Al 1860 finisce un'epoca, e un'altra incomincia. Incomincia con quel grande moto di popolo, che parte da Corleto il 16 agosto e si accentra a Potenza il 18, quando non ancora i Mille di Marsala, — tra i quali è un chiaro cittadino di Matera, Giambattista Pentasuglia, e un altro nostro comprovinciale di adozione. Achille Argentino, nativo di Sant'Angelo de' Lombardi, che sarà primo e degno deputato di Melfi, — sono a Reggio Calabria. Nel fulmineo scontro, in città, fra gendarmi e guardie nazionali, tre de' nostri restano morti: Giovanni Crisci, di Pietragalla, artigiano, di 19 anni; Luigi Guerregiante, di Potenza, studente, di 24; Giosuè Romanello, di Laurenzana, operaio, di 20. Troppo doleva che essi fossero così presto dimenticati, che non un segno, non un motto ne ricordasse a' posteri la cara memoria!
Quindici giorni dopo, Garibaldi attraversa l'estremo lembo della nostra provincia. Nel diario, così poco noto, del Bertani, è cenno di quel grande avvenimento. «Il 2 settembre (egli scrive) Garibaldi, Cosenz, Rosagutti, Nullo, Gusmaroli ed io partiamo da Castrovillari, in carrozza, alle 5 antimeridiane; ovazioni a Morano: il capo degl'insorti di Potenza ci annunzia essere pronti duemila volontari. A Rotonda troviamo tutti giulivi, e mandiamo un individuo a Sapri con ordini per Türr. Alla sera, sui muli, cavalchiamo per strade orribili: il generale in testa, noi seguendo in silenzio. La luna splende su' monti, l'aria fresca ci tiene svegli. Arriviamo all'alba in vista della spiaggia. Giunge una barca da Maratea; tutti e sette vi entriamo. Il generale si stende a prora, e noi lo copriamo con la vela. I due remiganti lentamente vogano, sotto il cocente sole, e là dorme pacifico chi porta con sé il futuro destino dell'Italia una. Che emozione! Le memorie del passato si affollano con le speranze del presente. Garibaldi si desta. Il nome di Carlo Pisacane è su le labbra di tutti. Cosenz tace, visibilmente commosso. A Sapri, su la spiaggia, accampati in buon ordine, i volontari della legione Turr acclamano il generale. Egli li carezza con gli occhi e li anima con la parola».
L'annunzio dato a Garibaldi in Morano, non era una fiaba: su lo scorcio del settembre la «brigata lucana», formata in maggioranza de' volontari di Basilicata, era già acquartierata in Aversa. Essa non prese parte alla battaglia del Iº ottobre; ma tra' molti che in quel giorno lasciarono la vita a' Ponti della Valle, furon due de' nostri, Carlo Mazzei, di Maratea, e Francesco Abalsamo, di Senise. Il Mazzei, fuggito nascostamente di casa, si era arruolato tra' Cacciatori delle Alpi, di passaggio per Lagonegro: tardi, in Napoli, lo aveva raggiunto il padre. Ferito al collo, continuò valorosamente a combattere, finché fu spento da una palla bavarese in petto.
Al di seguente, nel fatto d'armi presso Caserta, il primo battaglione della brigata entrò in azione, lasciando sul terreno, tra gli altri, Francesco Basile, di Potenza, Michele Cosentini, di Lagonegro, e Antonio D’Angieri, di Forenza
Nel combattimento del 15 toccò al secondo battaglione di respingere una sortita degli assediati; e in quel giorno vennero uccisi, de' nostri, Francesco De Giorgio, di Anzi, e Celestino Grassano, di Salandra. Il deputato Marcòra, discorrendo alla Camera, nella prima tornata del 29 giugno 1881, intorno al disegno di legge su la posizione di servizio sussidiario degli ufficiali dell'esercito, raccontava questo aneddoto: «Io mi trovai impegnato sotto Capua, nella zuffa del 15 ottobre. La compagnia di volontari che comandavo, era collocata in luogo dominato dalle artiglierie della fortezza, e dovevasi necessariamente abbandonarlo, portandoci innanzi. Il fuoco micidiale tratteneva i più dal seguirmi. Fra que' volontari erano un vecchio soldato di linea, piemontese, tamburrino, e un seminarista diciassettenne, che era venuto dalla nativa Basilicata. I primi che affrontarono il pericolo, furono il vecchio troupier di Crimea, che rappresentava la disciplina devota, e il giovane abate, che rappresentava la intelligenza e il sacro fuoco della patria, e che, poveretto, vi perdette la vita». Quel seminarista diciassettenne era Celestino Grassano.
