Tra' pochi monumenti medievali del Vulture, sfuggiti alle ricerche del BERTAUX, è la porta della chiesa ora diruta di santa Maria di Vitalba, presso Atella. È una porta a sesto acuto del 1300, ornata, quanto più semplicemente si possa immaginare, di una di quelle cornici a punte aguzze, i cui modelli si ritrovano in santa Maria La Nuova di Melfi e in santa Maria degli Angeli della stessa Atella.
Vitalba richiama al pensiero una di quelle terre medievali dell' Italia Meridionale, da gran tempo scomparse, e delle quali oggi si conosce il solo nome. Durante il secolo XI, nelle bolle papali di Giovanni XIX (1025), di Alessandro II (1062) e di Urbano II (1089) del duomo di Bari, riferite dall'UGHELLI, essa è indicata - con Cisterna tra le più antiche sedi vescovili del Vulture, suffraganee di Canosa; al 1131 un Unfredo di Vitalba è fra' sottoscrittori di un diploma della badia di Cava, citato dal DI MEO, dato da san Pietro di Olivola in quel di sant'Agata di Puglia. Nel catalogo de' baroni normanni (1154-69) è segnata come feudo separato e distinto, tenuto in demanio da Riccardo di Balvano, figlio di Gilberto gran conestabile del Regno e padre di Gilberto costruttore di santa Maria di Perno, a cui ed egli e la nuora Margherita e il nipote Guglielmo di Monteverde (se sono vere alcune scritture del secolo XII, conservate, in copie legali, presso l'Archivio di san Severino in Napoli sarebbero stati larghi di concessioni in beni rustici: del testamento di Guglielmo, dettato nel 1230, è parola in una pergamena, non originale, della Società di storia patria Napoletana. Tempore imperatoris, un Guido Filangeri
parrebbe ne fosse stato, per poco, il signore: da lui i vescovi di Rapolla tenevano di aver ragione su parte delle loro decime ecclesiastiche, nella bagliva di Vitalba. Tra le prime inchieste angioine di Basilicata (1273-79), essa non comparisce più come centro abitato; unita al vicino feudo di Armaterra (un borgo e una torre nel vallone di Pietracupa, a sinistra della Vonghia
), è posseduta, ratione maritagi sive dotis, da Giovanni Gaulart, milite e familiare di Carlo I, perché sposo di Altruda di Dragone, erede della terra ex successione domine Isabelle matris sue et domini Guillelmi de Monteviridi avi sui
. Riceduta alla Curia, passò nel 1284 al castellano di Minervino, Gerardo d’Ivort, dalla cui vedova, moglie in seconde nozze di Pietro di Villaperosa, fu nel 1303 riacquisita al fisco e non più ormai se non villa seu casale exabitatum - compresa in quella grande baronia
vallis Vitis Albe de Iustitiaratu Basilicate
, che insieme con San Fele et suis pertinentiis (Ruvo del Monte) venne data, successivamente, agli ultimi tre nati di re Carlo II, Raimondo Berengario, Pietro e Giovanni. Solo Rapone, con la chiesa di san Tommaso del Cerrutolo, non tornò più a' signori della valle, e, per un pezzo, il piccolo feudo delle Caldane, lassù a'molini di san Cataldo, donde si valicava l'Appennino e si scendeva a
Sant Sofia apud Labellam
, restò ancora staccato da Vitalba, fornendo remi de' suoi boschi alle galee dell'Adriatico. Dominava d'ognintorno la ròcca di San Fele, duro carcere al primo e rea tomba al secondo de' due Enrichi, figli di Federigo, ultimo rifugio, nel 1254, de' ribelli contro Manfredi
, al quale tenne fede, e allora e poi, un Francesco d’Armaterra. Quella ròcca, oggidì rasa al suolo, fu fatta restaurare nel 1270 da Carlo I, e durò a lungo sotto la dipendenza della Curia regia. Su quasi tutta la baronia, corsa – non sine ignominia nostri nominis et honoris - da' banditi, perché chiusa tra le regie foreste di Lagopesole e del Gàudo ad oriente e le terre badiali di Monticchio e del Goleto ad occidente, vantava diritti d'ogni genere, per sé e per i vassalli di Rionero e di Barile, il vescovo di Rapolla; evidentemente, l'antica diocesi di Vitalba, annessa alla chiesa di Rapolla - forse ab antiquis catholicorum regum Sicilie temporibus, ossia, sino dal regno di re Ruggero, doveva comprendere buona parte della valle ed estendersi, come oggi si estende la diocesi di Melfi, di là da' casali di Agromonte e di Montemarcone: era per l'appunto un arcivescovo di Canosa metropolitano di Vitalba quel Nicola, il quale nell'anno 1036 aveva e cedeva la chiesa di San Simone apud lacum qui vocatur de prandulo
. Il suo territorio di dominio e di giurisdizione andava a molendinis prope Aquam Francisam, nel mezzo del Gaudo (il Gualdum de' registri angioini), fin oltre il torrente Arvivo (il Fenuclarius vel Rivus vivus delle carte di Santa Maria di Perno), ed anche più avanti, usque ad terminum seu limitem dictum Antiqua sancti Felicis
(la «Civita» dell'oggi), quando Armaterra mezzo secolo più tardi si spense e fini, come Vitalba, casale seu castrum totaliter distructum. Se le antiche platee e i vecchi catasti hanno valore, noi possiamo raffigurarcela eretta su quel poggio a pan di zucchero, poco lungi da Atella, che s'innalza isolato giù nel fondo della valle, circoscritto per tre lati dalla fiumana Triepi e dal torrente Lavanghello, che ivi confluiscono, per il quarto dalla via provinciale di Potenza: colà, tra mucchi di pietre coperti di fichi selvatici e di vitalbe (la nota pianta, che ha tralci simili a quelli della vite), sorgerebbe tuttora, unico avanzo dell'obliata, misteriosa terricciuola bizantina del secolo XI, un voto arco, che la tradizione vuole sia la porta di una cappella dedicata a San Marco; una sottil vena d'acqua, che nasce nel più prossimo valloncello della ripa soprastante, è chiamata anche ora la fontana del vescovo». Ubicarla - come fa il CHIAROMONTE nel sito detto della «Civita», sul promontorio a' piedi di San Fele tra la Vonghia e il Bradano, è cosa interamente cervellotica, un mero arzigogolo letterario. Altro che «città» un piccolo villaggio, una borgata, se non addirittura de' gruppi di casolari sparsi tra la valle e il piano, qualora l'antica chiesa di San Nicola di Vitalba (su cui aveva diritto di patronato la badia di Monticchio, dato si possa credere a una bolla del 1175 di papa Alessandro III, della Biblioteca nazionale di Napoli) sia proprio da rintracciare, come vogliono que' del luogo, nella presente omonima di Atella oggi chiusa al culto!
