le Alpi. Quando ne avesse espresso il proponimento, e decretata l’apertura, c’è ignoto: forse al ritorno da Tunisi (donde aveva riportato il cadavere del fratello san Luigi, morto di peste nel campo di Cartagine), - allorchè nella primavera del ’71, sentì il bisogno di riposare lungamente a San Gervasio, facendo due sole gite a Venosa, e ivi pernottando il 20 maggio e l’11 giugno. È certo, ad ogni modo, che l’8 agosto del seguente anno scriveva da Monteforte di Avellino, una delle predilette sue dimore estive, al Secreto di Puglia, fieramente dolendosi che il palazzo, già da lui assegnato in Venosa per abitazione di otto poverissimi inabili per ferite toccate in battaglia, non ancora li accogliesse, nè ancora fosse lor corrisposto l’annuo assegno in vettovaglie e in moneta contante; e di essi faceva i nomi, che interpretando le storpiature del latino curiale, sarebbero questi: Guillaume de Verneil, Jean Saucin du Bois, Maître Jean dit Porcher (porcerius), Jacobin de Blanchard, Jean de Warburt, Guillaume de Pont-de-Veyle, Jean de Saint-Quentin, Mayotte de Paris.

Possibile che a un tale ordine non fosse data sollecita esecuzione, anche perchè questa punto malagevole?

Possibilissimo, a que’ tempi; e, in alcune regioni d’Italia, tutt’ora a’ nostri! Passa il ’73, senza che il Vulture rivegga re Carlo, e, quindi senza che il Secreto di Puglia obblighi i bàiuli di Venosa (gli esattori delle imposte fiscali e locali, per conto del Comune) ad aprire i battenti del muto fabbricato, e un accordo intervenga fra lui e loro per conoscere a chi spetti l’onere dell’annuo assegno, se alla Università dei cittadini ovvero all’erario.

Due bàiuli, degni rappresentanti del maestro giurato (il sindaco) e del partito trionfante, che minoranza sotto gli svevi, ora spadroneggia a suo lìbito, dopo aver tratta così vile vendetta degli antichi avversari, e disertata la città de’ migliori suoi uomini; que’bàiuli e consoci, più che sudditi, servi dell’angioino, da cui accatteranno grazie e favori, - mentre si profondono in ossequi co’ nuovi signori, stranieri e di sangue plebeo, loro imposti dal capriccio del re: non hanno occhi per vedere nè orecchi per sentire le umili pietose rimostranze di otto poveri sciancati, costretti a mendicare, - Dio sa quante volte maledicenti il giorno, in cui lasciando la dolce terra di Francia, tennero dietro al grigio dei Capeti col petto segnato d’una gran croce rossa, come per una guerra d’esterminio contro i musulmani ! Ma allorchè meno se l’aspettavano, ecco il 17 maggio del ’74 re Carlo alle porte della città, dove resta quasi tutto un mese. O non aveva, sicuro del fatto suo, inviati colà altri due infelicissimi , Colin de Reims «dit le Parcheminier», pergamenarius(colui che prepara e vende le pergamene), e il cieco Étienne de Joinville? Quali rabuffi e quali minacce, perchè porte e finestre del vecchio caseggiato, quod fuit Riccarii (sic) de Florentia , ormai chiuse da lunghi sei anni, fossero prontamente spalancate, le stanze ripulite, il tetto d’émbrici rifatto, e, insieme, la uggiosa vertenza circa il loro mantenimento risoluta – com’era naturale prevedere – a danno del Comune, non è poi troppo ardito rappresentarci alla mente. Eppure, si concluse così poco da tutto quel tramestio, che andato il re a Melfi, assistito questa volta dal vice-cancelliere del regno Guglielmo de Faronville, decano di Saint Pierre-aux Hommes d’Orléans (Sancti Petri Virorum Aurelianensis), ivi, su’ primi di luglio, la dolente compagnia si recò, nè tutti assieme, chè i primi non pare avessero buon sangue con gli ultimi arrivati, a implorare la sovrana misericordia, affinchè a tutti e dieci non fosse più altro negato il promesso ricovero, e al cieco Stefano e al pergamenario Colino, che il viaggio dovettero ripetere, nell’agosto, fin su a Lagopesole, anche il quotidiano sostentamento.

Nè l’alterco ebbe allora il termine. Per fortuna di que’ poveretti, meno il ’76, re Carlo statò a Lagopesole; fu anche, nel maggio e nel giugno ’77, a Venosa, promulgandovi le antiche costituzioni del Regno, per nos editas et novatas. Ma è de’ primi del ’78 una quèrula nuova loro istanza al re, dimorante presso Capua, perchè i bàiuli, sotto pretesto della carestia, facevano lor mancare il cibo: è de’ primi dell’anno seguente una seconda, recante lo stesso lamento, ma cui al defunto Jean de Saint-Quentin era sostituito un Jean de Pont-Herbert; così ormai re Carlo, non stanco di ripetere il nome del giudice a proposito del povero suo palazzo, ma seccato di più rivolgere l’onore della sua parola a quelle buone lane di magistrati venosini, chiama finalmente in ballo l’autorità del giustiziere della provincia, che noi sappiamo essere stato, nel ’79, un francese di gran condizione.

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