I percorsi di Giustino Fortunato

date

1904

author

Fortunato, Giustino

title

La Badia di Monticchio [estratto n.12]

summary

Lorem ipsum dolor sit amet

bibliography

  • La Badia di Monticchio, Vecchi, Trani 1904, pp. 319-324.

teibody

Durante il decennio francese, in cui fu combattuta quaggiù una vera guerra sociale sotto la forma della più feroce resistenza delle campagne, tornò il bosco, quantunque senza «grandi comitive», a ripullulare di banditi, come ne’ peggiori tempi de’ secoli passati: primi fra’ moltissimi un Vuozzo, di Sant’Andrea di Conza, che riescì a fuggire in Sicilia, donde si ritirò ad Eboli, nel ’15, pensionato da Ferdinando IV, un Taccone, di Laurenzana, che il 23 luglio del ’09 assediò e massacrò nel castello di Abriola la famiglia del barone Federici, un Quagliarella, Di Muro, che il 9 ottobre del ’10 uccise il generale francese De Gambs in una forra del Marmo presso Vietri , e, in fine, un Pasquale Giordano, di Rionero, alias Bufaletto, carbonaio, il cui nome vive tuttora in uno de’ più difficili varchi di Monticchio, su le rupi soprastanti alla grotta di San Michele. Ricordate quel Maso Ammaccapane del 1801, amico e non amico, in quell’anno, del «re brigante» di Lagopesole , Michelangelo Natale? Si chiamava Tommaso Gruosso, e nel ’99 era stato il braccio destro de’ borbonici contro la municipalità repubblicana di Rionero , facendone d’ogni colore: riscappato da Napoli nel ’06 re Ferdinando, e preposti al trono prima Giuseppe Bonaparte, poi il Murat, anche lui aveva pensato fuggirsene alla macchia, temendo rappresaglie; ma presto tornò libero in paese, sotto condizione di dar lui la caccia a’ briganti. E Maso tenne fede alla parola: Bufaletto, il 15 giugno del ’12, cadeva di sua mano nel bosco della Frasca, tra l’Ofanto e le alture occidentali di Melfi. Tornava proprio allora dall’esercito Vito Giordano, fratello dell’ucciso, che pigliatone il posto e la successione, giurò vendicarne la morte. Il duello, fatto d’agguati e d’insidie, a modo de’ barbari, ma con armi pari e non senza precedenti sfide, durava implacabile. La sera del 5 aprile del ’13, insieme con i suoi della guardia rionerese, Maso era a pernottare nel casone delle Paduli, dove, in compagnia di molti pastori suoi conterranei, si trovava un prete di Bella, don Gerardo Lanzetta, proprietario del gregge. Vito dimorava a Foggiano, non ignaro delle mosse dell’avversario. Avea nevicato, e la tramontana mordeva il viso. Non importa; il sorcio è nella trappola. E Vito piomba giù alle Paduli e, circondato il casone, manda l’ambasciata: salva a tutti la vita, meno che per lui, il traditore! La proposta è respinta, e il fuoco di fucileria si apre nutrito dalle due parti. Ma le munizioni, a que’ di dentro, cominciano a mancare, e i covoni di paglia, che sono innanzi alla porta, già bruciano, già piovono le scintille sul tetto di legno, e la vile orribile proposta torna a echeggiare tra’ sibili del vento…No, meglio morir tutti, compresi il prete e i pastori, compagni forzati di martirio di que’ diavoli in carne e in ossa!

Quando il fuoco ebbe compiuta la sua opera, venti cadaveri carbonizzati apparvero tra le ceneri e i tizzi fumanti: i loro nomi, chi voglia conoscerli, si leggono ancora nel «Registro penale del Giudicato di Rionero per l’anno 1813». E Vito Giordano? Visse randagio un altro anno, finché chiesta e ottenuta premessa di grazia, sparve dal Vulture e andò in Napoli, dove si ascrisse gendarme; ma né allora né poi tornò mai più in patria, non dando di sé mai più notizie. Lasciò dentro Monticchio, suoi eredi, un Vito Rizzieri, crudelissimo, di Bisaccia, un Donato Schirò, di Barile, due fratelli D’Errico, dal soprannome Mangiagatti, di Rionero: i primi rimasero uccisi in un conflitto con la forza pubblica, che s’imbatté seco loro nel bosco di Palo Rotondo, presso il ponte di Santa Venere, nell’aprile del ’22: i secondi, di lì a un mese, presso Calitri.