Con la fazione del 30 si chiuse la campagna, e in quella ebbero fine Luigi Brancati, di Potenza, e Francesco Grande, di Armento.
Certo, non v'ha niente di più bello e di più puro del contributo di sangue, offerto, con tanta generosità, da questi nove garibaldini,
.... gentil sangue latino,
fiore sacro della primavera d' Italia. Erano — studenti e operai la più parte, giovanetti, meno i due ultimi, da' 16 a' 19 anni — d'ogni classe sociale; e non avevano un pensiero che non fosse d'idealità e di entusiasmo. Al grido d'«Italia e Vittorio Emanuele» eran corsi, indossata la camicia rossa, al campo, per semplice, schietto impulso dell'animo; e nelle battaglie, a quel grido, avevan date le giovani vite, lieti di morire, non lasciando di sé altro che l'esempio... In verità, l'epopea nazionale non ha pagine che valgano quelle de' volontari di Garibaldi! L'ultima tappa del secolare cammino è la guerra contro l'Austria del 1866, che prelude alla sospirata liberazione di Roma. Per la prima volta dacché 1’Italia è sotto i cieli e nelle acque del mare, tutti i suoi figli, di tutte quante le regioni, in uno stesso esercito regolare, all'ombra di una sola bandiera, si trovano a combattere, il 24 giugno di quell'anno, per la indipendenza della patria. Il fatto non ha pari nella storia nazionale, e noi, incidendo sul marmo i nomi benedetti de' morti di Custoza, non facciamo altro, dopo l'esempio delle altre province, se non compiere un obbligo di alta riconoscenza civile. Ognuno di que' nomi rammenta le varie fasi della dolorosa giornata. L'ala sinistra è sgominata, perché Cerale è sorpreso ad Oliosi, Sirtori respinto da Santa Lucia: e li resta, sul campo, uno studente di Abriola, Saverio Frescura, caporale nel 43° reggimento di linea, qui un contadino di Ripacandida, Michele Placido, soldato nel 19º. Pianell, lasciato a guardia sul Mincio, accorre in aiuto e rattiene a Monzambano il nemico vittorioso; e ivi è colpito a morte un muratore di Melfi, Teodoro Loberto, del 5° reggimento. Cugia e Covone, intanto, difendono a lungo Monte Croce e Monte Torre: e lassù cadono, uccisi, un bracciante di BalvanoB, Vincenzo Le Caldare, del 64º, e un colono di Irsina, Nicola De Lillo, del 52°. — A Lissa, un altro soldato, della fanteria di marina, Francesco Fanelli, mugnaio di Francavilla, perde la vita, naufragando con la nave ammiraglia «Re d'Italia». — Poveri figli di nostra Madre antica, che alla legge del dovere santamente obbediste, voi tornate, calmi e sereni, all'abbraccio fraterno dei vostri conterranei!
Il 21 luglio, su' monti del Tirolo, è combattuta da Garibaldi la battaglia di Bezzecca, con la quale ha termine la campagna; un reggimento, il 5º dei volontari, è letteralmente decimato: tra le vittime è un giovanetto di Pisticci, Arcangelo D’Alessandro, che suggella, con la simpatica dolcissima sua figura, il nostro martirologio. Lui ricordò, alcuni anni addietro, il professor Pasquale Turiello. «Era (egli disse) un giorno del 1866, e conducevo una compagnia di volontari nel Trentino, quando mi odo chiamare dalle fila di un reggimento che mi passa vicino. Avevo lasciato per la guerra l'ufficio d'insegnante nel ginnasio «Principe Umberto», e vidi che chi mi aveva chiamato era un alunno quindicenne. Arcangelo D’Alessandro, a cui avevo insegnato sino a poche settimane prima. Lo guardai ammirato: avanzava pallido e stanco, ma avanzava pure, sorridendomi. Era partito da Napoli, era giunto colà, senza rumore, senza vanterie puerili; prima non ne aveva detto parola. Gli resi il saluto, gli tenni dietro con affetto, ed egli passò oltre. Un giorno, dopo la battaglia, mi vennero a dire che il giovanetto era ferito, nell'ospedale di Storo, ed aveva chiesto di me. Quando io potetti andarvi, non v'era più. Modesto aveva abbandonata la scuola, era giunto al campo, aveva combattuto: ignorato, modesto era morto».