I percorsi di Giustino Fortunato

date

1899

author

Fortunato, Giustino

title

Rionero Medievale, con 26 documenti inediti [estratto n.1]

summary

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bibliography

  • Notizie storiche della valle di Vitalba, vol. IV, V. Vecchi, Trani 1899, pp. 7-9.

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Reliquie della età della pietra, piccoli raschiatoi, cuspidi di frecce, raccolte nel Museo preistorico di Roma, e che richiamano il pensiero alle officine di armi silicee e alle scuri di bronzo delle campagne di Venosa ; reliquie della età ellenica e della romana, vasi dell’antica ceramica pugliese, monete greche del litorale ionico, un suggello col nome di «Secondino», un cippo funerario, quindici archi in mattoni su la fiumana di Ripacandida , che attestano di un pago – fra le silvae venusinae, familiari all’orso (Carm. I 28, III 4) – di quella florida colonia latina, che la Repubblica addusse sul confine della Lucania : questo il luogo, da cui sorge, nella cronistoria del medio evo, il casale di Rionero, che ripete il nome di rivus niger di quel versante della valle, messo a riscontro del rivus vivus del versante opposto. Insieme con il Vulture, e quindi con la valle di Vitalba, esso fu prima de’ longobardi di Benevento, dalla fine del VI alla metà del X secolo, poi de’ greci di Bisanzio, dall’imperatore Giovanni Zimisce a Guglielmo Bracciodiferro normanno. Quando, nell’847, avvenne la spartizione del ducato ne’ due principati, e già i longobardi non ritenevano di forestieri altro che il nome, solo Acerenza e Venosa , ossia la estrema parte orientale della regione, passarono a Salerno; e io credo, per ciò, doversi ascrivere o a’ longobardi di Salerno o a’ bizantini del Vulture, ma non oltre il Mille, quel sistema di fortificazioni da Lagopesole a San Fele, lungo l’Appennino, le cui opere di collegamento sono ancora visibili nelle mura di cinta del valico di San Cataldo.

PIGORINI, Note paleontologiche sulla Basilicata (Nel Bullettino di paletnologia italiana, Parma, 1890, an. XVI, n.10, p. 137). Memorie dell’Istituto archeologico, Roma, 1832, vol. I, p. 224; Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. IX, n. 655; Notizie degli scavi di antichità, Roma, 1877, p. 225; LACAVA, Antichità Lucane, Potenza, 1890, p. 35. – La iscrizione del cippo funerario diceva: «Anicia Venusta, liberta di Quinto, curò che fosse fatto il sepolcro alla figlia di Equizia Tertulla, figlia di Marco, e al nipote Quinto Stallio Clemente, figlio di Quinto». Il territorio di Venosa, chiuso ad oriente dall’agro di Banzi e a settentrione da quello di Canosa (Gaudiano è già del Municipio canosino, Corp. Ins. Lat., IX, 415), si estendeva a occidente per tutti il Vulture e per l’alta e media valle di Vitalba, ove confinava col territorio di Conza (Liber Coloniarum: «ager Benusinus, Comsinus limitibus Graccanis»; Grom. vet., I, p. 210, ed Rudorff). Che Ghisulfo, principe di Salerno, abbia nel 942 costruito il monastero della Trinità di Venosa, è falso, perché falso è il Chronicon Cavense, detto l’«Annalista Salernitano», come luminosamente ha provato il KÖPKE (Arch. der Gesell. für ält. deut. Gesch., 1847):quel monastero, fabbricato dal normanno Drogone, secondo un breve di papa Niccolò II del 1059, che il PFLUNG-HARTUNG ha trascritto dalla Marroccelliana di Firenze (Acta pont. rom. Ined., vol. II, p. 86), ma alla cui autenticità il DE BLASIIS non crede (Arch. stor. per le prov. nap., an. IX, p. 755), durò nelle mani de’ benedettini fino al 1297 (CRUDO, la SS. Trinità di Venosa , Trani, 1899, p. 312). Pure è fuori contestazione, che nel 976 i longobardi di Salerno avevano tuttora presidio in Venosa, perché di là mossero, insieme con gli ausiliarj beneventani di Ascoli, a liberar Gravina da’ saraceni, de’ quali la stessa Venosa era già stata vittima nell’866 una prima e nel 926 una seconda volta (DI MEO, Annali, vol. IV, p. 215; vol. V, p. 208; vol. VI, p. 117).

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