I percorsi di Giustino Fortunato

date

1880-11-06

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Torraca, Francesco

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Lettere dalle Province_6 novembre 1880

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    3 novembre

    L’esempio di Rionero e di Barile, la propaganda assidua e calda dell’on. Fortunato, ed ora l’eco profonda, che la parola dell’on. Luzzati ha lasciata, producono, mentre vi scrivo, un notevole movimento nelle popolazioni del circondario di Melfi, dal quale mi è grato attendere ottimi frutti. Già, quando ripassai per Lavello, tornando dall’aver accompagnato a Cerignola l’on. Luzzati, trovai benissimo avviata una sottoscrizione per l’impianto d’una banca mutua popolare: in meno di due giorni, 250 azioni da lire 50 l’una erano state richieste. Anche Venosa si apparecchia attivamente a fondare la sua banca, e questa di Rionero - come mi assicura il solerte vice-direttore di essa, Gaetano Padula - intende a tradurre in realtà gli utili consigli dell’onorevole Luzzati. Melfi ha, si può dire, bell’e costituita la sua banca popolare, con 60.000 lire di capitale, e aspetta l’approvazione per inaugurarla.

    È un movimento che importa secondare e ingagliardire, perché le condizioni sociali del circondario di Melfi, - analoghe, del resto, a quelle di tanta parte del Napoletano, - non sono molte liete. A me, in pochi giorni, e tra distrazioni frequenti, non è stato possibile studiare a fondo, con analisi rigorosa, una società, un ambiente, nel complesso loro, differenti assai dalle grandi città, e che offrirebbero materia inesauribile a un Dickens o ad uno Zola. Però, qualcosa ho visto, qualche informazione mi son procurato, ho udito molte conversazioni, sicché posso, se non giudicare, almeno formulare ed esprimere impressioni, che mi paiono abbastanza esatte.

    E la prima e più profonda impressione, che riceve chi viene in questi luoghi da altri più progrediti, è un amaro senso di tristezza. La grandissima parte degli abitanti sono contadini, cafoni, per i quali la civiltà è un nonsenso, quando non è un nemico. Portano in viso il marchio della miseria, indossano luride vesti: in tutta la persona, nel contegno, nell’andatura stanca, manifestano la degradazione fisica e la quasi assoluta mancanza di vita spirituale; sembrano automi, piuttosto che uomini. Le loro donne sono anche più sparute, i loro bimbi più sporchi e cenciosi di essi. Abitano, generalmente, in tuguri affumicati, dove non entra né aria né luce; dove assai spesso un letto solo (e sarebbe più proprio dire un canile) accoglie tre generazioni della famiglia; dove, insieme con essi, le galline, l’asino e il maiale mangiano e dormono. A Barile molte abitazioni di contadini sono umide grotte scavate nel tufo, che ricevono luce ed aria dalla porta, intorno alla quale s’accumula e fermenta il letame. Ad Atella, - un tempo città forte, ed oggi poco più di un villaggio, - il sudiciume, la strettezza e la cattiva costruzione delle case, più delle acque stagnanti vicine, fomentano le febbri di malaria: esse vi infieriscono continuamente, sicché quasi non vedi un uomo robusto e sano. Lavello, in posizione ridente, con famiglie molto agiate, con una rendita comunale cospicua, ha gentili e svelti gli abitanti, donne dal profilo greco e dal costume pittoresco; ma, a passeggiar per le vie, si prova ad ogni tratto più forte un senso di nausea: che maraviglia se anche a Lavello ha preso domicilio la febbre d’infezione?

    Mentre tutto spingerebbe il contadino a fuggire dai luoghi dove soffre tanto, egli, con singolare ostinazione, si aggrappa tenacemente a’ sassi del suo paesello: resiste alle più sicure promesse, alle più liete seduzioni, pur di restare dove nacque. Se prende in fitto un campo, qui, paga al padrone sei tomola di grano per ogni tomolo di terra, e il 25 per cento a chi gli dà la semenza; se lavora per altri, riceve in compenso venti soldi, o anche meno, al giorno, ed il cibo. Sa che in Puglia, per esempio, sarebbe trattato assai meglio, e non ci va, per non allontanarsi dal suo tugurio, sotto il cui tetto, ogni sera, a qualunque costo, vuol posare le stanche membra.

