Libro primo
I. Proemio dell’Autore.
Dovendo io scriver cosa e per grandezza e per novità quanto alcun’altra
memorabile, non fie per avventura indarno il ricordare che lo stato regio,
di tutti gli altri il più eccellente, ne’ secoli ov’egli ha avuto luogo, di
rado fa senza di quelli uomini che oggidì son chiamati Baroni: i quali,
benché secondo la diversità dei tempi e delle regioni abbiano anche variato
di nome e di potenza, di effetto nondimeno sono stati sempre gli stessi; e
parvero ai Romani sì naturali e sì congiunti ai regni, che perciò regoli gli
denominarono: l’origine de’ quali non poté esser più chiara né più
onorevole, perciocché avendo i sudditi in pace o in guerra ben meritato co’
padroni, vennero dalla gratitudine e liberalità di quelli alle dignità et ai
dominii esaltati. Egli è ben vero che, per quanto si è osservato poi, questa
sorte di persone a molti regni è stata di nocumento, et a miti di
giovamento: hanno giovato i Baroni a’ regni grandi e potenti; ma a’ piccoli
e deboli hanno nociuto sempre: il che dall’umana ambizione è avvenuto; la
quale, per essere senza termine e misura, né contenta di parte alcuna di
autorità, insino al supremo grado, ch’è il reale, gli ha fatti aspirare.
Pur, dev’egli per l’altezza sua si è lor dimostro inaccessibile, non
tentarono con l’opere di salirvi giammai; ma col desiderio solamente, di
ogni difficultà superatore, vi sono pervenuti: anzi, stupefatti da
quell’altezza e diventati umili, si sono sforzati di venerarlo, e, come si è
detto, di giovargli. Il contrario è accaduto qualora è stato sì depresso,
che gli abbia invitati ad ascendervi; perché del continuo o l’hanno occupato
o travagliato.
II. Qualità del Re Ferdinando e
del Duca di Calavria
Li quali avvenimenti in parte dimostrar volendo, dico, che correndo gli anni
del Signore MCCCCLXXX, nel Regno di Napoli
signoreggiava Ferdinando di Aragona il
vecchio , e di quel nome primo; uomo di animo stimato
alquanto crudele, ma delle arti della pace e della guerra instruttissimo: et
avvegnaché per prudenza, felicità e grandezza delle cose operate fosse a’
passati Re di Napoli non pur
uguale ma superiore, nondimeno aveva Alfonso suo primogenito,
duca di Calavria , detto per sopranome il Guercio, che, sé
vivente, poco men che il tutto maneggiava; et essendo giovane feroce e di
natura all’armi inclinato, di niuna cosa mostrava esser più vago che di
accendere guerre in diverse parti dell’ Italia ; mediante le
quali avesse occasione di acquistar fama, gloria e stato: e siccome in
quelle prosperando, tuttavia s’inalzava a desiderare maggiori cose, così,
per avventura perdendo, nel voler ammendare l’avuto danno si struggeva; di
modo che né vinto né vincitore sapeva riposare; anzi, per meglio stare
apparecchiato, in ciascun tempo nudriva grande moltitudine di soldati, e nel
mare ancora sostentava non piccola armata. Queste speranze e questi
provvedimenti erano cagione che i soggetti che l’avevano a mantenere,
l’odiassino; et i principi vicini, che temevano sentirli, ne prendessero
sospetto e guardia; e tutti insieme comunemente desiavano che altri il
travagliasse, acciò che loro non potesse nuocere.
III. Cagioni della guerra di Otranto
Tra quei che ciò procurarono, dissero i Ragonesi essere stati i Fiorentini:
i quali per due anni con la guerra perseguitati dal Duca , e spesso
in dubbio della libertà, né anche con la pace ne vivevano sicuri; sì per
aversi ritenute molte terre del lor dominio; come perché dimorando dentro di
Sien , altrui porgeva sospetto di volere quella Repubblica
sotto vari colori alla sua ubbidienza ridurre. Ma non potendo i Fiorentini
dalle potenze cristiane conseguire che lo travagliassino, e che col loro
pericolo conservassino le proprie fortune; si gittarono a quella de’ Turchi,
ch’aveva il suo imperio nell’ Albani , e parte
nella Schiavoni , dirimpetto al Regno : e
dimostrarono a Maumette loro
imperadore, come la grandezza di questo giovane era, se non di presente, nel
tempo avvenire per dover nuocere non meno ad esso che a loro; anzi molto più
a lui, essendo l’impresa più giusta, rispetto alla religione; più agevole
per lo poco tratto del mare Ionio che
divide ambi i loro regni, e più favorita da’ principi cristiani. Era
Maumette per diverse cagioni contra il Re Ferdinando
oltramodo sdegnato, e vie più di altra cosa, per aver porto quella state
medesima soccorso a Rodi che egli
indarno aveva oppugnato: sicché non fa difficile a’ Fiorentini disporlo
all’impresa, fargli espugnare la città di Otranto , et il
paese all’interno predare.
Questa subitana guerra, commossa al Re da sì grande
mimico, come sgomentò il rimanente dell’ Itali , così trasse
di capo al Duca di Calavria
il disegno di occupare la Toscan : sicché,
chiedendo agli uomini et a Dio aiuto, si dispose, lasciato di turbare i
Cristiani, a guerreggiare co’ Turchi, restituendo a Sien la libertà,
et a Firenze le terre tolte. Fu la guerra nondimeno al Re et al
Duca
d’intolerabile dispendio, e fu presso a rimanere in abandono l’assedio che
per mare e per terra tenevano alla ricuperazione di Otranto , essendo
il Regno per le
guerre addietro esausto et impoverito; et i confederati, repressi i primi
empiti de’ Turchi, avendo caro, come si è detto, simil travaglio, andavano
lenti nelle provvisioni. Ma Dio, che per altre mani et in altro tempo aveva
differito il lore castigo, vi diede aiuto egli; et immantinente, non pur
tolse di vita Maumette , ma
anche l’imperio dall’armi de’ figliuoli fe’ travagliare: sicché i Turchi,
veggendosi da ogni lato sbandonati, vinti dalla disperazione più che dalla
forza, imposero fine alla costanza loro, quella città di accordo rendendo.
Or, mentre che quella guerra era in sul maggior fervore, e che di giorno in
giorno temevasi anche più spaventevole, il Duca di Calabria ,
riguardando la debolezza delle forze sue, poco bastevoli a tanto peso
sostenere, sì rammaricava col padre, rimproverandogli che per soverchia
bontà e mal governo i suoi ministri l’aveano ingannato, fatti sé ricchi, e
lui povero; e che almeno allora, che si ritrovava in tanto pericolo dello
stato, si dovesse servire de’ furti loro, e come fraudatori punirgli. I
ministri che il Duca accennava,
erano Antonello
Petrucci secretario, e Francesco Coppola, conte di
Sarno ; che, di povero grado, si erano pareggiati, con
l’autorità del Re , di rendite e
di stati a’ maggiori principi del Regno .
