
I percorsi di Giustino Fortunato
date
1904
author
title
Una gita a Monticchio
summary
bibliography
- «Il Lucano – Giornale Politico Amministrativo», Potenza, a.XII, n.427, 17-18 settembre 1904, pp. 2-3.
teibody
Caro Corbi,
Aderisco al tuo desiderio, narrandoti la gita che il collega Villamena ed io facemmo a
Prima di partire da
Fra tanti dispareri, ritenemmo prudente fornirci del biglietto ferroviario fino alla stazione di
Però fortuna volle che per via c’incontrassimo con l’Ingegnere
Che anzi il dottore
Dopo circa due ore di fermata coatta alla stazione di Monteverde, per aspettare che la pioggia impetuosa, che si scatenava sulla terra con inaudito furore, fosse cessata, il gentile dottore
In quel punto la tradizione vuole che molto tempo prima dell’era cristiana fosse precipitato nell’
Vera o non vera tale tradizione, il meraviglioso è come un ponte che rimonta a tempo imprecisato dell’epoca romana, resista ancora alla perenne forza corroditrice delle acque ed alle ingiurie dei secoli.
Dal mulino di Monteverde si parte una comoda strada carreggiabile che attraversa buona parte della immensa tenuta di
A misura che si saliva si scovrivano allo sguardo nuovi orizzonti e nuove bellezze della natura, e intorno ondulazioni di terreno coronato da piante di frutti selvatici in mezzo alle quali cresceva rigogliosa la vite e il granturco. E, dico cresceva, perchè ahimè, pochi minuti prima la tempesta aveva tutto distrutto!
E che tempesta! Alberi divelti dal suolo, frutta ed altri prodotti disseminate dalla forza dell’acqua nei solchi e sulla strada; viti abbattute dal vento e qua e là banchi di ghiaccio formati dalla stratificazione della gragnuola.
Al di sopra però di questa zona colpita dalla sventura, la natura sorrideva in tutto il suo splendore.
Ridenti case coloniche sparse qua e là, e costruite con tutte le esigenze moderne, biancheggiavano in mezzo al verde della foresta – e pei sentieri e per le strade carri tirati da giganteschi buoi o da variopinti asinelli, e un brulichio continuo e festante di gente allegra che ti ricordava il Sabato del Villaggio dell’immortale Leopardi.
Affaticati dal cammino in salite, in mezzo ad una fredda nebbia che penetrava nelle ossa, ma non sazii di osservare, giungemmo finalmente alle sorgenti delle acque minerali, in mezzo alle quali sono costruite le case adibite ad abitazione pei bagnanti.
Ivi ristorammo le nostre forze in una osteria, tenuta decentemente da una simpatica coppia di coniugi milanesi, che non ci lasciarono nulla a desiderare.
Alla dimane, dopo di avere visitata la gran vasca dei bagni ferrati, in mezzo alla quale naturalmente zampilla un tiepido gorgoglio di acqua ferrata, e dopo di avere minutamente osservati i camerini pei bagni a doccia e le abbondanti sorgenti delle acque acidule a magnesio che si disperdono per la immensa cresta della montagna, fummo attratti dalla vista di uno spettacolo degno di minuta osservazione.
Ai piedi di una roccia frastagliata per la quale filtrano acque minerali, spuntano delle grosse radici di alberi coverti di muschio variopinto.
Tocchiamo colle mani queste radici: esse sono dure come la pietra.
Le incrostazioni dei sali minerali le hanno cristallizzate, ed anche il variopinto musco forma un solo corpo con esse.
Ci allontaniamo da quella roccia, e dopo aver percorso un lungo tratto di strada rotabile fiancheggiato da piante ombrellifere, da castagni e da nocelli simmetricamente piantati con sapiente cura per una immensa estensione di terreno, giungiamo ai laghi di
Sono due laghetti, il primo di forma quasi ovale e della circonferenza di circa tre chilometri, dall’acqua cristallina e leggermente increspata, sulla cui superficie scintilla il sole in mille guizzi di luce.
Gli alberi del bosco che lo circondano da un lato si riflettono in quelle onde cristalline con un effetto di ombra e di luce sorprendente.
Più in su, a poche decine di metri di lontananza giace l’altro lago, più piccolo del primo, di forma quasi rotonda, circondato in gran parte da folto bosco. Nel centro della collina s’innalza a picco sulla riva del lago il magnifico monastero di
In questo monastero risiede colla sua famiglia il simpatico ed ospitale cav.
Accanto al monastero sorge la chiesa di
È una chiesetta di piccole dimensioni che s’interna sotto le piante del bosco e la cui volta, che si regge per virtù di statica, è costituita da una dura e grigia roccia scavata nella montagna.
Ad uno dei lati della chiesetta s’innalza il piccolo campanile, nel centro del quale, in alto, pende una campana.
Vuole la tradizione che questa campana, suonata, avesse le virtù di mandar figli alle donne sterili.
Attraverso ai secoli chi sa quante belle donnine d’oltre monte e d’oltre mare vennero sotto alla campana e fissarono gli occhi amorosi in quel batocchio, ahimè purtroppo incapace a fecondare il loro seno!
Usciti dalla chiesa e girata la incantevole sponda del lago piccolo tornammo alla riva del lago grande e, saliti su di un’agile barchetta, scendemmo sulla sponda opposta.
Alla dimane, e prima far giorno, sulle cavalcature gentilmente forniteci dalla cortesia del cav.
Descrivere le meraviglie che si presentano allo sguardo di chi sale su quella vetta, che costituisce un punto isolato e centrale in mezzo allo sterminato orizzonte, è cosa assai difficile.
Di là si vedono una infinità di paesi. Di là si vede il mare. Di là dicono che con un buon canocchiale si scorga anche il pennacchio del Vesuvio. Noi però non l’abbiamo visto, forse perchè il cielo non era troppo limpido o i nostri binocoli non erano di lunga portata, o forse anche perchè non si può vedere.
Dopo mezz’ora di continua contemplazione scendemmo da quella superba vetta e, finchè gli alberi e la strada ce lo permisero, il nostro sguardo fu diretto sempre ai due laghetti, alla parte più bella di
Poi quei due occhi sparvero e con essi l’incanto di
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