    Può essere timidezza, mancanza d’iniziativa, cieco fatalismo, ovvero sentimento vivo di famiglia; può essere tutte queste cose insieme, ma, ad ogni modo, è un fenomeno, del quale occorrerebbe tener conto, per ritrarne insegnamenti utili. Poiché è strano che, essendo il cafone così come ve l’ho descritto, quelli i quali potrebbero e dovrebbero giovarsi dell’attività e delle forze di lui, non se ne giovino. L’agricoltura, infatti, qui si vorrebbe più prospera. Certo questi poggi ameni, coperti di viti e d’ulivi, hanno un’apparenza di rigoglio, la quale fa vivo contrasto con la tetra uniformità della Dàunia sottostante; ed è anche vivo il contrasto tra i latifondi di laggiù e questi piccoli campi e piccole vigne. Si crederebbe, per ciò, che qui il lavoro dell’agricoltore dovesse essere più intenso, più proficuo, meglio compensato. Invece, le pratiche agrarie, salvo rare eccezioni, non sono molto progredite. Gli ulivi producono frutti abbondanti e squisiti, eppure l’olio è cattivo; la vite dà vino poderoso e di un sol tipo, eppure non si fa niente per perfezionarlo e per provocarne l’esportazione, che sarebbe fonte di ricchezza. Qua e là i fianchi delle colline si vanno spogliando di viti e d’alberi, perché la coltivazione del grano costa meno, e, com’è facile intendere, nella condizione presente delle cose, essa rende più dell’oliveto e del vigneto. Già, se dura così, tra non molti anni, anche Rionero, come oggi Lavello, non avrà di che riscaldarsi ne’ freddi inverni. Rionero, non lo dimentico, ha qui tuttora l’immenso bosco di Monticchio. Ma non sono pochi coloro, i quali vagheggiano la sua dissodazione, segno non dubbio delle idee predominanti, un giorno più dell’altro, nella maggioranza...

    Senza dubbio, al miglioramento dell’agricoltura potrà non poco giovare il saldo costituirsi dell’Istituto tecnico di Melfi, pel quale tanto ha contribuito, e contribuisce, la Cassa di risparmio, creata dal Governo borbonico dopo il terremoto dell’agosto 1851. Qual è ora, mancante delle più importanti sezioni, serve soltanto ad accrescere il numero degli agrimensori. L’egregio suo preside, professor Luigi Rubini , si adopera con tutte le forze per venirne a capo. Tante spese, Tanti sacrifici, e, soprattutto, la evidente utilità della trasformazione meritano che il Ministero dell’Agricoltura si mostri meno restio, che non è stato finora, nel concedere i necessarii, opportuni aiuti.

    E, a proposito di Monticchio, vi riferisco quello che ho udito da un contadino, e che più persone mi hanno confermato. Una volta, “a’ be’ tempi”, il cafone, la donnicciuola, per provvedersi di legna, pagava 9 carlini (circa 4 lire) al Regio Demanio, e aveva diritto di andare a Monticchio per un anno intero, a raccogliere le legne secche, o, dicono qui, “il morto a terra”. Ora che Monticchio è passato ad una grande misteriosa Società Anonima, - veneto-toscana, - i permessi si concedono per soli quindici giorni, come se il cafone non avesse a far altro se non andare per legna; e si esigon da lui 3 lire e mezza! La donnicciuola, poi, per poter mettere insieme il fascio, che porta dal bosco a casa sul capo, deve pagare un soldo al giorno. Vi spiegherete subito, dopo questo cenno, il grandissimo desiderio di tutti i contadini della regione del Vulture, il desiderio, cioè, che il Governo riacquisti Monticchio. “Il Governo, dicono, non ci scorticherà come la Società Anonima”.