IV. Descrizione di Antonello
Petrucci , e del suo essere
Antonello
Petrucci nacque in Teano , de’ beni
del mondo poco agiato, e fu in Avers nudrito: ma
ne’ suoi primi anni, porgendo segni di alto ingegno, venne dal padre
conceduto a notaio Giovanni
Ammirato , aversano; il quale, preso dall’indole del putto,
lo fe’ in lettere et in buoni costumi con diligenza ammaestrare; et
avvedutosi che con l’età giva crescendo di senno e di destrezza, fu suo
avviso (acciò che un giovane di cotanta speranza inutilmente seco non si
perdesse), porlo a’ servigi di Giovanni
Olzin , secretario del re Alfonso Primo , e
suo amico et oste qualora ad Aversa ne veniva; ove sperò, come più
ampiamente avvenne, che con esso lui avrebbe spazioso campo di esercitarsi e
divenire grande: oltre che la fortuna, volendo con infelice fine di
eccellentissimo uomo rinnovellare nelle menti umane la sua potenza,
facilmente gli apriva tutte le strade a condursi in luogo altissimo, donde
poi con notevole rovina lo potesse precipitare. Ricevello dunque l’
Olzin caramente, sì per compiacere al notaio, come per
l’aspetto buono del giovane; e con Lorenzo Valla ,
che in casa sua si dimorava, uomo per lettere e per dottrina chiarissimo, lo
pose ad apprendere virtù. Con sì raro maestro, Antonello in
piccolo spazio di tempo riuscì tanto letterato, che a Lorenzo et all’ Olzina fa a maraviglia carissimo, et annoverato in
secretaria tra gli scrivani. Quante fiate l’ Olzina , soprappreso da diversi affari, non fosse potuto
gire dal Re , tante usava
mandarvi Antonello : a cui
per questa famigliarità in modo si fe’ caro, ch’egli l’onorò con di molti
ufici e dignità; e conosciutolo virtuoso e modesto, l’arricchì et esaltò
tanto che, morto lui, Ferdinando suo
figliuolo, non volendo; come il padre, commettere le cose a più persone, ma
ad un solo, elesse sopra ogni altro Antonello , e non
solamente lo creò secretario, ma un altro sé stesso; di qualità che quando
gli gravava udire alcuno, l’inviava da lui, acciò che con maggior agio
potesse ascoltar la dimanda, e per quello rispondergli: le provvisioni, i
comandamenti e gli ordini agli uficiali, magistrati et altre persone, erano
quasi tutti rivelati per bocca sua. Il qual favore, dimestichezza et
autorità col Re , furono
cagione, come sempre avviene, che egli acquistasse ricchezze grandissime, e
con nobili parenti si congiugnesse. Tolse pertanto moglie una donna degli
Arcamoni, e seco generò più figliuoli: de’ quali il primo fe’ conte di
Carinola , l’altro di Policastro , il
terzo arcivescovo di Taranto , il
quarto priore di Capova ,
l’ultimo, per la sua tenera età, non poté egli di straordinaria fortuna
provedere; benché dipoi, per le sue virtù, vescovo di Muro l’abbiamo veduto.
Aveva eziandio in edifici superbissimi e adornamenti di chiese dimostrata
somma magnificenza e ricchezza, e tale che non pareva in vil luogo nato, ma
da’ suoi antecessori la presente fortuna avere conseguita.
V. Descrizione di Francesco Coppola, conte di
Sarno
Francesco
Coppola , quantunque si fosse di antica e nobil famiglia
napoletana, nondimeno ristrettamente vivendo faticava in avanzarsi: nel che
prese nome di trafficar bene, et a mano a mano in tanto l’accrebbe, che fra
tutti i negozianti era celebre, e riputato de’ primi. Al suono della cui
fama destossi il Re Ferdinando ,
che giudicava per le sue picciole entrate convenire al grado reale i
guadagni, eziandio a privati poco onorevoli; e fello capo e partecipe del
profitto di tutti i traffichi e mercatantili industrie ch’egli faceva di
fuori e dentro il Regno : con la
quale occasione Francesco di
leggieri divenne ricchissimo: perché il Re , dal proprio
interesse allettalo, non permetteva che nel Reame veruno
vendesse c’egli primieramente non ismaltiva le sue merci, né alcuno
comperasse se Francesco non
s’era a suo grande agio proveduto. Questa compagnia col Re si mantenne
insino a tanto ch’egli fu intromesso nel consiglio reale, e ch’ebbe compere
di molte navi, col contado di
Sarno , stato già degli Orsini . Ma
gustato di poi il veleno dell’ambizione, et entrato in pensiero di non
essere inferiore a signore alcuno del Regno , presero a
combattere nell’altiero animo suo il desiderio degli onori con quello
dell’avere; et essendo amendue di pari forze e di uguale potenza, né
potendosi dall’uno per nuovo appetito, né dall’altro per antico abito
disciorre, cominciò da sé molto più nobilmente a maneggiarsi: né era al
mondo suo pari che di credito l’agguagliasse; perciò che in Levante et in
Ponente aveva tanto credito, che ad ogni sua richiesta gli erano credute e
mandate merci di summo valore. Aggiugnevasi a ciò il rispetto che gli era
portato da’ marinari e dai padroni delle navi; perciò che tutti come loro
difensore l’osservavano, e nelle differenze come arbitro lo chiamavano.
Aveva anche aperto, in ammirazione degli uomini, una stanza grandissima
colma di vele, di ancore, di sarte, di artiglierie e di tutte altre
munizioni, a qualunque numerosa armata sufficiente. La casa, ove
splendidamente abitava, da gentiluomini, cittadini e soldati frequentavasi
assidoamente et onoravasi. Le quali ricchezze, onori e buona fortuna, come
in Antonello avevano
recato incomparabile modestia, così in Francesco
avevano generato smisurata baldanza.
VI. Orazione del Conte di Sarno
al Re
Trovandosi, adunque, il Conte di Sarno
et il Secretario
abondantissimi di ricchezze, et il Re poverissimo di
danari, aggradiva al Duca di Calavria
abbatter quelli, per rilevare il padre. V’erano anche di molti che,
ricoprendo l’odio privato col publico delitto, a ciò l’instigavano; e fra
gli altri, Diomede Carafa conte di
Maddaloni , uomo, oltre la nobiltà del sangue, per
rimembranza dei servigi paterni e propri, appo il Re di grande
stima, et intimo consigliere del Duca . Costui
parimente, come tutti gli altri Baroni, odiava nel Conte e nel
Secretario così
grande autorità: anzi, come se l’altezza de’ gradi e non la virtù dell’animo
gl’imperii reggesse, si affliggeva che gente riputata da lui inferiore a sé,
avesse a governare il Re , e fosse a
lui sì tosto fatta uguale di stato e maggior di favore. Non si mosse
Ferdinando alle
parole del figliuolo, o che la memoria dei beneficii ricevuti, o che la
paura dell’infamia il tenessero in freno; oltre al non volersi privare di
due ministri, mediante li quali nelle sue maggiori turbolenze era rimaso
superiore: più tosto riprese il Duca con acerbe
parole, e di coloro si dolse che a ciò lo consigliavano. Il fatto nondimeno
pervenuto a notizia del Conte di Sarno e
del Secretario ,
entrò loro nel petto più profondamente che il Re o il Duca non
avrebbono credulo: e, come uomini prudenti, si ristrinsero insieme e furono
a ragionamento de’ rimedii della sopravegnente rovina; e giudicarono che,
essendo i favori de’ principi combattuti da’ venti dell’invidia e della
calunnia, per confermare il Re nella loro
difesa, conveniva loro dolersi seco dell’avuta sospizione, ricordargli i
servigi passati, e finalmente proferirgli i loro stati, acciò che, senza
acquistar nome di avaro o di crudele, ne’ suoi bisogni se ne servisse: e
perché il Conte era più
esposto all’ingiuria, per avere maneggiato il tesoro reale, si risolverono
ch’egli parlasse prima ‘e di solo, affinché il Re comunicando il
tutto, come soleva, col Secretario ,
egli allora, presa l’occasione, di sé favellasse. Piacque il partito al
Conte di Sarno ,
