Il casale di Santa Maria de Rivonigro apparirebbe la prima volta, come feudo della chiesa vescovile di Rapolla, nel breve di Papa Eugenio III dell’anno 1152. Quel breve si richiama a precedenti sanzioni e conferme di pontefici, cominciando da papa Alessandro III, che governò dal 1061 al 1073, mentre è noto, che il vescovo di Melfi non ottenne Salsola e Gaudiano dal duca Ruggero se non negli anni 1093 e 1097. È quindi probabile, data l’autenticità dell’atto, che, in ogni caso, non oltre il secolo XI la chiesa rapollana abbia avuto, dallo stesso Ruggero, e Rionero e quegli altri casali del proprio territorio e dell’agro di Vitalba, dei quali è cenno nella bolla di papa Eugenio: Santa Caterina, San Vitale, Barile, Atella, Santa Maria de Cerreto, San Lorenzo, Santa Maria in Agiis
. Essi però non dovevano, tutti insieme, costituire un grande appannaggio, relativamente alle ricche signorie del monastero di Monticchio e della chiesa di Melfi, se tra’ baroni del catalogo, nel quale Rapolla figura con tre soli possessori (
Liardus, Sanson et Guido de Rocca
) di feudi pauperrimi, non è punto parola del suo vescovo. La cui potestà feudale, a dir vero, non ha prove né valide né sicure se non un secolo più tardi, - due anni dopo quel primo e singolarissimo documento di Rionero
, in cui l’
Universitas Rivinigri
certifica notarilmente dell’avvenuta elezione del «maestro giurato», presenti, tra gli altri, un Frittata e un Andrea Ventrelungo, poveri soprannomi, che la ironia del caso ha tramandato fino a noi: essa non è attestata, indubitabilmente, se non dalla inchiesta angioina dell’anno 1279, ove si legge, quod dictus locus Rivusniger est episcopatus Rapolle, et episcopus esiusdem tenet et possidet, ad opus et nomen ipsius episcopatus, ispum locum, qui est immunis et exentus ab omni servitio pheudali et personali: ossia, in lingua propria, che egli, il vescovo, ha Rionero in «feudo franco», libero, cioè, della prestazione militare. Di Barile, il barrelium della rozza latinità, che è quanto dire la sbarra o il cancello de’ «passi proibiti» per il pedaggio degli armenti, non si trova il nome (sebbene, e allora e poi, legato ad una sorte con Rionero) né in quella né nella inchiesta precedente dell’anno 1273. Ma una inquisitio Barilium
, di data, forse, non molto posteriore, era contenuta, secondo l’antica pandetta dell’Archivio di Napoli, nel volume XLV de’ registri angioini, al foglio 91, di cui oggi, non si sa come, il volume è mancante.
Sono ignote le origini della cattedra vescovile di Rapolla, ma io non credo, come i più affermano, che essa nacque, insieme con quella di Melfi, e per autorità de’ conti di Puglia, solo a mezzo il secolo undicesimo. Durante il dominio longobardo, primo in tutto il ducato di Benevento a risorgere dalle ceneri, nel VII secolo, fu il vescovado di Siponto. Or tra’ suffraganei della chiesa sipontina, elevata a metropolitana – poco dopo il Mille – in obsequium sancti Michaelis Arcangeli, erano compresi, secondo l’UGHELLI, i vescovi di Melfi e di Rapolla
. Nella regione del Vulture, come da per tutto, i bizantini accrebbero, non iscemarono il numero delle chiese; e furono, senza dubbio, creazione loro que’ piccoli vescovadi di Montemilone, di Lavello, di Cisterna e di Vitalba, i quali, nell’anno 1025, figurano appartenere all’arcivescovo greco di Canosa: ché anzi, fin dal 983, in paese o castello di Montemilone è detto, in un diploma greco, proprietà del capitolo di Trani. Solo nel 1089 scompare Cisterna, forse rovinata da Roberto Guiscardo quattordici anni prima, e appaiono, soggetti all’archidiocesi di Bari e Canosa, riunite in una dopo che Roberto ebbe occupata Bari nel 1071, anche i vescovi di Melfi e di Rapolla, i quali su lo scorcio del secolo, certo per volere de’ pontefici, conceditori del Regno, passarono alla immediata dipendenza della