    Il cafone, certamente, ha molte buone qualità. Laborioso, affezionato al suo paesello, contento di poco, rispettoso fino all’umiliazione, per chi crede a sé superiore, ha soprattutto (senza sapere che sia virtù) la virtù della rassegnazione. Ma guai se un giorno dovesse sentire troppo grave il peso de’ mali, che l’opprimono; guai, se, ignorante e abbandonato a’ suoi istinti, ascoltasse la voce de’ promotori di disordine, o si lasciasse trascinare dalla vendetta, passione tanto più terribile, quanto più lentamente e sordamente scava nell’animo rude di montanari avvezzi a maneggiar la scure e il fucile come la zappa e l’aratro! Non si dimentichi, tra essi - in ogni tempo un po’ difficile - trovò fomite e sostegno il brigantaggio. Chi dice che il brigantaggio non fu questione sociale, non ha forse mai visto cosa siano e come vivano i cafoni del Mezzogiorno d’Italia.

    Chi disperderà il pericolo? A sentire gli ottimisti, c’è la panacea dell’istruzione popolare. Certo, l’azione della scuola sarà benefica; ma essa è lenta, non egualmente efficace dappertutto, né abbastanza vigorosa per lottare contro le influenze contrarie, e vincerle. L’istruzione “obbligatoria”, per le condizioni di esistenza della nostra plebe, è una parola, cui non corrispondon punto i fatti. Maestri valenti, che accettino il loro compito come una missione, non mancano; e, per questo rispetto, come per l’intelligenza e l’abilità, Rionero può vantarsi del suo Giovanni Plastino e di Camillo Solimena, Barile de’ suoi Nicola De Rosa e Domenico Guarnieri, che sorretti da singolari uomini di studio, - quali Vincenzo Granata, in questo paese, ed Angelo Bozza, nell’altro, - fanno miracoli di abnegazione e di energia. Ma, se pure tutta la nuova generazione venisse su fornita di sufficiente istruzione, se pure la scuola elementare fosse educativa come dovrebbe essere, e disgraziatamente non è, sarebbe risolto il problema di tagliare i nervi all’usura, di dare al lavoro un compenso giusto, di lenire le piaghe economiche, le quali affliggono il maggior numero?

    Altri se la pigliano col Governo. A sentirli, l’origine di tutti i mali è stato ed è il Governo, ma, viceversa, da esso deve pur venire la resurrezione e il salvamento. Oh, perché - de’ suoi tanti milioni - non versa qualcuno in queste borgate? Al tocco della invocata pioggia di Danae, la valle più alpestre e triste della Basilicata si trasformerebbe, in un attimo, nel migliore de’ mondi possibile. Siffatte opinioni sono indizio certo di scarsa coltura politica e di poca energia di carattere. Assai più giusto mi sembra che ad alte voci si lamenti il grave torto, qui subìto, della improvvisa soppressione, nel primo suo inizio, della decretata ferrovia dell’Ofanto da Foggia a Napoli, pel valico di Conza; e che a buon diritto, perciò, si chiegga, in tanto parlare che si fa di strade ferrate complementari, il proseguimento, almeno, del tronco rimasto deserto a ponte Santa Venere, affinché tutto il circondario di Melfi possa alfine allacciarsi alla recente linea della Eboli-Potenza-Taranto. Economicamente, ed anche moralmente, gioverebbe tanto!

    I più serii accusano la mancanza di capitali. Que’ pochi che, al 1860, si trovaron messi insieme, furono ingoiati, - è noto - dalle maggiori tasse e dalla vendita de’ beni ecclesiastici. Contribuì anche, e contribuisce, a disperderli, ad impedire s’impieghino a pro dell’agricoltura e dell’industria, l’accrescimento di bisogni veri e fittizi, che si è prodotto negli ultimi venti anni. L’esempio è contagioso, e se il borghese, tornando da Napoli, trova piccola e brutta la casa de’ suoi padri, rozzi gli abiti, grossolani gli spassi di cui si contentavano i vecchi, non è meraviglia che il contadino mediti di sostituire alle brache tradizionali il pantalone alla moda, e nemmeno che ci sia chi, quando egli non vi pensa, gli suggerisca e gl’imponga, a nome del progresso e della estetica, la sostituzione. Importa, dunque, formare il capitale che manca, mercé il risparmio: di qui l’utilità della propaganda a favore delle istituzioni di credito popolare, quantunque l’azione loro anch’essa sia lenta e limitata, e non possa guarire i meli più gravi, se altri fattori di miglioramento non si mettono in moto.

