I percorsi di Giustino Fortunato

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Fortunato, Giustino

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Dell’affresco della Chiesa di San Vito in Atella, e delle vicende di questa

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  • Società Napoletana di Storia Patria. Carte Fortunato – ms. 77.5, fl. 1-4.

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Secondo il D’Alor, l’affresco rimembrerebbe le gesta della Madonna delle Grazie, o della Visitazione, istituita nel 3189 da papa Bonifacio IX; e ne’ due personaggi, un re e un cavaliere, colpiti da’ fulmini scagliati dall’Esimo Padre, egli, il D’Alor, ravviserebbe Carlo III di Durazzo, ucciso a Buda nel 1386, e Niccolò Spinelli, morto su lo scorcio del 1396 a Pavia, il “maledetto ridicitore” delle lettere di Santa Caterina da Siena, che tanta parte ebbe nello scisma: la regina, che “eleva col maggior fervore le mani aggiustate alla preghiera”, sarebbe, manco a dire, Margherita vedova di re Carlo III, signora di Cirella, madre di Ladislao, la quale, dopo la morte del marito, governò il regno in concordia col principe Urbano VI.

L’affresco, dunque, non potrebbe non essere posteriore di detti anni almeno alla festività della Madonna delle Grazie, ossia non anteriore all’anno 1396.

Secondo il Volpicella, il dipinto sarebbe stato condotto “in memoria del discoraggiamento nato nella prima regina Giovanna ed in tutto il Regno al 1362” (l’anno che gli sembra indicato dal numero 362 che è nel mezzo della veste della Madonna), per essere morto re Ludovico di Taranto [† 25 maggio 1362] secondo marito di Giovanna, e, “poco di poi” [nel fatto, l’8 novembre del 1365] il gran siniscalco Niccolò Acciajuoli, conte di Melfi: essi due i colpiti, e Giovanna I, vedova del re, la regina pregante. – L’affresco, quindi, sarebbe in realtà posteriore al novembre del 1365, ma segnerebbe l’anno della morte di Ludovico.

L’opinione del Valpolicella vale sicuramente meno di quella del D’Alor. – Inverità, se il numero 362 del manto della Madonna dovesse, sul serio, indicar l’anno della pittura, sarebbe a me lecito avventurare, con più caldo fondamento, un’altra versione. In quell’anno 1362 moriva bensì[…]

[…] Tutto ciò, de resto, sfuma come nebbia al vento di fronte al parere autorevolissimo di Emilio Bertaux. Si tratterebbe di una pittura, il cui simbolismo è puramente religioso; e, in quanto alla data, impossibile ammettere, che l’affresco sia anteriore all’anno 1920, poi che le figure tonde e rosee, le quali non sentono più del (giotteno?), la testa bonaria del dio delle vendete, e i costumi delle donne fanno lontanamente pensare, secondo il Bertaux, agli affreschi di San Giovanni a Carbonara in Napoli.

Gli affreschi di San Giovanni sono quelli della cappella di Sergianni Caracciolo, fatta da costui costruire nel 1427. Sergianni morì nel 1431. Due anni dopo, ossia nel 1435, il figlio Troiano Caracciolo gli faceva elevare il cenotafio, e decorare la cappella a fresco dal pennello di Perrinetto di Benevento, fuvvi rifacciata da Leonardo Bisuccio di Milano. Andremmo, così, di una quindicina d’anni dopo l’epoca stabilita dal Bertaux. Chè anzi, volendo avventurare ipotesi su’ due colpiti, il re e il cavaliere, si potrebbe nel primo ravvisare Luigi III d’Angiò, ucciso dalle febbri a Cosenza il 14 novembre del 1434, nel cavaliere Sergianni Caracciolo, assassinato a Napoli il 19 agosto del 1431: e nella regina, non più la prima Giovanna, ma la 2ª, tornata – dopo la morte di Sergianni – signora di Atella.

La pittura sarebbe dunque di cinque anni anteriore alla concessione, da parte de' cittadini di Atella, del convento e della chiesa di Santa Maria di Vitalba a’ frati minori: la concessione, secondo il Gonzaga, si riporta all’anno 1439; e nella bolla di papa Niccolò del 10 giugno 1453 è parola della casa e della chiesa, incominciata, ma non ancora terminata: domus et ecclesia, dudum inchoate et non dum perfecte.

G. Romano, Niccolò Spinelli di Giovinazzo, diplomatico del secolo XIV, Napoli, 1902, p. 465. Faraglia, in “Napoli nobilissima”, an. 1899; cfr. Faraglia, Storia della Regina Giovanna II d’Angiò, Napoli, 1904, p. 377.

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