Corte romana, restando Cisterna aggregata alla chiesa di Melfi e Vitalba a quella di Rapolla. Il Monte Vulture, pure accogliendo nell’uso dell’idioma popolare molti elementi greci delle finitime città di Puglia, restò fuori delle immigrazioni d’iconofili del secolo VIII, che ripopolarono, si può dire, Terra d’Otranto, il Ionio e le Calabrie. Esso fu lungamente contrastato agli eserciti di Niceforo Foca, di Giovanni Zimisce e di Basilio il Giovane, nella seconda metà del X secolo, da’ principi di Benevento, usi a riguardare quel solitario de’ nostri vulcani come l’avanguardia de’ loro possedimenti: Ascoli, la estrema lor cittadella in Puglia, li ricacciò ostinatamente una prima e una seconda volta, finché, prostrate per sempre al Basento le armi longobarde, i greci non la ebbero distrutta nel 983. Certo, non mai come nella tarda riconquista del suo vecchio «tema di Longobardia» fu più sollecita e più energica l’azione dell’impero di Oriente su la bassa Italia. Retto da uffiziali di ogni grado, strateghi, protospatarj, dapiferi, che il popolo chiamò col nome generico di «basilici», tutti sottoposti al «catapano» di Bari; seminato, lungo i clivi del versante orientale, di «laure» basiliane, colà sparse e governate da San Vitale, che mori in Rapolla il 994; costretto a forza, dietro l’editto di Niceforo del 968, di cui è parola in LIUTPRANDO, a celebrare i divini misteri non altrimenti se non col rito della chiesa orientale: il Vulture, in soli settanta o ottant’anni di signoria imperiale, fu letteralmente grecizzato, tanto, che negli atti del tempo è parola de monasteriis ac plebibus tam graecis quam latinis
.
Santa Maria di Vitalba, p. 23.
Santa Caterina e San Vitale presso Rapolla; Cerreto nell’agro di Armaterra, San Lorenzo e Santa Maria in Agiis nel tenimento di Lagopesole, evidentemente dell’antica diocesi di Vitalba, a cui appartenevano, oltre Rionero, Armaterra, Agromonte e casale di Sant’Andrea, anche le chiese di san Martino del Finocchiaro e di Santa Maria di Perno (
Santa Maria di Vitalba
, p. 25).
Un
Guillelmus Rapollensis
, nel catalogo, è quello tra’ militi de Comitatu Andrie, il quale, per conto del barone Berteraimo, fa la rivela de’ feudatarj, qui tenent de eodem Comitatu, e nel cui numero appare l’abate di Banzi.
Santa Maria di Vitalba, p. 70.
Il maestro giurato è de’ primi tempi angioini, e il «capitolo» di re Roberto Ad quietem publicam dice espresso, che egli era nominato ad crimina nuncianda superiori potestati (RACIOPPI, Gli statuti della bagliva, nell’Arch. stor. per le prov. nap., an. VI).
RACIOPPI, Storia de’ popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, 1889, vol. II, p. 36.
HIRSCH, Il ducato di Benevento sino alla caduta del regno longobardo, trad. di M. Schipa, Torino, 1890, p. 39. - «Siponti incolae ad novem urbem, cui Manfredonia ab eius conditore nomen, anno 1263 migraverunt». CAPASSO, Hist. dipl., p. 245.
Italia sacra, Venezia, 1715, vol. VII, p. 821.
FIMIANI, De ortu et progressu Metrop. Eccl.iIn Regno Neap. et Sicul., Napoli, 1776, p. 143.
Cisterna, già ospite nel 1059 del conte Pietro di Trani ribelle al fratello Roberto, osò di nuovo nel 1075 pigliar le parti di lui, e de’ nipoti Abagelardo ed Ermanno, contro il Roberto Guiscardo. Pietro, questa seconda volta, fatto prigione, venne esposto nudo e legato sopra un graticcio (une grate de bastono u de junchi) in vista di Cisterna, perché Ermanno, che vi si era chiuso, si fosse arreso a discrezione. AMATO, Ystoire de li Normant et la Cronique de Robert Viscart
, Parigi, 1835, cap. IV, p. 195.
SCHLUMBERGER, Un empereur byzantin au dixième siècle, Parigi, 1890, pp. 684-694; L’epopée byzantine à la fin du dixième siècle, Parigi, 1896, pp. 494-538.
Negli Acta Sanctorum de’ Bollandisti (IX marzo) è la vita di San Vitale, tradotta dal greco.
UGHELLI, ib., vol. VII, p. 25.