I percorsi di Giustino Fortunato

date

1904

author

Fortunato, Giustino

title

La badia di Monticchio [estratto n.5]

summary

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  • "La Badia di Monticchio", Vecchi, Trani 1904, pp. 81-85.

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I normanni, naturalmente, non valsero gran fatto meglio degli altri. «Crescendo ogni dì di numero», scrive un contemporaneo, «perché allettati ad accorrervi dalla fertile terra», ab uberem terram (così almeno pareva allora, e così, pur troppo, pare ancora a’ più, quantunque, se tanto benedetta dal sole, tanto sia povera d’acque e, peggio, ricca di argille mobili e malariche!), «si diedero ad opprimere, con assalti e con ingiuste tirannidi, gl’indigeni, indigetos, città e terre invadendo, le donne ed anche le altrui mogli, uxores etiam, rapendo, i beni delle chiese disertando, ogni umana e divina cosa confondendo; e più prepotevano, e più insolentivano: omnia, prout viribus plus poterant, jura confundere» . Ogni cosa? Ah no, non interamente e tutto essi avevano dimenticato dell’umida nebbiosa loro terra natale, aperta all’oceano: non ogni briciolo di pietà, non ogni desiderio, non ogni voce della patria lontana, così amante de’ lari domestici, così pia, così pensosa! Ed essi, i temuti ebrei erranti del nord, o non si erano pur quivi imbattuti, a due passi dalla stessa Melfi, su quel monte sempre verde della buona promessa, sotto il cielo sempre sereno di Puglia, nella cara immagine familiare dell’Angelo, che anche a’ padri loro sfolgorò un giorno, radiosa in viso, nunzia di pace, dall’isola rocciosa del mare ognora cupo di Bretagna? Chi più credente, chi più tenacemente memore di loro? Le memorie della passata vita, che sono dolori, le speranze dell’avvenire, che non paiono e sono sogni, non muovon forse dal cuore? Quello che in lingua nostra, osserva uno scrittore, è: «imparare a mente», la più meccanica di tutte le operazioni della memoria, i francesi dicono: «imparare nel cuore, per via del cuore»; e dicono assai bene, soggiunge lo scrittore, perché la memoria è conseguenza dell’attenzione, e l’attenzione di un sentimento. I popoli vecchi dimenticano, non i giovani; e i nuovi arrivati, che uscivano da un popolo fin troppo giovane, non sempre obliarono sé, il loro paese, le divote anime ingenue delle case paterne: e nel nome dell’Arcangelo, dinanzi a’ suoi eremi, più volte tornaron miti, spesso generosi, chetando gli spiriti al ricordo di un comune affetto religioso. Il fervore dell’antico tributo di venerazione per San Michele era tra noi andato via via scemando, quantunque alla idea, ormai spenta, di opposizione contro a’ greci si era pure, ne’ due ultimi secoli, sostituita quella di avversione contro a nemici anche più pericolosi, i saraceni, «figli di Satana», cacciatisi fin su a Lagopesole . A’ normanni riescì ravvivarne la memoria, sia ristorandone gli altari, sia rinfrescandone il culto, - con quale gioia, con quanto utile de’ benedettini in genere, di que’ di Monticchio in ispecie, che primi eran loro usciti incontro con le palme d’olivi, è facile immaginare. La nuova gente, e quale gente!, prostravasi a’ piedi delle immagini del santo popolare, e riconosceva, contro lo straniero oppressore, la suprema autorità indigena de’ longobardi: potevano i claustrali di Monticchio sperare, agognar niente di meglio? Assai più intolleranti de’ basiliani, essi, i benedettini, dovettero particolarmente pensare innanzi tutto a liberarsi della incresciosa, perniciosa presenza de’ confratelli di rito greco; restar soli nel sacro bosco, accanto alla grotta de’ miracoli, soli, senza emuli, senza competitori, senza spie: questa, forse, la prima concessione che chiesero a Guglielmo Bracciodiferro, la prima che ottennero da Roberto Guiscardo. E i discepoli di San Basilio ridiscesero via via il monte e ripassarono l’Adriatico, non lasciando di sé altra memoria fuor che l’austera visione, rimasta poi a lungo impressa ne’ popoli meridionali, della loro arte pittorica.

