I percorsi di Giustino Fortunato
date
1920
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La questione meridionale e la riforma tributaria [estratto n.1]
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- ed. "La Voce" - Società Anonima Editrice, Roma 1920, pp. 16-18.
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[…] la questione meridionale è quella, puramente e semplicemente, di un paese che dalla geografia e dalla storia fu per secoli condannato alla miseria: miseria economica e miseria morale, più triste dell’altra, - da cui soltanto l’unità politica, mossa dal sentimento nazionale della comune difesa, può redimerlo, se è vero, come fermamente io credo, che oggi più che mai una civiltà inferiore sia meglio o in grado di risorgere quanto più spontaneo è il suo contatto con una civiltà superiore, più vivo il ricambio, più forte l’impulso degli elementi di integrazione e di organizzazione sociale. L’età nostra non permette più la esistenza di piccole strutture politiche, senza che queste o corrano il pericolo di essere assorbite o vivano, come gli stati balcanici, una vita d’inutili patimenti. Se qualche cosa l’Italia dovrà rappresentare nel mondo, ella non potrà non essere una.
Spettava a noi l’assistere a un tanto avvenimento, perché solo alla nostra epoca, per ogni verso tanto più progredita d’ogni altra, l’Italia ha potuto serrarsi, riaccostarsi tutta quanta dal sud al nord, scemando la sua forma troppo lunga ed esile, facendo insomma con le strade ferrate quello che Napoleone immaginò dovesse un giorno accadere per una correzione tellurica, secondo cui Sicilia, Sardegna e
Un funesto pregiudizio, che invano tutti i tempi si affaticarono a smentire, regnò sovrano a’ suoi danni. Era un paese che clima e suolo da un lato, e configurazione topografica dall’altro, rendevano essenzialmente povero, - ed esso fu creduto e si credette eccezionalmente ricco. Tutta la sua economia si racchiudeva in un’agricoltura meramente estensiva, - e quella fu più sempre più stremata da una finanza cieca e rapace; che insieme col maggiore costo della vita, mantenne alto il costo della produzione.
Il suo popolo, come tutti i popoli dell’Oriente, che vivono del solo reddito agrario, si raggirava in un circolo vizioso di stenti, - e la più sordida legislazione doganale pesò ognora su di esso, non mai permettendogli di chiudere le sue annate con avanzi, che scemando il prezzo del danaro, favorissero il lavoro ed accrescessero il pubblico risparmio
Gravose imposte e più gravi dazi, se appena tollerabili in regioni dove l’arte de’ campi è praticata unitamente con l’industria e il commercio, sono causa inevitabile di esaurimento in quelle obbligate a sostentarsi della sola agricoltura perché, - esposte alle maggiori precarietà di fronte alle crisi dei raccolti, assai frequenti nelle zone semi-tropicali- esse non possono giovarsi di alcun altro reddito e ricadono ogni volta nel più duro bisogno, sempre impotenti ad accrescere il capitale circolante, sempre incapaci di elevare il grado medio di civiltà così dell’uomo individuo come dell’uomo collettivo.
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