Il breve di papa Eugenio III dell’anno 1152, col quale gli ecclesiastici della città e diocesi di Rapolla sarebbero stati esenti dalla potestà civile, ammette che la città stessa, ubi sedes episcopalis est, sia nelle mani del vescovo; l’antico stemma civico, che porta impresso il caduceo col motto: angelus Dei, simbolo di pace nel dividere le contese e acquietar le liti, confermerebbe, forse il fatto. Né questo sarebbe in aperta opposizione con l’operato di Carlo I d’Angiò, perché è noto come egli, malgrado la sua filiale devozione alla Chiesa, abbia fin troppo largheggiato, pure se a’ danni degli ecclesiastici, verso i tanti suoi militi della terra di Francia, poveri più di lui e come lui bramosi di dominio.
Ad ogni modo, il vescovo di Rapolla non solo era signore di Rionero e di Barile, e aveva in libero allodio non pochi beni rustici, alche di là dal fiume Tiepi, come, per esempio, San Mariano presso Santa Maria della Carità, di cui è memoria nelle carte di Perno
: ma egli, inoltre, godeva diritti temporali di ogni genere su tutto il vasto territorio della diocesi. Non meno della valle di Vitalba e di Armaterra, anche Ripacandida gli pagava, annualmente la decima: e il legnatico egli raccoglieva, alla misura di due salme die quolibet, nella regia foresta del Gualdo, sul «secco, selvaggio e morto a terra», cioè de lignis mortuis, non erectis nec manu hominis incidentis; e il terratico, infine, egli esigeva fin dentro Lagopesole, a motivo di una chiesetta di sua proprietà, Santa Maria de’ Santi (
Sancta Maria in Agiis
, έν άγιοις), forse la presente Madonna di Laurata, presso Torre degli Embrici . La città era degna sede di lui. Collocata sopra una roccia, nel mezzo del vallone della Melfia, come un apposito arnese da fortezza, essa contava, su la fine del secolo XIII, due mila cinquecento abitanti: di tutta la Basilicata, solo altre quattro città – Melfi, Venosa, Potenza e Montepeloso – la superavano in popolazione. Ne’ cedolarii di quel tempo pe la esazione delle imposte di Stato, che ogni anno i Maestri Razionali della Magna Curia compilavano e trasmettevano a’ rispettivi giustizieri delle province, Rapolla figura per centodue once d’oro. L’oncia si componeva di trenta tarì, il tarì di quattro carlini, il carlino di cinque grana; e poiché l’oncia veniva ragguagliata ad rationem quatuor augustalis, e l’augustale di Federico II importa oggi – alla zecca – lire diciotto d’oro effettive, così può dirsi, che l’oncia corrispondeva – nel solo valore intrinseco – a lire 72 della nostra moneta, il tarì a lire 2.40, il carlino a lire 0.60, il grano a lire 0.12.
Chiusa da mura bastionate, e fornita di un castello anche prima della venuta de’ normanni, perché in esso, il 1059, Roberto il Guiscardo confinava il nipote Ermanno, fatto prigione a Cisterna, e che egli liberava sol quando il fratello Abagelardo cedevagli Sant’Agata, è fama che Rapolla sia stata predata, la prima volta, da’ soldati imperiali di Lotario III nel 1137. L’Anonimo Cassinese, edito dal MURATORI, afferma che nell’anno 1183 i melfitani destruxterunt Rapollam
; e l’UGHELLI aggiunge, di sua immaginazione, quia rapullani cum melphiensibus de gloria certarent. Il castello doveva essere ancora valido il 1203, se papa Innocenzo III, balio del Regno, scriveva a suo cugino Iacopo, capitan generale in Puglia, che ove credesse non seguire in Sicilia Gualtieri conte di Brenna, toccasse a lui vigilare su’ castelli di Bari, di Melfi e di Rapolla.
Fu guelfa, nell’anima: ciò solo, io credo, potrebbe spiegare perché Melfi e Rapolla, la prima delle quali serbò a lungo i merli ghibellini sul campanile del duomo, fossero, e allora e poi, vissute insieme con l’affetto fraterno di Eteocle e Polinice. Morto re Corrado presso Lavello nel 1254, Rapolla si schierò, a grido di popolo, dalla parte del pontefice; e indarno l’anno dopo Galvano Lancia, a cui era stata poco prima infeudata, le intimò la resa nel nome di Manfredi: occorse assediarla, cum multitudine quitum et peditum, e prenderla di assalto, riducendola – scrive il LAMSILLA – ad extremam desolationem
.