come ad uomo che riputava il Secretario
freddo e timido, e più atto al difendere che pronto all’accusare. Pertanto,
appresentatosi dal Re una sera che
riveniva da caccia lieto per aver preso alquante fiere, in questa sentenza
gli parlò: « Sacra Maestà , io
m’imagino che il Duca suo
figliuolo s’abbia presupposto che, come cacciando sete vago di uccidere le
fiere, non altrimenti prendiate diletto facendo morire i vostri servitori
benemeriti; e come sostenete ch’elle alcun tempo vaghino per li campi senza
noiarle, parimente lasciate ingrassar noi, per farci poi con vostro maggior
vantaggio estinguere. Rendo grazie a Dio ch’egli ha trovato il contrario; e
noi abbiamo conosciuto avere più umano padrone, e lui meno crudel padre di
quello che stimava. Ma qual altra risposta poteva riportare il Duca da quel
Re che fra tutti
gli altri del mondo è tenuto prudentissimo, o da quel padrone che ha fatto
già prova della fermezza de’ suoi fedeli in tante occasioni di varii e
dubbiosi tempi? avvegnaché io non mi dolga tanto di lui (ché, per essere
vostro figliuolo, non gli è potuto cadere nell’animo si scelerato pensiero),
quanto de’ suoi consiglieri, che a ciò mal suo grado l’inducono. Io,
Sacra Maestà ,
sono odiato da questi altri Baroni, però che mi avete loro di ricchezze, di
favore e di dignità agguagliato: la qual cosa quanto sia di ragione, Ella se
’l giudichi. Io non debbo ripugnare né alla gratitudine né alla magnanimità
vostra; ma eglino possono bene contrastare allo sfrenato disio che tengono
di farvisi uguali, nuocere a questa corona, et ispogliarvi del regno: e
comeché non sapessino le sode ricchezze de’ padroni procedere dalia fedeltà
de’ servi, vi accusano anche ingiustamente che mi facciate meritevole di
que’ premii per la lealtà e sollecitudine mia. Doverebbono più tosto li loro
padri giustamente incolpare, che superbi gli hanno conceputi et isconoscenti
allevati: di che potrei arrecare molti esempi avvenuti a’ tempi antichi et
all’età nostra: se non favellassi con quell’uomo che per propria virtù, e
per alcuna mia fatica (siami lecito giustamente vantarmi), nella guerra del
duca Giovanni di Angiò gli ha battuti e domati. Quale fu di loro, quantunque
da voi maggiormente esaltato, che disfavorisse il vostro avversario, o pure
nel suo ricetto non l’albergasse? furono per avventura gli amici, i parenti,
o coloro co’ quali per tutto il tempo eravate educato e vivuto? Cotesto è il
fonte, Sacra Maestà ,
donde nasce e deriva il mio male, altamente dolendo a costoro, che, a cui
meno si disdiceva il mutar fede, si sia stato immutabile: della cui invidia
rosi, passano tant’oltre, che vorrebbono che voi, per nuocermi, vi
spogliaste di ogni costume reale, all’ira di Dio vi esponeste: l’ira di Dio,
dico, infallibil vendicatrice delle grandi ingratitudini. Ma essi operano
indarno; ché i cuori de’ Re non sono nelle mani degli uomini. Rincrescemi
solo ch’abbiano voluto con l’appoggio del Duca , e con la
favola della necessità, sfogare la loro invida ambizione: ma ecco ch’io
tolgo loro questo velo. S’io avessi veduto, Sacra Maestà ,
che al Duca fossero di
mestiere le fatiche mie, senza esserne richiesto l’avrei a suo benefizio
logore e disperse: ma non iscorgo ancora altra necessità, se non quella
ch’egli medesimo e quelli savi suoi consiglieri da sé stessi s’impongono;
preparandosi di tenere in questa impresa infinita gente inutile e dannosa: e
con tutto ciò, sebbene i soldi indugeranno, voi vivo, non mai verranno meno.
Noi abbiamo il Reame tranquillo,
domi i Baroni, le comunità benevole, il nimico nell’estrema punta del
Regno ; e
dubitiamo di non poter sostenere la guerra? e che guerra poi? dove non
solamente gli uomini, ma tutta la terra, il mare, il cielo nel nostro favore
han prese l’armi. A quale sceleraggine avrebbono costoro tratto il Duca , se
l’avessino avuto a consigliare allorch’avemmo la Francia addosso,
contrarii i popoli, i signori ribelli, privi del possesso del mare, in
dubbio di quello di terra, rotti e fugati dinanzi alle porte di Napoli ? Veramente che la crudeltà di Attila e l’empietà di
Nerone oscure
sarebbono appetto delle sue. L’animo mi detta, Sacra Maestà , o
che giammai niuna impresa fu felicemente incominciata e gloriosamente
finita, o che la nostra sarà dessa. Pur, s’Ella giudica altrimenti, o
conosce di esporre a periglio lo stato suo, prenda, la priego, non pur le
sostanze, che in breve si possono rifare, ma la persona propria e’ miei
figliuoli, et a qual più straniera gente si sia gli venda e gli doni, per
ristorare e rinvigorire le forze sue: ma s’elleno incontro a questo debol
vento sono pur valide e robuste, supplicemente la priego a tòrre
inespugnabilmente la difesa della giusta causa mia, reprimere la malignità
degl’invidi, far vedere al Duca l’error suo;
et al mondo tutto, che non mi avete beneficato solamente, ma da nefanda
ingiuria difeso e conservato».
VII. Risposta del Re
Stette il Re alle parole
del Conte alquanto
sospeso, e mostrò nel volto e negli occhi essergli dispiaciuto il sospetto
suo, rispondendo ch’egli credeva ch’esso Conte , il quale
per tanto tempo era vivuto seco, non avesse conosciuto in lui, né anche ne’
suoi maggiori travagli, non solamente azion veruna tirannica e crudele, come
sarebbe questa giudicata, ma né un minimo segno che potesse denigrare la
real dignità: e che le parole tra lui e ’l Duca corse, per
coloro si dovevano intendere che veramente avevano rubato, e non per quelli
che con fede et amore faticando avevano meritato dalla sua corona robe e
dignità: e che ringraziava Dio che il Duca avesse verso
lui quell’animo che doveva; ma se pure di altra mente fusse, non poteva
mancare di assicurarlo, riconoscendo dalla sua persona innumerabili servigi,
de’ quali la memoria egli conservava sì salda e potente, ch’arebbe prevaluto
sempre alle sagacità de’ maligni.
VIII. Risposta del Re . Parole del
secretario al
Re
Questa risposta del Re al Conte fu molto
grata, e venne in certa speranza che, regnante lui, non vi fusse di che
sospettare: tanto più che il seguente giorno il Re col Secretario ebbe
ragionamento somigliante, e gl’impose che in ogni modo e’ togliesse dal
Conte quel vano
timore. Nel qual discorso il Secretario parlò
di sé, ma più moderatamente: perché disse, se il Conte meritava
castigo per essersi arricchito in casa di Sua Maestà ,
troppo maggiore doversi a lui ch’aveva più facultà, e meno ve n’aveva
recate; e che non si conoscerebbe differenza fra’ servi d’uomini privati e
quelli de’ Re , se gli uni e
gli altri vivessino in continua povertà: anzi, che i principi nuovi, come
era in quel regno Sua Maestà ,
tutti procurano di porre muove genti ne’ loro stati, i quali conoscano
l’obligo della loro fortuna da essi soli derivare; e che se in lato del
mondo faceva mestiere usare questo termine, era nel Reame , ove per l’addietro si erano veduti tanti
rivolgimenti, et ove nessuno legame più che quel della roba bastava a fermar
gli uomini: oltreché, se il Duca fosse di
quest’animo, sarebbe proprio non volere che altri il servisse mai, avendo la
servitù per fine la ricchezza. E finalmente, per dimostrare che non se la
intendeva col Conte ,
soggiunse restar molto ammirato che persona di cotanto ingegno, com’era lui,
fosse caduto in questi pensieri, per cagione de’ quali dava a sé sospetto,
al padrone infamia, e a’ malevoli materia di poterlo più largamente
calunniare.
