Roma, 20 febbraio 1903
Mio caro amico,
non è facile né punto piacevole l’impresa; ma è doverosa e nobile. Io sono a Sua disposizione per tutto ciò che occorre. Ci rivedremo qui, in occasione del Congresso storico, e ne parleremo minutamente. Non bisogneranno molte lettere di presentazione. Quel che occorre è vedere un gran tratto del territorio dal Gran Sasso all’Aspromonte, la metà quasi della penisola, che (tranne la Campania dalla foce del Garigliano al Sele e in dentro fino ad Avellino e a Benevento, e tranne Terra di Bari da Barletta a Brindisi e in dentro fino a Gravina e ad Altamura) non vale se non assai poco o nulla. Vedere, niente altro che vedere, la gran distesa di terre argillose, sterili, deserte, ovunque terribilmente malariche. Vedere, vedere! Il paesaggio parla. E non c’è eloquenza che valga che valga la sua. Vedere il gran nodo montuoso degli Abruzzi, poverissimi, che da secoli emigra a Roma; il monotono altipiano argilloso del Molise, cui si riattaccano i circondarii di San Bartolomeo in Galdo (Benevento) e i due di Sant’Angelo de’ Lombardi e di Ariano (Ariano); l’arida, infinita steppa del Tavoliere di Puglia; l’enorme fiosso dello stivale, la mia Basilicata, che è tutto uno spettacolo di desolazione; infine, le Calabria, uno sfasciume di detrito granitico. Poche oasi, in tanto squallore: la conca di Sulmona, i vigneti del mio Vulture, il boscoso Gargano, i bordi dell’ultima Reggio Calabria, parte se non tutta Terra d’Otranto. Un gran tutto geografico, con due sole pianure fertili in grembo a esso, l’una sul Tirreno (la Campania) l’altra sull’Adriatico (Terra di Bari), un gran tutto geografico, che è stato un gran tutto politico, dal IX secolo fino al 1860. È il destino geografico che ha deciso delle sorti del Mezzogiorno. E l’Italia ignora di aver mezzo il suo corpo poco meno che buono a nulla! E sogna grandezze. I meridionali, in questo, peggio de’ settentrionali. Ragione per cui ieri votaron tutti in favore delle spese militari…
Cominciare dunque il giro dagli Abruzzi, scendere dal Molise in Capitanata, di là girovagare in Basilicata e indi finire in Calabria. Questo, per ora, ne’ suoi lineamenti generali, l’itinerario. A voce sarà bene definirlo tappa per tappa.
Un suo libro sul Mezzogiorno! Il Mezzogiorno è la questione stessa d’Italia, perché o la pace dura, e l’Italia non sarà mai nulla di grande nel mondo moderno con mezzo il suo corpo incancherito, o avrà la guerra, e il Mezzogiorno le addenterà i garretti. La terribilità del problema consiste nell’armonica durevole coesistenza in un unico corpo di nazione e di Stato di due parti eguali di territorio, fra esse assolutamente difformi per ragioni naturali, e delle quali l’una assai inferiore all’altra per potenzialità economica. Le due Italie! Sono stato primo a rilevare ciò, trent’anni addietro, nella «Rassegna Settimanale», e i fatti mi han dato ragione. Molto più di me ne daranno, se gl’italiani continueranno a conoscer tutto meno che l’Italia, com’è.
Le inviai, cinque o sei anni addietro, un mio volume di Scritti Varii? Se non, me lo dica, liberamente.
Villaggio Gaudiano, 27 febbraio 1903
Mio caro amico,
sono qui per breve ora, avendo qui dovuto accompagnare mio fratello convalescente, e qui ricevo la Sua del 25.
Il 10 marzo sarò a Roma. Se, per caso, mi dovessi trovare a Napoli, mi avvisi anche per telegrafo: partirei immediatamente.
Una cosa di venti giorni! Che dirle? Cominci intanto quest’anno. Ahimé, è così ingannevole al primo aspetto, in una breve fugace corsa, il Mezzogiorno!
E, certo, dovrà anche veder le persone, oltre il paesaggio. Ne sentirà delle belle. Più che confusione, qui è anarchia di idee. Soprattutto i meridionali credono di essere possessori del giardino d’Italia, anzi del mondo…Tutti parlano, i miei basilicatesi più degli altri, delle potenti ricchezze latenti, ec., ec., ecc..
Le mando il mio volume di Scritti Varii. Dia una occhiata qua e là, lasciando da parte L’Appennino della Campania; dia specialmente un’occhiata agli ultimi tre scritti. A p. 367 vedrà che fin dal 1879 io vedevo la questione meridionale in tutta la sua gravità, e a p. 420 che io per primo, a Bologna, nel 1880, feci parola delle due Italie. Occorse allora un po’ di coraggio!
A rivederci, dunque, a Roma.