E quetò il bosco, sino a che, dal ’61 al ’64, non divenne quartier generale di Carmine Crocco , di Caruso e di Ninco NancoNinco Nanco, la nera triade, che tanto offusca il nostro passato. È storia di ieri, che altri, un giorno, narrerà con animo degno, e il racconto, ne sono certo, spanderà luce su molti de’ fatti più remoti di nostra storia; su quello, per esempio, del timor panico che nasce a un tratto e si diffonde senza cagione reale, rendendo possibile a’ pochissimi ogni più audace impresa: triste eredità di popoli deboli, impulsivi, idolatri, a’ quali la malaria, il digiuno, la superstizione hanno, da secoli, indebolito i nervi e agitati gli spiriti! – Da Monticchio, che il Crocco, nell’autobiografia, chiamerà: «la mia sicura boscaglia», propriamente dall’alto del Piano degli Sgarroni, dov’è ancora l’annosa «quercia di Crocco», il BORJES, nell’ultima pagina del giornale da lui incominciato il 13 settembre ’61 presso la marina di Reggio Calabria, scriveva, su l’annotare del 28 novembre, profugo dal vano assalto dato a Pescopagano: «scena disgustosa. Crocco riunisce gli antichi capi di ladri e dà loro gli antichi accoliti; tutti gli altri sono disarmati violentemente. Alcuni fuggono, altri piangono, chiedendo di servire per un po’ di pane. Ma egli è inesorabile, e i suoi li respingono, seguendo il capitano, che è della stessa loro tempra…». E con ventiquattro compagni, la più parte conterranei, il Borjes abbandona il campo, marcia alla ventura dì e notte per sette lunghi giorni piovosi, finché presso Tagliacozzo, a un’ora dal confine pontificio, è catturato e, messo in ginocchio tra’ compagni, con i quali intuona una litania, fucilato. Assai diverso, il guerrigliero catalano, e assai meno fortunato del Crocco, che anch’egli, la sera del 28 luglio ’64, con undici degli antichi seguaci, «montati sopra superbi cavalli pugliesi», parte da Monticchio, «cammina per tratturi nascosti, dento il fitto de’ boschi, lungo il letto de’ fiumi», supera ostacoli, affronta pericoli e…, con soli quattro superstiti, varca sicuro la frontiera della Sabina. Non era più lui, dacché Ninco NancoNinco Nanco era stato ammazzato e Caruso, deposte le armi, gli si era messo alle calcagna, guida de’ bersaglieri; non era più lui, dacché lo spettro dell’ultima sua vittima, il tenente del 2.º Fanteria Giambattista Bollani, torinese, il cui nome si legge scolpito su le lapidi della scuola militare di Modena insieme con quello di Monticchio, assalito in agguato su la via di San Fele, cadutogli mortalmente ferito nelle mani e da’ suoi, per suo ordine, sgozzato presso la Cappella del Priore nel 2 giugno di quell’anno, non gli lasciava più un’ora sola di pace, un’ora!

Cfr. Il 1799 in Basilicata, negli «Scritti vari», p. 201 e seg. MARTUSCELLI, op. c., p. 536. – Cfr. p. 204, in n.1, degli «Scritti vari». Né il COLLETTA né altri danno la data del fatto. Io l’ho tratta da’ registri dello Stato civile del comune di Vietri di Potenza. Il Castello di Lagopesole , p. 140. Negli «Scritti vari», p. 225. CRONACA FUSCO,Mss. Della Soc. stor. nap. Giornale del Regno delle due Sicilie, 27 aprile 1822. Ib., 22 maggio 1822. Contrariamente a quello che io scrissi a p. 141 del Castello di Lagopesole, egli è Carmine Crocco, soprannominato Donatello. E. MASSA, Note autobiografiche di Carmine Crocco e di Caruso , Melfi, 1903; cfr. B. DEL ZIO, Il brigante Crocco e la sua autobiografia, Melfi, 1903, e Q. BIANCHI, Il brigante Ninco Nanco, Napoli, 1903. GRANATA, Memorie di un insegnante privato, Trani, 1901, p. 87.

notes alpha

    notes int