Avuti il Secretario e ’l
Conte col
Re questi
ragionamenti, quantunque per quelli fossino come assicurati del suo volere,
non perciò cessarono di fare tutti i preparamenti possibili a stabilirsi. Et
essendo l’ufficio di uomo saggio, così di rimediare il mal presente come il
futuro prevedere, convennero che in dando al Re danari per
l’urgente bisogno, del tutto si assicurassero di lui: e in procacciando a sé
amici e parenti, e al Duca di Calavria
sospetti e nemici, eglino divenissero bastevoli non solo ad opporsegli, ma
urtarlo; e che perciò il Conte delle cose
del mare sommamente s’impadronisse. Presi questi appuntamenti, il Conte
immantinente si diede a trar fuori un’armata per istrignere più Otranto : il qual carico dal Re
volenterosamente gli fu imposto, sì perché non v’era persona che a fine
meglio di lui il potesse condurre, sì eziandio perché in quell’apparecchio
lo sovvenisse de’ danari e navali strumenti.
Non è agevole a credere in quanto brieve tempo, et in qual numero, il
Conte di Sarno
pose insieme quel navilio et apparecchio; acciò che con quella invero
illustre azione comperasse gli animi de’ padroni. Mediante la qual armata e
buona fortuna, Otranto , come si
è detto, si riebbe, con tanta lode del Conte di Sarno ,
che da ciascheduno della libertà, del Regno e della
religione nominato fu conservatore. Il Secretario
anch’egli diede buona somma di danari al Re : la qual cosa
d’allora in poi usò continuamente, e più fiate l’anno in abondanza gli
donava, et altresì persuadeva agli amici e parenti, come ufficio al
Re gratissimo;
tal che per Napoli si diceva
lui comprare il suo favore. Contrasse anche con gli Orsini parentado, i quali in quel tempo, come padroni
dell’armi, appo il Re e ’l Duca di Calavria
in altissimo grado dimoravano. Era capo loro Virginio , tra tutti i capitani d’ Italia
riputatissimo: una congiunta di costui, e della sua famiglia stessa, sposò
il Secretario nel
Conte di
Carinola , sperando il rispetto degli Orsini il figliuolo dover conservare. Con la gita dunque del
Conte di Sarno ,
e con questo parentado, parve per allora che gli animi di amendue
s’acchetassino.
Avvenne dipoi, la seguente primavera, che il Re ebbe novella
come il successore del Turco, detto Baiazete , era
passato sopra Rodi con esercito
possente: laonde il Re , per temenza
che quell’isola, opposta alle frontiere de’ Turchi per un ostacolo grande,
non pervenisse in forza loro, fece una piccola armata per soccorrerla,
spintoci anche dalle preghiere del papa ; nel cui
apparecchio medesimamente il Conte adoperò:
et egli, per ammorzare la vorace fiamma dell’invidia con un mare di buone
operazioni, non scemando la consueta diligenza, in un momento messe ad
ordine il tutto e le navi avviò; le quali felicemente navigando, giunsero a
Rodi , e non solo il soccorsero, ma dagl’impeti de’ mimici
valorosamente lo salvarono. Quest’opera aggiunta all’altra d’ Otranto , benché pensasse il Conte che gli
avessino appo l’animo del Re guadagnato
tanto che potesse già tener sé e le sue cose per difese e sicure da ogni
assalto del Duca di Calavria
; pure, dovendo per la morte del Re , che tuttavia
se gli appressava, cadere in brieve nelle sue mani lo scettro del Regno , cercò, prima che quel giorno gli sopravenisse,
collegarsi in parentado co’ primi signori del Regno , e trattò
dar marito ad una sua figliuola il figliuolo del Principe di
Bisignano , della famiglia Sanseverina: il che non ebbe
effetto, né egli molto se ne curò; però che nacquer cose che per un pezzo
più pienamente l’assicurarono; e furono queste.
IX. Cagioni e progresso della guerra ferrarese
I Veneziani e ’l papa si
collegarono a’ danni del Duca di Ferrara
, del Re Ferdinando
genero, perché egli non osservava i patti intra di loro ne’ tempi addietro
stabiliti; e l’avevano in sì fatto termine condotto, che ciascuno vedea, se
il Re non gli dava
presta e somma aita, e’ si abandonava. Nondimeno egli v’andava assai più
lento di ciò che i bisogni del Duca di Ferrara
per avventura richiedevano; perciò che la guerra passata di Otranto e’ l corso pericolo l’avevano per sì fatto modo
affaticato et impoverito, che non ardiva ripigliare l’armi. Pure alla fine,
costretto dal volere del Duca di Calavria
, deliberò soccorrere il genero e la figliuola, et al papa et a’ Veneziani vietare il grande accrescimento che per
quell’acquisto verrebbono a fare: di che il Re privatamente
et in publico consiglio volendo de’ suoi il parere, il Secretario e ’l
Conte di Sarno
caldamente consigliarono che Ferrara si doveva
difendere, dimostrando con efficaci ragioni che, spento colui, il medesimo
avrebbono fatto a Sua Maestà , e ’l
papa non avere
minor ragione nel Regno che in su ’l
Ferrarese; e che i Veneziani non meno aspiravano a insignorirsi dell’uno che
si facessin dell’altro.
Queste cose, avvegna che si dicessino per altro fine, erano nondimeno
verissime: perché l’ Italia in que’ tempi
stava in certo modo bilanciata, che i potentati non consentivano che veruno
facesse aggiunta alla sua signoria, ma che ciascuno si rimanesse dentro de’
propri termini. Da quel fonte traevano origine tutte le guerre e le
confederazioni; indi uscivano le cagioni che le leghe si facessino e
disfacessino in un tratto, e che colui che nel cominciamento di una impresa
ti s’offeriva per confederato, nel fine ti si palesasse aperto nemico; e che
ciascheduno fosse pronto a battere il tuo avversario, ma nessuno ad
opprimerlo; anzi i medesimi che si sforzavano farti una vittoria ottenere,
erano coloro che il fine di quella t’impedivano: in tanta gelosia e timore
viveano quelli stati. Oltre al Re , i Fiorentini
e Ludovico Sforza
governatore di Milano presero
l’armi in aiuto di Ferrara , con
deliberazione che i Fiorentini e ’l Re molestassero
il papa insino a
tanto si smembrasse da’ Veneziani; i confini de’ quali Ludovico
dall’altro canto travagliasse, acciocché quella Republica , dovendo in tanti lati le sue forze distrarre,
molestasse con minor impeto Ferrara . Ma
avvenne tutto il contrario: perché, benché il Duca di Calavria
con esercito fiorito campeggiasse Roma , da’
Colonnesi e
Savelli
accompagnato, nondimeno ella fu dagli Orsini , che si
erano partiti da lui, coraggiosamente difesa; insino a tanto che il
magnifico da Rimini
Roberto
Malatesta giunse con le genti veneziane, e diede al Duca su ’l paese
di Velletri quella terribil rotta, tanto sanguinosa che il
Duca campò
miracolosamente per virtù di quattrocento cavai turchi che, rimasi nella
guerra di Otranto , sotto
di lui militavano. Ludovico ancora
travagliato dai Rossi di
Parma , compagni de’ Veneziani, con fatica poteva difendere
il suo stato. Trovavansi pertanto il Duca di Calavria
e il Re nel maggiore
pericolo che fossino stati mai; ma la fortuna, che in quei tempi soffiava
loro favorevole, quando con le vite degli uomini non poteva foro fare
profitto, con le morti li favoriva: siccome avvenne allora, ucciso Maumette ; et ora, poco dopo la vittoria, il magnifico
Roberto : di modo che il papa mancando di
capitano, e perciò non potendo far più guerra, si rivolse alla pace.
Giovògli ancora la gelosia ch’era ne’ potentati italiani, e che di sopra si
è detta. Perché il pontefice ,
castigato ch’ebbe il duca di Calavria
, cominciò a dubitare di aggiugnere troppa forza alla grandezza de’
Veneziani; sicché non passò molto che, lasciati quelli, si accostò al
Re , e consenti
il passo al Duca di Calavria
che andava alla difesa di Ferrara : e così,
onde gli Aragonesi
attendevano un gran male, un insperato bene asseguirono, con non poca noia
del Conte di Sarno e
del Secretario .
