I percorsi di Giustino Fortunato

date

1902

author

Fortunato, Giustino

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Il castello di Lagopesole [estratto n.2]

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  • "Il castello di Lagopesole", V. Vecchi Tipografo-Editore, Trani, 1902, pp. 39-43.

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Aveva re Ruggero, nell’assemblea di Ariano dell’autunno 1140, convocato e signori e vescovi, nella comune qualità di vassalli, affinché promettessero obbedienza alle leggi, che egli loro bandiva. Per la prima volta nel Mezzogiorno d’Italia l’autorità regia si dichiarava arbitra del governo politico, vindice della giustizia, tutrice della pace, personificazione di una volontà e di un interesse superiori alle volontà e agli interessi individuali: concetto che suggerì più tardi a Federico II il pensiero, e inspirò l’opera, di una più compiuta unificazione legislativa. Lo Stato, già diviso in regioni e suddiviso in contee, formò un corpo solo, civilmente organato. La feudalità, che un secolo innanzi i primi avventurieri avevano trapiantata ed estesa, appropriandosi le terre pubbliche e fortificandosi in cima de’ villaggi (omnia sibi diripientes, et castella ex villis aedificantes, secondo il CHRONICON VOLTURNENSE), trovò alfine quella stabilità e quell’assetto, che ci sono indicati nel «catalogo de’ baroni», compilato tra il 1154 e il 1179. Or nel «catalogo» il presente territorio di Lagopesole è costituito non in un unico feudo, ma in tre, fra loro separati e distinti, tutti tre abitati, - Lacuspensilis , propriamente detto, Acermons e Mons Marconus ; chè anzi, più feudi erano forse nello stesso e solo ambito di Lacuspensilis, poi che vi si accenna, non a un «signore», ma a più «signori» del luogo: così distinti e separati, che mentre Lagopesole dipendeva dalla contea di Conversano e Monte Marcone da quella di Tricarico, de ducatu Apuliae, Agromonte spettava al signore di San Fele, de principatus Capuae. – Il casale di Lagopesole sorgeva al sommo del valico, lungo il versante di un colle isolato, alto 830 metri sul mare, e in cima a cui oggi siede il castello: due rivoli, originati dal «Carmine» di Avigliano, ne cingono i fianchi e vi confondono le acque a Isca Lunga, dando inizio al Triepi , la odierna fiumana di Atella. Ad oriente, su la china superiore di Mont’Alto, che si eleva tra le sorgenti del Bradano a mezzogiorno e quelle del Bradanello – provenienti dal lago – a settentrione, stendevasi il casale di Montemarcone, tuttora non così raso al suolo che non riesca possibile rinvenirne le tracce: una capanna, quando io vi fui, era piantata su la stessa «terra santa» dell’antica chiesa parrocchiale, già volta con le spalle al lago, il quale, non più artificialmente chiuso alla foce, è oggi poco meno che un padule, ricoperto di canne; il margine del lago è di trenta metri inferiore alla spianata del castello, l’uno e l’altro interamente staccati per via di un’aperta, profonda vallea. Di contro a maestro, sul dosso di un promontorio, che scende al ponte di Cerasale presso la confluenza della fiumana col torrente Sterpeto, s’innalzava ultimo il casale di Agromonte, il cui nome è sempre vivo tra gli abitanti della valle: vivo, come i pochi suoi ruderi fra le annose querce del bosco, al disopra della galleria omonima del tratto di strada ferrata dalla stazione di Forenza a quella di Lagopesole: in alto la bicocca, al basso la chiesetta, e questa dall’abside ancora visibile, ancora cinta di sepolture. Con le selve di Agromonte, per la «serra del Cucchiarone», il territorio di Lagopesole giungeva prossimo alle «croci» di Rionero .