    Mentre riconosco in gran parte giusta la diagnosi, che v’ho riassunta, penso il germe stesso della malattia le sfugga, scambi qua e là gli effetti per le cagioni, o le vegga fuori dell’organismo, invece di cercarle dove sono veramente, nell’interno di esso. Anzi non si può parlare di organismo sociale, nel senso esatto del vocabolo, dove è semplice coesistenza meccanica di elementi eterogenei. Di fronte alla immensa maggioranza misera e avvilita, è un piccolissimo numero di più o meno agiati, i quali vivono di rendita o dell’esercizio delle professione, embrione informe ancora, di gran lunga lontano dall’ideale d’una borghesia colta, attiva, morale, che possa guidare con mano sicura le sorti sue e le altrui. Ad essi manca l’intelligenza, manca bensì qualunque idealità, se non proprio la nozione precisa de’ loro doveri e de’ loro più alti interessi. (Per esempio il porre l’ideale della felicità nell’agio tranquillo, il preferire la «giamberga» del laureato alla casacca dell’agricoltore, il chiamar e credere dottrina un’inverniciatura che non riesce a celar l’ignoranza). Dalla storia non hanno ereditato se non difetti e pregiudizii, né finora han trovato modo di ritemprarsi con lo studio e con il lavoro. Molto sarebbe da aspettare dalla gioventù, pronta e vigorosa, se scuole secondarie ed Università fossero diverse da quel che sono, se intendessero, ciò che non fanno, a formar la coscienza nazionale e il carattere.

    Una classe politica, dirigente, la quale fosse guarentigia di sicurezza e di prosperità, non esiste; poiché non bastano a formarla i tre o quattro bene intenzionati, quanti se ne contano in questo o quel comune, divisi tra loro, impotenti tanto a tirarsi dietro i deboli e i timidi, quanto ad opporsi alle passioni meno nobili, che si combattono con tutte le armi nel campo chiuso delle amministrazioni municipali. I migliori o i più ricchi se ne vanno a Napoli; di quelli che restano si impossessa, a lungo andare, l’indifferenza della cosa pubblica, l’inerzia, ovvero la smania dell’ambizione e del tornaconto, col suo codazzo d’invidia, di maldicenze, di “ricorsi”, di brogli, di violenze: smania, della quale i più grossi mestatori si servono per arrivare più facilmente alle alte cariche elettive.

    Ora pensate che il circondario di Melfi, sotto parecchi aspetti, è forse il più progredito della Basilicata; pensate che qui le comunicazioni sono più agevoli, le terre più fertili, e immaginate fino a qual punto arrivino, negli altri circondarii, i guai di che v’ho fatto cenno. Io non credo nel resto della Basilicata siavi un borgo come Rionero, dove la classe agiata è numerosa, si tiene unita, non avversa, anzi favorisce le istituzioni utili pel contadino; dove il municipio, senza rendite, non ha debiti ed è ottimamente amministrato; dove è un numero di giovani, i quali hanno studiato e continuano a preferire il libro alle carte da giuoco; dove - caso non frequente, certo - è un deputato malato della febbre del bene, e pel quale ogni parola, ogni atto, è propaganda di alto patriottismo e di miglioramento sociale. Pensate a tutto questo, e poi datemi torto di avere scritto, cominciando, che un vivo senso di tristezza stringe il cuore di chi, per la prima volta, ascende dalla Puglia su’ gioghi dell’Appennino lucano.

    Quando, e per che modo, spunteranno i giorni della speranza e della fede?

    [FRANCESCO TORRACA]

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