Pure, veggendo che i Veneziani, non ostante che il papa gli avesse abandonati, perseveravano nell’armi
ostinatamente; e che, per maggiormente sbigottire il Re , avevano
chiamato in Italia il Duca di Lorena
disceso del sangue di Angiò ; presero
speranza che il Duca di Calavria
potesse incontrare quello in Lombardia che in
terra di Roma aveva campato. E dicevano, il leone allora star bene
quando veniva da febbre molestato: ma falli loro il disegno; perché, mentre
durò quella guerra, fu dal Duca con tanta
virtù e fortuna amministrata, che se Ludovico dalla
lega non si scompagnava, egli avrebbe tolto a’ Veneziani tutta la terra
ferma; e quando ella finì, come sì dirà, principiò la lor rovina. Ludovico ,
governatore di Milano per
Giovan Galeazzo
Sforza suo nipote, accecato dall’ambizione e invescato nella
dolcezza del dominare, sin da que’ tempi disegnava o perpetuarsi in quel
governo o quello stato usurpare: e considerando di non potere ottenere
alcuna delle cose predette, il Duca di Calavria
prosperando in Lombardia , per
essere il nipote genero di luì, si pose in cuore che s’egli conservava lo
stato a’ Veneziani, avrebbe guadagnato con immortal beneficio nuovi amici, e
nell’ Italia contra la potenza del Duca vecchi
nemici mantenuto.
Bramando adunque da quella guerra spiccarsi, e tra la lega e’ Veneziani far
nascer pace, gli era questo appetito da due rispetti contrastato: l’uno,
dall’interesse del marchese di Mantova
Federigo di
Gonzaga , principe appo lui di grande autorità, sì per il
parentado, come per esser generale di quella impresa: l’altro, perché
avrebbe voluto occasione di potere in alcuna parte mitigare lo sdegno, se
non del Duca , almeno del
Re ; nel quale,
abandonandolo, sapea sicuramente d’incorrere. Ma i cieli che alle future
calamità dell’ Italia si
preparavano, in brieve spazio gli spezzarono amendue questi freni; levando a
Federigo la vita;
et al Re , mediante
l’armata veneziana, Gallipoli ,
Nardò , et altri luoghi minori di Terra di Otranto , già detti Salentini: onde che Ludovico ,
parendogli essere sciolto, senza indugio l’accordo conchiuse; ponendo tra’
patti, che i Veneziani rendessero al Re le sue terre;
et all’incontro, per le spese fatte in quella guerra, si ritenessero il
Polesine di
Rovigo , del distretto di Ferrara . Non
poteva sofferire la superbia et alterigia del Duca di Calavria
che, con tanto danno del cognato, a posta di Ludovico egli
dovesse posar l’armi; né che sopra di sé rimanesse l’odio della guerra, et
appo lui il grado della pace: sicché, mentre si trattavano le condizioni di
essa, proferse al padre più fiate, a lui bastare l’animo, ancora senza
Milano , castigare i Veneziani, e, come al tempo antico,
rituffarli nell’acque, purché egli lo sovvenisse di buona somma di danari. E
tra’ modi che gli propose di trarti del Regno , fu quello
che si era molto prima pensato, ma riserbato per l’estreme sue necessità;
cioè disfare il Conte di Sarno ,
e ’l Secretario , et
altri Baroni che poco ubidienti se gli mostravano. Il Re , che non
aveva il sangue si caldo, et essendo per le passate spese impoverito, e per
la perdita di Gallipoli e di
Nardò impaurito fortemente, senza porgere orecchie a’ suoi
discorsi, non si curò tòrsi da pericolosa guerra con ignominiosa pace: il
che segui con tanto dispiacere del Duca di Calavria
, che, essendo uomo cruccioso, aperto, et alla natura simulata e paziente di
Ferdinando
totalmente contrario, egli empi di querimonie tutti i suoi; e nei cerchi de’
Baroni e capitani affermava (non avendo a mente le minacce esser a pro del
minacciato) di porre esso in esecuzione ciò che il padre per viltà lasciava.
X. Principio della Congiura
La qual cosa da più persone apportata al Conte di Sarno ,
al Secretario et a’
figliuoli, e, come la fama suole, con aumento di parole; giudicarono i
rimedi passati essere stati leggieri alla sua infermità, e che, per ben
guarirla, conveniva loro di por mano a’ violenti et al ferro, e superando
l’immensa avarizia del Duca la lor gran
pazienza, congiurargli contro: tanto più che dubitarono il Re essere
inchinato alla volontà del figliuolo; non rimettendosi, come prima, nelle
loro mani, e dalla consueta dimestichezza con esso loro ritraendosi;
favorendo anche sopra l’usato il Conte di
Maddaloni e quel di Marigliano ,
anch’egli dei Carrafi , et
uomini ad amendue loro odiosissimi. Ritornando adunque il Duca di Calavria
, sparsero una voce, per le ragioni di sopra dette creduta dall’universale,
come il Duca veniva
disperato di Lombardia , et a
spogliare degli stati molti Baroni che in quella guerra non l’avevano
sovvenuto. Questa fama, da coloro ch’avevano udite le querele del Duca , fu tenuta
verissima, e da’ Baroni, per altro malcontenti, ricevuta negli animi
avidamente; e la tennero per ottima occasione di far novità, e di liberarsi
dall’eccessive gravezze di che il Duca et il Re per continue
guerre gli avevano caricati, Capo de’ quali si fe’ il Conte di Sarno ,
per il timor predetto, et il Principe di
Salerno , per quello che ora diremo.
XI. Descrizione del Principe di
Salerno , e sue qualità
Fu il Principe ,
nominato Antonello ,
figliuolo di quel Roberto
Sanseverino che ebbe dal Re in guiderdone
delle sue fatiche la città di Salerno , da
Felice
Orsino per ribellion perduta; e che di più fu creato
ammiraglio del mare, e condotto tant’allo, che spento il Principe di
Taranto e quel di Rossano , egli
rimase il primo di tutti i Baroni, et edificò a Napoli un palagio
regio e superbissimo; e colmo di ricchezze e di gloria, si morì: a cui
successe questo Antonello nella
dignità e nello stato, ma non già nella qualità e virtù. Perché, come
Roberto procurò
sempre aiutare e conservare il Re , e riputò la
dignità sua congiunta con la prospera fortuna di quello, così Antonello non si
stimò mai né sicuro né onorato per insin che non vide spento Ferdinando ,
rovinati et estinti i suoi posteri. Al che più cose lo moverono, oltre la
sospetta sua natura; la prima, che il Re dinegò, dopo
la morte del padre Roberto ,
crearlo ammiraglio, né glielo concesse mai infino a tanto che non andò in
Ispagna col Duca di Calavria
a condurgli la seconda moglie, sorella del Re
Cattolico ; l’altra, che vedeva il Re e ’l Duca anteponergli
nel governo del Regno ogni minimo
uomo, né di lui quel conto tenere che giudicava fosse dovuto alla memoria
de’ meriti paterni et alla dignità e qualità sua. Aggiugnevasi che sospicava
il Principe ,
veggendo sé grande, la sua casa nel Regno
potentissima, la moglie figliuola del Duca di Urbino ,
capitano e principe di quell’età di eccellente virtù, e che per genere
materno discendeva dagli Sforzeschi ;
sospicava, dico, che il Re o il Duca di Calavria
con queste maniere non cercasse spegnerlo o abbassarlo; essendo stata cosa
peculiare un tempo a que’ Re di Napoli
alzar per merito e per virtù gli uomini a grado altissimo, e poi,
temendogli, opprimergli. E non poco sospetto gliene porgeva l’immoderato
favellare del Duca , nel quale
fa sempre sì inconsiderato, che questo pericolo et altri prima, e poi
l’ultimo suo esterminio gli partorì: però che ne’ privati ragionamenti,
parlandosi di Antonello , o lo
notava di superbia, o nelle fattezze corporali l’assomigliava al Principe di
Taranto , già disfatto dal padre.
