E nella primavera del 1274 re Carlo è di nuovo su e giù in via, tra Foggia e Palazzo, per poi risalire e fermarsi nella estate, come farà pure l’anno dopo venendo da Napoli, al castello di Lagopesole. Questa volta è particolarmente intento alle non poche riparazioni che occorrono, in hostiis et presepiis, alla gran casa della marescalchia di San Gervasio, poi che una estimazione de’ lavori più necessari, compilata da Vitale Fusco di Venosa, importa, nell’insieme, la spesa di sette once d’oro e di nove tarì e mezzo, così distribuita: quattro mila tegole (imbrices), alla ragione di venti tari per mille; venti grosse travi, al prezzo di altrettanti tarì, compresi il taglio e il trasporto (incisura et delatura); trecento grossi chiodi, per quindici tarì; dieci salme di calce e venti di arena, le une e le altre per venticinque tarì; cinque muratori per cinque giorni, due fabbri-ferrai per sei, tre falegnami per dieci, ognuno indistintamente con la mercede di un tarì al giorno. Urge, soprattutto, tectum ispsius domus revolvi et reparari, ut equitature possint ibi salubriter et commode commorari: chè Carlo niente ha più caro delle regie razze di cavalli, divenute rinomatissime ed eccellenti, e per le quali ha steso appositi «statuti» giunti sino a noi. In Basilicata, magister aratiarum, con sede a San Gervasio, è un Pietro d’Arezzo (che apparirà per ora, e tragicamente, in questa nostra cronistoria); insieme con lui, un siniscalco e un notaio; per ogni centocinquanta cavalle, due «giumentari», per ogni coppia di stalloni, uno scudiere: le cavalle, marchiate al fuoco cum merco Curie ad florem de lysa, e brade, seguite per ciò da cani mastini ad venationem non apti, soggette ad abortire in asperitate temporis yemalis. Dolce il pascolo d’inverno, su’ poggi di San Gervasio; teneri gli erbaggi in estate, su le alture di Lagopesole. L’un bosco e l’altro, chiusi a «difesa» e tra’ maggiori e migliori della regia curia in Basilicata: defensa Lacuspensilis
, come è detto in una «inquisizione» del 1278, cum quatuor foresteriis equitibus et quator peditibus; defensa Sancti Gervasii, cum quatuor foresteriis equitibus et quatuor peditibus; et subscripte alie defense de quibus non expresserunt custodes, videlicet, nemus Petregalle, defensa Gualti et Vitalbe
(Gualdo e Vitalba, sei anni dopo, aggregati a Lagopesole
).
Un magister forestarum per tutto il Regno, un custos memoris per ogni foresta: di nobili famiglie, il più delle volte, i custodi di Lagopesole. Ma che noie e che angustie, per i confinanti le regie «difese»! I monaci di Monticchio e i vassalli di Forenza spesso si dolgono, che a’ loro animali sia vietato l’antico uso di pascolo nelle «pertinenze» di Lagopesole, e la città di Potenza e il casale di Cervarezza altamente si querelano, che i castellano di Lagopesole e il custode di San Gervasio vogliano a forza estendere la loro giurisdizione sui territorii non proprii. Se poi avviene che custode o castellano di Lagopesole sia nientemeno che Giovanni Monfort, camerario del Regno e conte di Montescaglioso, l’arbitrio non ha limite, e gran parte del feudo di Casalaspro, per esempio, viene aggregato a Montemarcone; se gente meno illustre, od anche illustre, ma di maniche larghe e di costumi facili, di gente, insomma, non incorruttibile, oh allora che festa per i privati possessori di mandrie, a cui il re, nella estate, fa assoluto divieto delle pasture di Lagopesole e delle fonti di San Gervasio! Quando, invece, alle regie «difese» capita alcun male o per taglio di alberi