Cod. Dipl. Bar., vol. I, pp. 21, 42 e 61, Bari, 1897. Cf. PLFUNG-HARTUNG (Acta Pont. Rom. inedita, vol. II, parte prima) e DE BLASIIS (Arch. stor. per le prov. nap., an. IX, fasc. IV, p. 756). — Per Farnolfo, vescovo nel 1054 di Cisterna presso Melfi, che la contessa di Ariano, annuente Carlo I, voleva nel 1280 ripopolare (Reg. 39, fol. 90 t.), v. SANCTI PETRI DAMIANI Opera omnia, tom. III, opusc. XIX, p. 217 (Parisiis, 1743). «Vix adhuc quindecin emensi sunt dies, ex quo vidi Farnulphum venerabilem virum sponte sua ecclesiastici regiminis administratione nudatum. In cisterna siquidem Apula civitate cathedram obtinuerat, quam reliquit, ac duobus ferreis circulis non parvi ponderis pectus ventremque constrinxit, quibus affligi fere jam a septennio non cessavit; vino vel nunquam vel raro utitur, crebis quoque jejuniis maceratur».
Arch., A. M., 1. G. n. 9, 1. H. n. 69.
Le scritture originali della chiesa di santa Maria di Perno, già appartenenti al monastero del ss. Salvatore del Goleto, e quindi alla Casa dell'Annunziata di Napoli, commendataria della badia di Montevergine, andarono perdute nell'anno 1843 (G. B. D’ADDOSIO, Somm. delle perg. conser. nell' Arch. della R. Santa Casa dell'Ann., p. VI, Napoli, 1889).
E. RICCA, La famiglia Filangieri, p. 50, Napoli, 1863.
Di un Maestro Giovanni d’Armaterra, chierico, lettor di logica nello Studio di Napoli, era cenno in due volumi della cancelleria angioina (an. 1269 D fol. 80, an. 1271 A fol. 39) andati perduti (SICOLA, Repertorio II, pp. 164 e 187).
G. FORTUNATO, I feudi e i casali di Vitalba ne' sec. XII e XIII (Inq. 1273-74, in
Armateria
).
I. L. A. HUILLARD- BREHÓLLES, Hist. diplom. Frider. secun., tom. V, pag. 888, Parigi, 1859. - «Fredericus etc., Alexandro etc. Intelleximus quod Henricus, filius noster, qui apud Sanctum Felicem commoratur, prout ei expedit, vestitus non est; propter quod fidelitati tue precipiendo mandamus quatenus ad requisitionem Thomasii filii Osmundi justitiarii Basilicate, fidelis nostri, et ad ipsius ordinationem, eidem filio nostro decentia facias vestimenta. Datum Fogie, X aprelis, XIII indict. (1240)».
B. CAPASSO, Hist. diplom. regni Siciliae ab an. 1250 ad an. 1266, p. 57, Napoli, 1874.
In PETRI DE VINEIS, Epist. Lib., tom. I, lib. II , p. 339, Basilea, 1740. «Manfredus (quibusdam baronibus) etc. Ad renovanda praeteritae festivitatis solennia....., praesens ad vos accedit epistola....., quod liberata provincia de faucibus invasorum, universae civitates et castra ad regiam fidem redeunt..., ne quam ille malignus proditor Johannes Morus, qui filium (Conradinum) illius nitebatur opprimere qui eum de stercore suscitavit, a suis est occisus, et castra Acheruntiae, Sancti Felicis et Montis Caveosi (?), cum cameris existentibus in eisdem, ad nostrum dominium devenerunt (Datum Venusie?)».
Cod. Dipl. Cav., tom. VI, p. 61, Milano, 1884. «Lacus Pandulo, hodie Lago Pesole, in Lucania» . Ind. Alph., p. 304.