Questi umori nel Principe erano
stati conosciuti più tempo innanzi dal Conte di Sarno e
dal Secretario ; e
dopo il loro sospetto, in varie occasioni in modo gli avevano accresciuti,
che il Principe di già
temeva condursi alla presenza del Re , né alle
pubbliche richieste di lui avea voluto comparire personalmente, con grande
onta et abbassamento della sua maestà, parendogli che negasse di ubidirlo. E
vedeva ciascuno che indugiava più l’occasione che il lor animo ad
offendersi, e che con ogni picciola scintilla di fuoco infra di loro si
poteva eccitare grandissimo incendio.
XII. Cagioni dell’odio di papa Innocenzo
contre il Re
Erano le speranze di questi due signori, oltre la moltitudine de’
malcontenti, sostenute eziandio dalla mala volontà del nuovo papa inverso il Re : perché dopo
la pace di Lombardia morì
Sisto , et a lui
successe Innocenzio Ottavo
, prima cardinale di Molfetta e
nominato Giovan Battista
Cibo, di nazione genovese; uomo piacevole et umano, ma che in minor fortuna
odiava il Duca di Calavria
et il Re ; sì per esser
nato di padre angioino che sotto il Re Riniero molti
anni aveva retta la città di Napoli , come per
la loro crudeltà e per li pochi rispetti che ne’ tempi adietro avevano
portato alla Chiesa , dalla quale contra l’armi de’ Francesi e volontà de’
regnicoli erano stati conservati. Accresceva questa mala disposizione la
contumacia di Ferdinando in
negargli il tributo che ciascuno anno i re di Napoli in
recognizione del feudo sono avvezzi di pagare alla Chiesa : affermando
il Re essergli stato
rimesso da’ suoi predecessori, e che si doveva per il regno
di Napoli e di Sicilia ; ma che
egli allora solo quello di Napoli possedeva.
Queste erano le cagioni pubbliche; ma le private, scoperte dal tempo, padre
della verità, discendevano da più alta radice.
Fu costui il primo di tatti i pontefici, che sabbia memoria, che nudrisse in
palese, e con ricchezze e stati onorasse, li figliuoli non legittimi; perché
sino a que’ tempi, sotto più onorevoli nomi gli aveano coperti et onestati.
Ne aveva egli due; l’uno Franceschetto e
l’altro Teodorina si nominava: e
perché amava molto Franceschetto ,
e bramava che di uomo privato, mediante la sua fortuna, divenisse principe,
non veggendo parte alcuna nell’ Italia dove potesse
più agiatamente collocarlo che nel Regno , avendone
la predetta occasione, si dispose a trarne Ferdinando , e
ponervi persona che riconoscesse il regno da lui, et in compenso arricchisse
il figliuolo di onori e di signorie; mosso a ciò dall’esempio di Pio , che, sotto il medesimo Ferdinando , con
simili arti aveva esaltata in questi paesi la sua famiglia.
XIII. Descrizione del Regno
Conciossiacosaché il Reame , posto
nell’estreme parti dell’ Italia , è in sì
fatta guisa condizionato, che non altronde, dalla via terrestre, che
dall’Ecclesiastico può essere molestato et offeso: i cui fini dal mare di
sotto a quel di sopra aggiungono; però che il rimanente dall’onde del
Tirreno , dell’ Ionio e dell’
Adriatico vien
tutto bagnato; et è formato a simiglianza di penisola. Amico adunque il
pontefice, non temevano i Re di Napoli da
qualunque li volesse assalire; perciò che si faceva con pessime condizioni
dell’assalitore, signoreggiando la Chiesa ampissimo
stato, afforzato dalla riverenza della religione, il quale conviene, per
passare più oltre, sia dagl’invasori del Regno prima
occupato et espugnato: fatta dipoi da’ principi laici lunga prova, che chi
prende guerra contra la Chiesa , non avanza,
fuggono assai il molestarla. Il perché i Viscardi , che ridussero queste regioni in regno e lo
fondarono, per farsi quindi un saldo propugnacolo e dar cagione al papa di
difenderli, se gli furono soggetti et uomini ligi: anzi del loro imperio
alcuna parte gli cedettono.
XIV. Esortazione del cardinale San Pietro in
Vincola al papa
Ma nel tempo appresso, questa vicinanza nocque talvolta ai lor posteri: però
che scordatosi alcun pontefice moderno di quei meriti, e datosi ad
aggrandire i parenti nel Regno più che
altrove, turbandolo et innovandolo ha le sue forze adoperate; siccome
avvenne nel tempo d’ Innocenzio . Alle
cui voglie non erano di piccolo momento i pungenti stimoli del cardinale San Piero in
Vincola , nipote di Sisto Quarto ,
eletto dipoi papa, e detto il secondo Giulio ;
per opera del quale Innocenzio ,
vivente il zio, era stato sempre onorato, e, quello morto, esaltato alla
pontifical dignità. Questi, dotato di animo grande, cupido di gloria,
potente di ricchezze, in prova si contrapponeva alle richieste degli
Aragonesi , o
perché naturalmente odiasse la gente spagnuola, o perché, contendendo co’ Re
stimati poco amici della Chiesa , crescesse
di riputazione nella corte romana: nella quale inclinazione fortemente
ancora l’adduceva il vedere il Cardinale di
Aragona ristretto col cardinale Ascanio Sforza ;
i quali, per essere uno figliuolo di Re e l’altro di
duca, nel pontificato di Sisto s’erano
sdegnati a cedergli, e nel presente d’ Innocenzio
procuravano superarlo. Egli adunque, posto all’orecchie del papa , con sagace e pronta eloquenza in tutti gli accidenti
aggravava gli Aragonesi , con
rimproverar loro l’inobedienza, la crudeltà, l’avarizia; dimostrandogli
finalmente con vive ragioni, non ad altro fine tendere li disegni loro che a
tenerlo travagliato et oppresso: di qui procedere le pratiche coi Colonnesi , gli stipendii con gli Orsini ; per ciò nutrirsi le loro contenzioni; e finalmente,
per tenere in freno il Collegio, con inusitato esempio averci il Re un figliuolo
voluto intraporre: la sede romana non dover essere giammai quieta, né i
pontefici riveriti, insin che il Reame fusse nelle
loro mani, et a qual pontefice appartener più che a lui, il pensare di
liberar la Chiesa dalla presente servitù? esso aver conseguito in tempo
il pontificato che gli Aragonesi erano
odiosi a tutti i principati d’ Italia , odiosissimi
a’ sudditi, esausti di ricchezze e declinati di riputazione.
Questi conforti del Cardinale , s’egli
è lecito nell’antiche et occulte cose il conghietturare, stimo io non
solamente essere terminali con Innocenzio , ma
aver penetrato nel cuore del Principe di
Salerno , et essere stati principal cagione d’indurlo a
novità. Però che, oltre l’autorità et astuzia sua, lo poteva anche il
Cardinale , sotto
il manto del parentado, consigliandolo, irritare; conciossiaché il Prefetto di Roma
, suo fratello, fosse cognato del Principe , avendo
in matrimonio l’altra figliuola del
Duca di Urbino .
Ma non meno che altro, il desiderio della libertà di Genova sua patria,
nella quale il papa et il Cardinale per le loro dignità tenevano il primato,
gli sospigneva a conturbare l’ Italia .
