Egregio Signor Sindaco,
oggi, soltanto, io sono in grado di mantenere la promessa, che già diedi a Lei – or sono due mesi – non appena ebbi partecipazione dell’ultimo voto del Consiglio comunale di Rapolla per una migliore ubicazione della fermata lungo il tronco di ferrovia da Melfi a Rionero: la promessa, cioè, di rendere di pubblica ragione i termini veri della questione, quali furono in addietro e quali sono nell’ora presente, a fine di sgombrare dagli animi il rammarico e, più ancora, le recriminazioni, di cui andò così alta l’eco durante il periodo elettorale dell’anno scorso. Ho taciuto allora per sentimento di dignità. Parlo oggi per coscienza di dovere verso i non pochi, costanti amici di Rapolla, che a me, ne’ difficili giorni della prova, furono larghi di tanta e così benevola manifestazione di fiducia.
Lascio da parte ogni accenno di gare personali, che non potrebbero, comunque, non tramutarsi in pettegolezzi, e, senz’altro, vengo a far parola – breve, ma fedele – dell’argomento, che al caso nostro si attiene.
Rapolla è dolente di aver lontana e disagevole la stazione ferroviaria. E, fin qui, non io certamente le posso dare torto.
Ma ciò che io credo affatto ingiustificabile, è l’esserne dolente, com’è detto nell’ultima deliberazione consigliare, perché condannata a una disparità di trattamento; ossia, in lingua povera, perché sagrificata, conscientemente o incoscientemente che sia stato, all’interesse altrui.
Or questa è un’affermazione così opposta al vero, che È bene, una buona volta per tutte, non sia accampata più oltre senza il ricordo e senza la testimonianza di una voce di protesta da parte mia: chè io, più di ogni altro, sarei responsabile di tanta jattura, se il danno, come il Consiglio crede, avesse potuto, al tempo debito, essere scongiurato.
I fatti e la realità contraddicono, per buona sorte, ad ogni taccia di poca diligenza o, peggio ancora, di poca equità.
Occorre innanzi tutto rammentare, che, da un lato, non uno de’ progetti, de’ quali fu parola per una linea ferrata lungo il versante orientale del Vulture, non uno ebbe mai un andamento diverso da quello, che dietro unanime consenso de’ corpi tecnici venne messo a esecuzione; e che, dall’altro, non mai per lo passato, neanche per un giorno solo, fu mai fatta questione circa la possibilità di una quota meno elevata di tutto quanto il profilo altimetrico da Melfi a Barile: Rapolla, com’è noto, si limitò a chiedere, con deliberazione consigliare del9 febbraio 1886, che la fermata omonima, già progettata a Pantano, fosse invece ubicata alla contrada Giaconelli (Rapolla).
E qui sorge la dimanda: se a tempo si fosse pensato allo studio di una linea meno alta, è possibile ritenere, che lo intento di Rapolla sarebbe stato raggiunto?
È la dimanda che io stesso rivolsi, or non è molto, all’ingegnere Pessione; il quale, con la cortesia che gli è solita, e di cui sono lieto fargli qui i dovuti ringraziamenti, compilò a bello studio un accuratissimo disegno di massima, che taglia di netto ogni dubbio a questo riguardo.
È bene premettere, che una qualunque linea non potrebbe mai muovere più giù della massima depressione della sella di Melfi, né mai non ascendere insino alla minima elevazione del displuvio di Barile. Si noti: di Barile; il che vuol dire, che Barile, non Rionero, costituirebbe in ogni caso il punto obbligato, il caposaldo del tracciato ferroviario.
La strada ferrata, come venne ideata ed eseguita, parte dalla stazione di Melfi alla quota di 498 metri, e sale – dapprima con la pendenza del ventisette, poi del venticinque per mille – alla stazione di Barile, che si rattrova a 640 metri sul livello del mare, donde prosegue, con livelletta quasi orizzontale, fino a Rionero. Nell’insieme, da Melfi a BarileBarile, sopra una percorrenza di sette chilometri circa, s’incontrano tremila metri di gallerie e settecento di viadotti!
Or l’abitato di Rapolla giace cinquanta metri al di sotto della stazione di Melfi, duecento di quella di Barile. Ammessa pure la ipotesi, che un nuovo tracciato avesse potuto proseguire, da Melfi sino a Rapolla, in orizzontale, Rapolla non per ciò sarebbe stata appagata nel suo desiderio: ché gi abitanti, per giungere alla loro fermata, avrebbero dovuto ancor sempre percorrere non meno di un chilometro su la strada provinciale, né meno di cinquecento metri sopra novella strada di accesso da costruire di sana pianta.
E, fin qui, poco male. Ma le maggiori difficoltà si sarebbero incontrare nel tratto successivo: chè, ferma la stazione di Rapolla su la orizzontale di Melfi, non sarebbe stato possibile, letteralmente, raggiungere la quota di 640, od almeno di 630 metri, se non superando, con la pendenza massima del trenta per mille, e non più all’aperto ma in galleria, il displuvio di Barile, la cui stazione, per ciò, bisognava fosse collocata a cinquanta metri al di sotto dell’abitato, senza alcun mezzo di accesso, perché piantata in terreni frastagliati e franosi. La linea, incontrando ivi «le pendici più mobili di tutto quanto il versante orientale del Monte Vulture», oltre a richiedere una maggiore spesa di costruzione, non avrebbe presentata, né oggi né poi, la necessaria sicurezza per l’esercizio, e sarebbe, così, tornata di grave nocumento a Barile, senza punto giovare a Rapolla; la quale maggiore spesa di costruzione, com’è stata preventivata dallo ingegnere Pessione, avrebbe sorpassata nientemeno che la cifra di tre milioni di lire!
Quando anche, dunque, noi si fosse chiesto – dieci anni fa – lo studio di tutto un nuovo tracciato da Melfi a Barile, meno sfavorevole e più gradito a Rapolla: chi mai, onestamente, può oggi nutrir la menoma illusione, intorno alla sua accettazione da parte dello Stato?