E come i casali, anche i feudi erano piccoli e sparsi: tutta quella terra, che ottant’anni dopo la Corona avrebbe incamerata, tutti que’ boschi, che da San Fele salivano a Lagopesole, e da Castel Lagopesole, per il versante opposto, scendevano sino a Palazzo , rimane ancora, tra il cadere di quel secolo e il sorgere dell’altro, ripartito in tante signorie. Un Gilberto è a Monte Marcone, un Filippo, e non egli solo, a Lagopesole; Tancredi di San Fele, figlio di Gezzolino e padre di Pietro, regge Agromonte; e, di là da Forenza, su gli altipiani di San Gervasio e di Cervarezza, un Goffredo tenet de comite Gravinae Francavilla, e la Trinità di Venosa gode in demanium Acquabella. Fino al 1239, già venuti gli svevi da un pezzo, l’assetto politico della regione perdura immutato: è proprio di quell’anno il noto ordine di Federico II, con cui a Riccardo, signore di Lagopesole, è dato in custodia uno de’ prigioni lombardi, il milanese Giacomo della Torre . Poi, a un tratto, le cose cambiano radicalmente di forma e di sostanza. Scompare Agromonte, per non ricomparire mai più, e Lagopesole, a cui è aggregato Monte Marcone, torna all’imperatore, che ne fa un suo splendido albergo di cacce, il suo prediletto soggiorno estivo: San Fele si tramuta in orrido, oscuro carcere di Stato, e le defensae cum casalis di San Gervasio e di Cervarezza si convertono in una vasta «marescalchia», riunita a Lagopesole, per le razze equine di regia Corte in Basilicata.

I f. e i c. di Vitalba , p. 23. Che più poderi abitati fossero allora in Lacu Pensili , non è dubbio. Secondo la bolla di papa Eugenio III del 1152, vi erano, di proprietà del vescovo di Rapolla, un Casale Sancti Laurentii e il Casale Sancte Marie in Agiis (S.M. di Vitalba , p. 25; cf. Rion. Med., p. 10 e 93); secondo poi quella di papa Alessandro III del 1175, vi si trovava, appartenente alla biadia di Monticchio, anche una Ecclesia Sancte Christine, cum pertinetiis suis (S.M. di Vitalba , p. 35). «Forse da τρΰπα, fosso profondo; ovvero flessuoso, tortuoso, se da τρέπω» (RACIOPPI). Rion. med., p. 32. Palazzo è di recente origine: non figura ancora nel Cedolario del 1415 e non è detto terra seu villa Sancti Gervasii prima del 1316, in un diploma di re Roberto. Durante i secoli XI e XII, erano lì intorno più villaggi: Cervaricium, il maggiore fra tutti, a sud-est di Palazzo, sul così detto «Serro di Cervarezza», oggi ricoperto di rottami; Francavilla, a sud-ovest, accanto l’odierna cappelletta omonima, su’ confini di Banzi; Acquabella, lungo la fiumana di Venosa, in contrada «Mattinella»; e, forse anche, un Casale Sancti Gervasii, presso cui Federico II costruì poi il Palatium Regium delle razze equine, donde più tardi, estinti a mano a mano i villaggi, sorse il paese. Dico: forse, perché le tre carte del 1081, del 1103 e del 1151, nelle quali sarebbe memoria del Casale, appartenente, secondo quella del 1103, a una chiesa di Acerenza (UGHELLI, VII, 30), sono validamente dimostrate spurie dal DI MEO (VIII, 212; IX, 115; X, 180). Francavilla e Acquabella si veggono registrate nel Catalogo de’ baroni. Cervarezza è sempre viva nel Cedolario del 1320 (un Dominicus de Cervaricio è abate di Banzi nel 1331), come è viva tuttora nella tradizione locale, che rammenta quanto il cervo fosse stato comune selvaggina a que’ pianori ne’ secoli passati: abbondava ancora sotto Alfonso d’Aragona, che poté, in una partita di caccia, ucciderne tanti da mandarne come provianda militare a’ castelli di Trani e di Barletta (TROYLI, I, 106). Oggi il cervo, come il daino, è scomparso da tutta la Basilicata, ne’ cui boschi, insieme col cinghiale (il lucanus aper di Orazio), sopravvive solo, e di rado, il capriolo. I f. E i c. Di Vitalba , p. 24; Santa Maria di Perno , p. 26. I f. E i c. Di Vitalba , p. 18 e 19.

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