XV. Descrizione della Repubblica di
Genova
La città di Genova , mentre
ella nel mare esercitò sue forze, fu più famosa di tutte l’altre delle
nostre regioni, e distese le braccia sin nell’Oriente con tanta felicità,
che afflisse la potenza de’ Veneziani, e quella de’ Pisani estinse: ma,
rivolte poi in sé stessa le proprie armi, ubidì spontaneamente i signori di
Milano ; e le voglie divise de’ suoi cittadini ferono in
terra serva quella Republica , che
dianzi per la concordia e gran valore de’ medesimi cittadini padrona del
mare era stata. Ma poco innanzi a questi tempi, per la dissensione suscitata
da Ludovico e’
fratelli contra la duchessa Bona , madre di
Giovan Galeazzo ,
ella si aveva liberata dal loro dominio, e con le proprie leggi si reggeva:
ma essendo cresciute oltre modo le parzialità, et aggiuntesi alle discordie
civili le insidie e l’arti di Ludovico , che
non altro fabricavano che reti a sì nobil preda, non durò lungamente la
libertà di quella Republica .
Erano in lega Ferdinando , il
Duca di Milano e’
Fiorentini; dall’altra parte il pontefice e’ Veneziani si ristrignevano: le
cui volontà Genova seguiva;
sicché era spediente ad Innocenzio et a
San Piero in
Vincola , per fermare ancora la loro Republica et ovviare a’ pensieri di Ludovico ,
indebolire li suoi collegati, e porre nel Regno un Re da
essi dipendente.
Fatti adunque il Principe di
Salerno et il Conte di Sarno
con questa speranza d’ Innocenzio capi,
e gli altri Baroni insospettiti per la divolgata fama, quasi tutti si
ritirarono ne’ loro stati, et incominciarono a chiedersi consiglio di ciò
che si aveva a fare per la difesa: nel che più caldo e diligente di tutti fu
il Conte di Sarno ,
il quale avendo lo stato presso Salerno a quindici
miglia, tutto dì per lettere e per messi eccitava il Principe a
vegghiare, et a fare quelle provvisioni che la comune rovina richiedeva. Per
le cui esortazioni il Principe operò
che in que’ dì si menasse dalla Padula a
Melfi la figliuola del Conte di Capaccio
Sanseverino , la quale i mesi adietro Giovanni
Caracciolo duca di Melfi aveva data per donna a Traiano suo
figliuolo. E non solamente lo fe’ per istrignere col parentado quel signore
a seguire la sua fortuna, ma come che dovendosi fare pompose nozze, gli
altri Baroni, parenti et amici, senza altrui sospetto, avessero luogo e
comodità di congregarsi insieme.
XVI. Nomi de’ congiurati
I nomi di quelli che vi vennero o che poi seguirono la loro autorità, et a
nostra notizia sono pervenuti, furono questi: Pirro del Balzo gran
contestabile e principe di Altamura , Antonello Sanseverino
principe di Salerno et ammiraglio , Girolamo Sanseverino gran
camerlingo e principe di Bisignano , Piero di Guevara gran
siniscalco e marchese del Vasto , Giovanni della Rovere,
prefetto di Roma e duca di Sora , Andrea Matteo Acquaviva
principe di Teramo e marchese di Bitonto , Giovanni
Caracciolo duca di Melfi , Angliberto del Balzo, duca
di Nardò e conte di Ogento , don Antonio Centelle
marchese di Cotrone , Giovan Paolo del Balzo conte
di Nola , Pietro Bernardino
Gaetano conte di Morcone , Barnaba conte di
Lauria , Carlo conte di Melito , Giovanna contessa di
Sanseverino , il Conte di Tursi , e
Guglielmo conte
di Capaccio , tutti Sanseverini. Tra’ Baroni senza titolo
furono questi: Giovan Francesco
Orsino , Bernardino
Sanseverino , Guglielmo
del Balzo , Giovan Antonio
Acquaviva , Gismondo
Sanseverino , Simone
Gaetano , Ramondo
e Berlinghieri
Caldora , Traiano
Pappacoda , Salvatore
Zurlo , Col’Agnolo
d’Aiello , Amelio di
Senerchia ; la maggior parte de’ quali, oltre questo nuovo
sospetto, per altri particolari interessi, dal Re e dal
Duca di Calavria
alienati, a Melfi disputarono
le condizioni de’ tempi in che avevano da sperare et in che temere; e le
loro forze con quelle del Duca di Calavria
contrapesarono.
XVII. Parole del Gran Siniscalco
E, tra gli altri, il Gran Siniscalco
ebbe lungo parlamento dell’animo vasto del Duca : e come,
aspirando questi all’imperio di tutta l’ Italia , né
dilettandosi di altro che di stare sull’armi, conveniva loro o dargli infino
agli alimenti della vita, che con fatica erano loro rimasi, o sotto altri
colori a torto sostenere esigli, prigionie e morti: e che gli pareva
sciocchezza fuor di misura (s’egli è vero che l’accrescimento delle dignità
aggiunga altrui audacia), ch’essi lo volessero attendere Re , nol potendo
tolerare il duca :
maggiormente che per quel fatto non potevano essere macchiati di nota alcuna
di ribellione; armandosi a difesa, dalla natura conceduta a qualunque
animale; col consenso poi del sommo pontefice, supremo principe tra’
cristiani, e del Regno diretto
padrone. Pure gli altri Baroni stavano fortemente, e dalle percosse delle
ribellioni passate e dalle qualità de’ tempi, sospesi, e dal congiurare
rimossi; et innanzi alle più notabili cose di cui loro calesse, era il
vedere tutti gli stati italiani, stanchi dalla guerra ferrarese, aver posate
con grandissimo piacere le armi: appresso, che il papa , pet esser nuovo nello stato, et avendo ritrovata per
le spese di Sisto povera la
Chiesa , non avrebbe potuto porre molte forze in loro aiuto:
né meno potevano nel Secretario e nel
Conte di Sarno
confidare intieramente, essendo uomini interessati col Re , con esso
loro non obligati. E finalmente discorrevano, che non contenti del presente
dominio, sarebbono forzati gittarsi in grembo de’ Francesi; i quali per
compagni giudicavano lenti, discosti e sospetti; e per padroni, più che gli
Aragonesi ,
insolenti e rapaci. Per le quali cagioni per allora non conchiusero altro,
eccetto che il Principe di
Bisignano ne andasse a Napoli , e dal
Secretario ,
Conte di Sarno ,
Carinola , Policastro et
altri intimi del Re , procurasse
intendere la verità della fama; e che scoprisse di che animo sarebbono
coloro, venendosi all’armi.
XVIII. Lodi della Contessa di
Sanseverino
Il Principe , giunto
a Napoli , per avere più agio di parlare occultamente e dare
alle genti occasione onesta di visitarlo, si finse infermo; e ristrettosi
col Conte di Sarno ,
trovò (per quanto egli diceva) che le loro cose erano disperate, e fuori che
lo armarsi et unirsi, di ogni altro rimedio ignude. Il che volendo Bisignano
anche trarre di bocca del Secretario , non
gli fu mai possibile: anzi, un giorno rammaricandosi i Conte , e contra
il Duca di Calavria
al modo usato bravando, il Principe ,
rivolto al Secretario
ch’era quivi, gli dimandò quel ch’esso ne dicesse, et e’ col solo strignersi
nelle spalle mostrò, come il Conte , averne
temenza. Onde che Bisignano ,
compreso bene il tatto, ne venne alla terra di Diano ; ove
convennero il Principe di
Salerno , il Conte di Tursi ,
quel di Lauria e la Contessa di
Sanseverino , donna sopra ogni credenza prudente e virile: la
quale assai tempo sopravivuta al marito, fresca e bella, gli appetiti
feminili con sì fatti pensieri vinse e debellò; come appo il Pontano , grave e
veritiero istorico, in altra guerra distesamente si legge.