La presente edicola della grotta di Monticchio, dietro l’altar maggiore, nel vivo sasso vulcanico, non andrebbe, col suo Cristo bizantino fra la Madonna e il Battista, con l’aquila nimbata e gli apostoli che fanno il gesto della benedizione greca, oltre il Mille cento, quando già da tempo l’ultimo de’ basiliani avea disertato da’ paesi del Vulture. Gli affreschi delle grotte di Rapolla sono di epoca anche più prossima a noi.

Il regno di Bengodi del BOCCACCIO (giorn. VII, nov. 3ª), descrivendo il quale Maso del Saggio si piglia giuoco di Calandrino, quel beato regno in cui «stanno genti che niuna altra cosa fanno che far maccheroni e raviuoli», è ancora, nella opinione de’ più, il nostro Mezzogiorno. «Calandrino chiede a Maso quante miglia ci ha per giungervi. Maso risponde: haccene più di millanta. Dice Calandrino: dunque dee essere più là che Abruzzi. Sì bene, risponde Maso, un poco più in là». E il BOCCACCIO pur sapeva che cosa fosse «passare in terra d’Abruzzi, dove gli uomini e le femmine vanno in zoccoli su pe’ monti», e «poco più là trovar genti», in Calabria, «che portano il vin messo negli otri» (giorn. VI, nov. 10ª!). – Che l’ Italia Meridionale sia un paese «naturalmente» più povero, per cause di clima e di suolo, della rimanente penisola, assai povero se si eccettuino la Campania e Terra di Bari, è una verità fondamentale, che oggi soltanto comincia a farsi strada, grazie agli studi del FISCHER (trad. del PASANISI) o dell’HASSERT (trad. del DE MAGISTRIS) in Germania, del prof. TARAMELLI (ne’ Rendiconti dell’Istituto lombardo del 1892 e nella Rassegna Nazionale del 1899) in Italia. Cfr. J. GAY (nel Bulletin critique, an. 1901, p. 224); G. YVER (Le commerce et les marchands dans l’Italie meridionale au XIIIe et au XIVe siècle, 1903, pp. 23, 106, 127 e 396), ed anche, doverosamente, F. S. NITTI (Nord e Sud, 1900, intr. Cap. I e II; L’Italia all’alba del secolo ventesimo, 1901, disc. IV; Napoli e la questione meridionale, 1903, intr. E cap. VI e VII). – Della «topografia storica» della bassa Italia peninsulare è breve ed esatta descrizione nel proemio alla recente opera del BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale ec., 1904, vol. I, pp. 3-19. Il castello di Lagopesole, pp. 13-16. Ma ancora per poco, almeno tra le classi superiori. «Nella piega che prese la civiltà italiana, era naturale che si dimenticasse completamente l’antico santo popolare della gente longobarda. Nella grande opera poetica, che rappresentò e riassunse, nella forma più pura e più profonda, il soprannaturalismo medievale, nella ‘Divina Commedia’, l’Arcangelo non è mai espressamente nominato, quantunque quella celeste figura, che apre a Dante e a Virgilio le chiuse porte della città infernale, accenni al vincitor del drago, e tutte le note caratteristiche degli angeli del Purgatorio – quelle del Paradiso sono completamente ideali – Dante le prenda ad imprestito dalla leggenda popolare. Dante scompose la intera figura e ne adoperò, a seconda del bisogno, le parti. Come Michele, il nocchiere celeste del II canto del Purgatorio raccoglie le anime de’ morti e le guida attraverso al mare infinito. I due angeli armati della valle della pace, che a mezza altezza del monte della purificazione difendono le anime dall’antico serpente, corrispondono all’arcangelo armato di corazza. Anche quella incomparabile figura del custode, riposante su le scale del Purgatorio, ci richiama al giudice delle anime, al guardiano del paradiso, al simbolo del sacerdozio, con cui la leggenda si piacque colorir la persona dell’Arcangelo: come Michele, anch’egli porta la spada e, come quegli, segna la fronte del poeta e giudica della sua ammissione nel regno santo. Solo nell’arte l’arcangelo conservò a lungo il suo posto d’onore». GOTHEIN, pp. 91-93. GUARINI, Santa Margherita, p. 29; cfr. DIEHL, L’art byzantin dans l’Italie méridionale , p. 149. BERTAUX, I mon. med. Della reg. del Vulture , p. 6 – Presso alla Vergine e al Cristo si leggono ancora le due sigle greche: ΜΡ-ΘΥ (Μηδηρ Θεού), ΧΡ (χριστός).

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