I percorsi di Giustino Fortunato

date

1898

author

Fortunato, Giustino

title

Per le lapidi a’ martiri della Patria [estratto n.3]

summary

bibliography

  • Fa parte di: "Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. Discorsi politici (1880-1910)", vol. II, Bari, Laterza, 1911, pp. 94-96.

teibody

Nuovi, non più durevoli giorni di speranza risorgono, nel 1848, col rifiorire dell'albero della libertà. Pubblicata in Potenza la costituzione, il grido «di viva l'Italia e la federazione» corre le vie della città, e autorità, clero e popolo muovono per il duomo, ove levano inni di ringraziamento a Dio misericordioso. Nella folla è Giuseppe Regaldi, che viaggia per la provincia; riconosciuto, una voce grida: «Regaldi sul pulpito!». Ed egli vi ascende e improvvisa rime, che il tempo ha disperse:

Padre di libertà, gran Dio possente, Da' padiglioni de l'empirea sfera Deh mira accolta la lucana gente Intorno ai patrii aitar della preghiera: Benedici da l'alto, o Dio clemente, L' italiana tricolor bandiera; Sorrisa Italia da miglior fortuna. Or sia da l'Alpe al mar libera ed una!

Un poeta, sul pergamo di chiesa cattedrale! Strano lo spettacolo, come strana fu la meteora, e rapido, sanguinoso lo scioglimento del dramma. A ricordarlo ancor oggi, una grande amarezza invade l'animo. Era, soprattutto, una guerra per la indipendenza che la patria chiedeva, e al 15 maggio il soffio di una sciagurata fatalità tragica passava, improvviso, per il cielo di Napoli! Fra i non molti che le barricate di via Toledo sconsigliarono, ma le barricate bravamente difesero, offerendosi in olocausto alle carabine degli svizzeri mercenari, fu Luigi La Vista, nato in Venosa il 1826. «Giovane per ingenuità e bontà di animo, ma già maturo per eccellenza d'ingegno e per fortissimi studi, conscio di sua futura grandezza non dubitò di dare alla patria, più che la vita, il suo avvenire»: parole più solenni di queste, che al discepolo beneamato consacrò Francesco De Sanctis, non sono possibili. O se altre giovi ripetere, valgano quelle che Giuseppe Mazzini, il più grande idealista del secolo, il primo più potente suscitatore della coscienza nazionale d'Italia, con soffio d'arte lirica insuperabile dedicava a un giovane, come il La Vista, soldato e martire: Goffredo Mameli. «Egli era come una melodia della giovinezza, come un presentimento di tempi che noi non vedremo, nei quali l'istinto del bene e del sacrifizio vivranno inconsci nell'anima umana, e non saranno, come la nostra virtù, frutto di lunghe battaglie durate. Aveva l'ingenua bellezza della innocenza. Lieto quasi sempre, come per tranquilla e secura coscienza, e nondimeno velati sovente gli occhi d'una lieve mestizia, come se l'ombra della morte precoce si protendesse, ignota a lui stesso, sull'anima sua; d'indole amorosamente arrendevole, ma pur fermissimo in tutto ciò che toccasse la fede abbracciata, era impossibile vederlo e non amarlo. Accoppiava i due estremi, si rari a trovarsi uniti, che Byron prediligeva: dolcezza quasi fanciullesca, ed energia di leone; un momento d'inspirazione, un vaticinio di patria, di unità futura, di gloria italiana, una parola eloquente di virtù severa e di sacrifizio, gli faceva splendere negli occhi la fiamma de' forti pensieri. Gli pareva di non dover morire se non sulla terra lombarda; ma era deciso altrimenti. Come il fiore della flòmide, egli sbocciò nella notte; fiori, pallido, quasi a indizio di corta vita, sull'alba; il sole del meriggio d'Italia non lo vide!».

La sera stessa del 15 maggio, il re di Napoli richiamava da Bologna la spedizione capitanata da Guglielmo Pepe. Questi non obbedisce, rimette ad altri il comando e, anziché rifare la via battuta, passa il Po con mille uomini di linea, che preferiscono seguirlo: tra quei mille disertori è Saverio De Bonis, di 24 anni, un oscuro contadino di Pietragalla. Perché egli non abbia poi seguito gli altri fino a Venezia, e si sia invece ingaggiato nel 6° reggimento di fanteria romana, che combatté a Vicenza e tornò in Roma a metà di maggio dell'anno seguente, non mi fu dato sapere. Certo, egli è a Villa Pamphili, fuori porta San Pancrazio, nel mattino del 3 giugno 1849, quando, per l'appunto, è ferito a morte il Mameli, e cadono tanti altri di cui riluce ancora la fama; e nella prima ora di quella battaglia, all'attacco degli avamposti, il Saverio De Bonis ha il piede destro trapassato da una palla francese. Mori all'Ospedale de' Pellegrini, solo e ignorato, nel giorno 10: Agostino Bertani, che lo ebbe in cura, ne raccolse amorosamente il nome. Di lui non giunse mai più notizia al Comune di origine.

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