Cento anni più tardi, e fu il colpo di grazia, essa venne miseramente saccheggiata – come attesta il VILLANI – da’ lanzichenecchi del conte Corrado Lando. Carlo I infeudò Rapolla, nel 1271, ed Erveo de Chevreuse (Erveus de Caprosia), in favore del quale, cinque anni dopo, ordinava fossero rivendicai molti beni ad ius et proprietatem feudi, illegalmente detenuti o patentemente usurpati da privati cittadini e signori di Rapolla. Il documento, che ha la data del 7 giugno 1276, e dal quale si apprende che la città era divisa in sei parrocchie, è importante per la geografia agraria della regione. Di là dal «broglio» (brolium), cioè dal campo fuori le mura, ubi populus conveniebat
, gli oliveti e i castagneti si stendevano a monte di Fontan’Alba, le vigne, e le plaghe atte a’ vigneti (vineales) fin giù al Pian di Croce, alla valle dell’Arcidiacono e a’ piccoli margini (yscitellae) della fiumana.
Grotte e cantine (cryptae et cellaria), lungo il fossato delle mura, erano provviste di botti (vegetes), perché il Vulture, allora come oggi, andava superbo del suo aglianico; e allora come oggi, nell’uso popolare di que’ paesi, una «soccia» o «soccitella» significava un’angusta zona di terreno, da cinque a sette are, e una «rasula» di vigna il breve appezzamento da un «rasolone» all’altro, che è quanto dire, da una all’altra fossa di scolo delle acque piovane: la rasula, in Puglia, è il sentiero divisorio de’ fondi campestri.Fa meraviglia che il nome di una contrada così vitifera, come sarebbe stata quella di «Rivogodino», sia oggi perfettamente scomparso. Il Tubulum, senza dubbio, è il «Ruvolo», da Rubus – secondo il DU CANGE – locus dumosus, spinoso.
Santa Maria di Vitalba
, p. 50.
RACIOPPI, Geog. e dem. della prov. di Bas. ne’ sec. XIII e XIV (Arch. stor. per le prov. nap. An. XI, fasc. III).
ALFANO, Descrizione del Regno di Napoli, Napoli, 1797, p. 73.
«Iuxta Montes Focarios prope Melfiam et Venusiam (SABA MALASPINA, I, 4), apud Lavellum in castris quibus morabitur (Chron. Suessan., I. c.)». – Di non oltre re Corrado di Svevia è il ricco tesoro di monete cufiche, rinvenuto nel Piano del Saraceno presso Lavello il 1889, e per il quale v. LACAVA, Ant. Luc., p. 67.
CAPASSO, Hist. dipl., ecc., p. 94.
«La città di Rapolla, che era di esso Galvano, durava nella ribellione, onde fu egli medesimo colà spedito con una moltitudine di cavalli e fanti armati. E poiché i cittadini, richiesti pacificamente con un suo discorso, non vollero ritornare nell’ubbidienza, fu dato un valoroso assalto; e sebbene gli abitanti della terra si fossero da prima audacemente difesi, poiché la posizione del luogo dava loro grande ardire nel difendersi, pure per questa loro resistenza e per questa loro difesa vie più si aumentava il coraggio e la forza dell’esercito principesco (di Manfredi), che reputava sollazzo quella loro resistenza, e la difesa, che gli abitanti di quel luogo faceano, sentiva essere sprone alla sua virtù. Purtuttavia la città fu presa violentemente, e molti della terra, per la ribellione in cui pertinacemente avean durato, furono messi a morte, cossicchè la città fu ridotta al colmo della desolazione non pure per la stoltezza de’ suoi cittadini, ma eziando per la trionfale vendetta dell’esercito principesco» (Ed. Del Re, p. 156, trad. del GATTI). Quando re Roberto si apparecchiava, in favor di papa Giovanni XXII, a fronteggiare Lodovico il Bavaro, Rapolla fu tra le università del Regno quella, che relativamente alle proprie forze, offrì maggior numero di cavalieri. Andò perduto il registro, in cui era il documento; ma di esso, nel repertorio V del Vincenti, al fl. 705, è il cenno che segue: Regni Universitatis offerunt pro bello contra Bavarum hos equites, videlicet, Aquila centum, Adria viginti, Teramum quindecim et Civitas Ducalis duos, PotentiaXX, Venusium XX, Melfia 15, Rapolla octo, Foggia decem, Escolum otto et Manfridonia decem, Barolum 60, Tranum 30, Vigilie 20, Iuvenatium 15, Melficta X, Botontum 30, Barum 30, Bitetta quinque et Monopolis 20.
L’Episcopio, Santa Lucia, san Nicola, San Giovanni, Sant’Angelo e San Biagio.
F. DECORATO, Della parola rasulito di alcuni dialetti pugliesi (nel GIAMBATTISTA BASILE, Arch. di lett. pop., an. IV, n.5, Napoli, 15 maggio 1886).