Rionero in Vulture, 22 ottobre
Sono ancora commosso delle cordiali accoglienze che la nostra piccola comitiva ha ricevuto da queste buone popolazioni. Come i vostri lettori già sanno, gli on. Luzzati e Sonnino (Sidney), l’egregio Enea Cavalieri di Bologna e il vostro corrispondente, per gentile invito dell’on. Giustino Fortunato, siam venuti qui a visitare la Banca mutua popolare, una delle prime fondate nelle provincie meridionali, ed una delle più prospere. Doveva essere una festa tutta rionerese, e invece è incominciata assai prima che giungessimo alle falde del Vulture, e forse s’estenderà più lontano, durerà più a lungo di quello che si prevedeva, tanto è giunta gradita qui e nei dintorni, la notizia che uomini volenterosi e benemeriti, appartenenti a lontane regioni d’Italia, s’interessino di quanto si fa, in un remoto angolo della Basilicata, a vantaggio delle classi sociali più bisognose.
Le accoglienze oneste e liete sono cominciate alla stazione di Foggia, dove, con assai gentile pensiero, ci attendevano l’onorevole Pavoncelli ed altri signori di Cerignola.
Alla stazione di quest’ultima città, un’ora dopo, ci davano il benvenuto il sindaco di Rionero, cav. Pierro, il sindaco di Atella, avvocato d’Angelo, i direttori della Banche popolari di Rionero e di Barile, ed altri rappresentanti del Comune di Rionero.
Una lunga fila di carrozze ci ha portati attraverso la popolosa e ricca Cerignola, fino alla palazzina elegantissima dell’onorevole Pavoncelli, dove - gradita sorpresa, dopo quindici ore di viaggio - era imbandita una lauta colazione.
Da un balcone mi fanno vedere una piazza vastissima, che a primo sguardo si prenderebbe per un camposanto, senonché quelli che sembrano coperchi di sepolcri, sono grandi magazzini sotterranei, dove si deposita il grano. Mi dicono che lì sotto c’è oltre un milione di tomola.
Il fiume ha un letto vastissimo, ma ora asciutto in massima parte, e la corrente limpida e tranquilla fa sorridere chi ricorda il tauriformis Aufidus
di
Orazio. Le nostre carrozze lo traversano senza difficoltà alcuna, poiché dovete sapere che poco lontano dal guado sorge un bellissimo ponte a cinque arcate, ma è come non ci fosse, almeno di estate, tanto poco praticabile è reso il tratto di strada, che vi mena, dagli enormi ciottoli di cui, invece di brecciame, è coperto.
Al di qua dell’Ofanto il suolo comincia a essere rotto e variato, e s’innalza a poco a poco sino a Lavello, dove giungiamo verso le due. Il funzionante da Sindaco e parecchi cittadini ci fanno cortese violenza, e ci obbligano a fermarci e ad accettare dei rinfreschi. Ad un’estremità del paese sorge un vasto edifizio quadrato: è il vecchio castello, trasformato in palazzo, che accolse tra le sue mura Corrado di Svevia, Manfredi, Ferdinando d’Aragona.
All’onor. Luzzatti ed a tutti noi fa grata impressione l’apprendere che in Lavello sono tre Società popolari di mutuo soccorso.
A me, poi, fa cara sorpresa un vecchio di fisionomia simpatica ed espressiva, che parla disinvolto e corretto, con frequenti citazioni latine e francesi. È desolato perché Venosa non ha ancora innalzato un monumento ad Orazio. Mi dicono che è il signor Palese, discepolo di Basilio Puoti, dotto e valente avvocato una volta, che non si sa perché siasi ridotto a vivere oscuro nel suo paesello. Ma di queste sorprese non mancano a chi viaggia in Basilicata.
Partiti alle tre da Lavello, ci avviciniamo sempre più al Vulture, una grande piramide i cui contorni si disegnano sempre più netti e spiccati. Si sale, ora, lentamente, attraverso vigne ed oliveti. A guardar indietro, la strada che abbiamo percorsa apparisce come un lunghissimo nastro bianco che taglia in due parti disuguali la pianura. Veduta di lassù tutta intera, questa offre uno spettacolo stupendo, per la sua sterminata ampiezza, per le tinte diverse di cui la riveste il tramonto; in fondo si discerne appena Candela, a destra Minervino, più in qua Venosa.
Giungiamo a Barile verso le sei, e la traversiamo rapidamente, ma poco più oltre la nostra corsa è interrotta. Una folla grandissima, con fiaccole, fa ressa intorno alle nostre carrozze, e grida evviva, e batte le mani. Subito dopo, una banda comincia a suonare.
Scendiamo. La commozione si legge sopra ogni volto. Ognuno cerca avidamente con gli occhi, ognuno mostra a dito l’onorevole Fortunato, il quale si adopera invano a nascondersi. Si va innanzi così pigiati, trascinati dalla moltitudine per lungo tratto. Le grida di gioia non cessano mai. Alle prima case del paese grandi trofei di lampioncini a varii colori sostituiscono le fiaccole. Sulle soglie delle case, alle finestre, ai balconi, donne, uomini, fanciulli, vecchi aggrappati che salutano il loro simpatico deputato con molto affetto.
La piazza è splendidamente illuminata con la luce elettrica; nei cortili e per la scala di casa Fortunato siamo seguiti da persone di ogni classe, che non si stancano di farci festa in cento modi. Lungo tempo dopo, giungono ancora a noi dalla via suoni e grida. La dimostrazione non poteva essere più affettuosa, né - lasciatemelo dire, poiché è vero - più commovente.
Stasera sono giunti all’on. Luzzatti due telegrammi, che giova trascrivere. Uno dell’on. Pedroni, presidente della Banca di Milano, dice:
«Assicura brave popolazioni Basilicata che io sono lieto assieme ai nostri amici che risuoni presso esse tua parola, la quale tanto contribuì fondare provvide fratellanze credito mutuo popolare nelle altre provincie italiane, e che noi le stimiamo altamente e le aiuteremo con amore nell’impianto ed esplicazione banche popolari».
L’altro, dell’on. Vacchelli, presidente della Banca di Cremona, dice:
«Sono con l’animo tuo, compagno nella visita ai fratelli della Basilicata, lieti che sentano per così degno interprete di quanto affetto li amiamo e come altamente pregiamo le loro fervide menti, i loro cuori generosi; plaudo ai vincoli delle Società cooperative che raffermano il sentimento dell’unità della patria».