o per incendio di siepi, ogni pietà, ogni misericordia è bandita. Un «signor» Florio di Venosa (quasi tutti gli atti riguardanti San Gervasio e Lagopesole si compiono in Venosa) è sempre pronto lì ad eseguir gli ordini sovrani, e armato di terribili scritte in latino, assistito dall’usciere e dal cancelliere, bazza a chi tocca! L’ordine del 1286, per tacere di altri, è un capolavoro del genere: «essendo a noi, nell’ora che volge, sommamente opportuno il danaro (è il conte d’Artois, balio del Regno, che scrive), poi che difficili e urgenti servizii incombono su la Curia, e confidando nella fede e nel valore di una persona come te, di cui è tanta verso di noi la fama lodevolissima, crediamo disporre, che senza alcun indugio tu provvegga alla immediata esazione del debito a noi dovuto, dietro concorde composizione, per i danni arrecati alle foreste di Lagopesole e del Gualdo; e per ciò ordiniamo alla tua devozione di recarti subito, sotto pena di venti once d’oro, nelle terre qui annotate, e di costringerle con ogni mezzo, omni cohercione, come a te parrà meglio fare, per tutto il corrente mese, se vorrai sottrarti a’ moti dell’ira nostra, iracundie nostre, al pagamento dell’intera somma». Le terre sono quelle di Melfi, Venosa, Gaudiano, Cervarezza, Banzi, Genzano e Spinazzola: la somma, centosessantadue once d’oro. (Che diamine era innanzi accaduto? Una incursione di barbari, a dir poco, trattandosi di paesi così distanti e di danni così notevoli?)…Pure, siamo giusti: c’è niente di più sacro delle regie «difese» del Vulture, così popolate di cervi, che in una sol volta esse potettero inviare a Napoli mille quattrocento corna, per servire come «tenieri» di altrettante baliste? E meglio ancora, o non forniscono di selvaggina la stessa regal mensa di Castel Novo? San Gervasio fu in grado di spedire un giorno, apparecchiate col sale, cinque cantaia di carni cervine, Lagopesole dieci: e ove non bastino – per caso – le proprie dotazioni, c’è modo, e semplicissimo, di provvedere con le altrui. Una parola di comando è indirizzata a’ sindaci di Rionero, Ripacandida e Cigliano (un casaletto, presso Ginestra), perché sia lecito a Corrado di Ripacandida, cacciator di Corte (bersator), di uccidere nelle foreste predictorum locorum, feudali e non, tutti gli animali selvatici, che crederà opportuni per uso della real Casa; salvo alla real Casa di pagarne, poi, il prezzo a’ rispettivi padroni… Di chi la colpa, se mai? I lupi abbondano, purtroppo, nelle «regie» difese di Basilicata! Fortuna non manchino severi ordini, per i custodi di Lagopesole e di San Gervasio, ad occidendum lupos cum pulvere, destinandovi, per lo più, de’ boscaioli di Val Sorana, pagati un augustale al mese. Cum pulvere, a scanso di equivoci, non altrimenti che venefica, poi che la «polvere da fuoco» allora appena si scopriva: lupos et lupellos perquisire et comprehendere (è scritto fin dal tempo di Carlo Magno) tam cum pulvere et hamis, quam cum fossis et canibus
.
MINIERI RICCIO, Geneal. di Carlo I, p. 118 – Cf. «Arch. Stor. It.», tom. XXV, an. 1877.
Ib., Elenco degli uff. gov. del Reame di Sicilia
, p. 45.
S. M. Di Vitalba, p. 91.
«Bersa, crates viminaem seu sepes ex palis vel ramis grandioribus contextae, quibus silve vel parci undique incinguntur, ut nullus cervis caeterisque feris ad egressum pateat aditus. Bersari, venari, intra bersas forestae venationem exercere». DU CANGE. – Bersator, quindi, «cacciatore»; quantunque non riportato dal DU CANGE.
Capit. Reg. Franc., Venezia, 1772, tom. I, p. 244.