Questi, adunque, dal Principe udito
quanto aveva a Napoli ritrovato,
si disposero, checché ne seguisse, congiugnersi infra di loro, e col
papa collegarsi:
e ‘l simigliante a tutto il restante de’ Baroni per lettere e messaggieri
significarono e persuaderono. Ma riguardando il Conte di Sarno ,
che contuttociò il Principe di
Salerno procedeva lentamente e con minor ordine di quello che
richiedeva l’importanza dell’impresa; dubitando ancora, che dalla cautela
del Secretario non
gli fosse caduta nell’animo qualche sinistra sospizione, per confermarlo, lo
chiamò a parlamento. Et acciocché dal Re , risapendolo,
non fosse creduto, il Conte , il
giorno prima che andasse ad abboccarsi seco, convitò per il di seguente di
molti suoi cortigiani; come che giammai nell’animo altrui cader potesse, che
la notte in mezzo egli tanto camminasse, o sì pericolosi affari avesse
maneggiati: sicché, in sul far della sera, ad un suo podere, poco lungi
dalle porte di Napoli , finse
andarne a dormire; ma, senza restare, fra San Giorgio e Madre Domini, in
luogo assai solingo, attese il Principe . Al
quale venuto, non poté il Conte per la
brevità del tempo aprire tutti i suoi disegni, e rimedi che doveano usare
contra la violenza del Duca di Calavria
: ben gli disse che andrebbe dal Re , et avrebbe
cerco, per quella maniera che miglior gli paresse, di ottenere licenza di
esser seco in Salerno medesimo,
ove con più agio potrebbono favellare e fermare gli ordini di far la guerra.
Contentossi il Principe ; e
così amendue in quel punto adietro sì rivolsero.
Ma il Conte , portato
dalla voglia ch’avea di ottenere la licenza, e dal voler pur tòrre ogni
sospetto che quella stessa notte avesse avuto ragionamento col Principe di
Salerno , a dirittura inviatosi alla volta di Napoli , al Re assai per
tempo s’appresentò; col quale ad arte mosse certi ragionamenti, ove venne a
far menzione del Principe : al cui
nome il Re riscossosi,
cominciò di luì a dolersi, et a rimproverargli l’ingratitudine che senza
cagione gli usava. Onde che il Conte , senza
perder tempo, gli rispose, che, se piacesse a Sua Maestà , a
lui dava il cuore di scoprire l’indignazione di quello, e per avventura alla
debita ubidienza farlo ritornare; perché, in modo ch’andasse cacciando sul
paese di Salerno , egli l’andrebbe a visitare. Il Re , che ardeva
di desiderio che quei sospetti de’ Baroni finalmente non partorissero alcuna
nugola o vento che potesse perturbare la tranquillità del suo stato, et in
aver quietato il Principe gliene
pareva esser sicuro; gl’impose che, come aveva detto, eseguisse, e che,
almeno in quanto per lui si potesse, esplorasse gli andamenti suoi.
XIX. Parlamento del Conte di Sarno
al Principe di
Salerno
Lieto il Conte dell’avuta
licenza, non indugiò molto a conferirsi a Salerno : ove
ricevuto con festa dal Principe ,
narratogli il modo che per venire avea tenuto, e’ si rinchiuse seco in luogo
secreto della casa; e con gravi e veementi parole gli mostrò la necessità
dove l’insaziabile avarizia del Duca di Calavria
aveva lor condotti, e la certezza del pericolo; e che, per volerlo fuggire,
non v’era più mezzo alcuno fuor che cedergli, o superarlo. Proposegli,
quanta vergogna egli farebbe al grado che teneva et alla nobiltà del suo
sangue, perdendo vilmente quelli stati che con tant’onore i suoi maggiori
avevano conquistato; e come a lui conveniva più tosto nell’armi morir
Principe , che,
per desiderio di vita, in pace mendicare. Apersegli la mala contentezza de’
popoli e de’ signori del Regno ; il
desiderio grande ch’era ne’ potentati italiani della rovina del Duca ,
massimamente nel papa e ne’
Veneziani: quanto poco poteva confidare ne’ suoi confederati; Firenze non avendo ancor salde le piaghe della sua
persecuzione, e Ludovico
governator del genero Duca di Milano ,
essendogli odiosissimo per la pace fatta, e per la voglia ch’aveva di
occupar quello stato. Affermogli anche, egli aver canute le tempie ne’
servigi del padre e del figliuolo, ma non avergli mai giudicati sì facili ad
opprimere come allora; e che, quando venisser meno tutti gli altri sussidii,
esso Principe solo,
armato del suo valore e della grazia che si avea guadagnato co’ Regnicoli,
esser bastante a superargli. Et entrati in ragionamento del Secretario , gli
affermò efficacemente che viveva in tanto timore, se ben mostrava alcun
rispetto, che alla partita di Bernardo
Villamari se n’era voluto fuggire in Ispagna , senza
curare degli stati, di moglie o de’ figliuoli; ma che egli, propostagli
questa impresa, l’aveva trattenuto.
XX. Appuntamenti presi dai congiurati
Il Principe ,
udendo ragionare il Conte sì
caldamente, credette per fermo che procedesse fedelmente nel maneggio, di
che prima era stato assai dubbioso. Esaminò adunque seco un pezzo i modi che
dovevano tenere a far riuscire l’impresa; e per allora conchiusero, che con
quella maggior simulazione che si potesse, e con tutte l’arti possibili, si
dovesse il Re e ’l Duca di Calavria
addormentare, infin che disponessino il papa a fare la
guerra: dal quale n’andasse messer Bentivoglio Bentivogli , uomo del Principe , e
facendosi introdurre da San Piero in
Vincola , con ogni termine umane e compassionevole la lor
giusta causa gli raccontasse; e scopertagli la moltitudine de’ congiurati,
con mano gli facesse toccare l’agevolezza che avrebbe di conquistare il
Regno ,
massimamente consentendo il papa che il
Conte sulle
riviere romane ragunasse armata; la quale prendendo porto in Ischia , Procida e
Capri , isole vicine a Napoli e che il
suo golfo chiudono, quella città delle comodità del mare ispogliasse.
Deliberarono eziandio che, condescendendo il Sisto IV, papa = papa alle loro volontà, il Conte di Sarno e
’l Secretario
sovvenissero i Baroni di cento mila ducati per far la guerra; i quali,
quella finita, lor fussero restituiti fedelmente: e che di più il Conte munisse
bene Sarno, et il Secretario ,
Carinola ; perciò che con essi e la terra di Sanseverino e La
Cerra , luogo del Principe di
Altamura , intendevano assediare Napoli , scorrere
Terra di Lavoro
Lavoro, et impedire al Re tutti quelli
aiuti che dall’altre parti del Regno gli
potessero venire: per premio de’ quali servigi e per malleveria loro, il
Conte di Sarno ,
dopo l’essere sconfitto il Re , conseguisse
il contado di Nola , Ischia con la Lumiera
, e Castello a Mare ;
et isposasse la figliuola nel figliuolo del Principe di
Bisignano , con dote di trenta mila ducati, allora stimata
grandissima: e ’l Secretario , per
il Conte di
Policastro ottenesse la figliuola del Conte di Lauria .
XXI. Descrizione di Terra di Lavoro
Il luogo mi ammonisce, acciocché questi disegni de’ congiurati sommamente
appariscano, e ché s’abbia riguardo in quanti pericoli avrebbono messo il
Re e ’l Duca, se
il loro operare fusse stato corrispondente a’ pensieri, che con la maggior
brevità che si puote, dichiari il sito di Terra di Lavoro
: e gli darò i termini antichi, poiché i moderni datigli da’ nostri Re
l’hanno alquanto ristretta. Quella veramente è la vecchia Campania , oggi Terra di Lavoro
, che ha dall’oriente il Silare ,
dall’occaso il Garigliano (già
Liris addimandato), dal settentrione l’ Appennino , e dal
meriggio il mare Tirreno .
Quel tanto che si distende fra queste circostanze, è sopra tutti gli altri
paesi del mondo di fertilità e di bontà e di qualunque altra cosa che può
dilettare o giovare il genere umano, ricco e dovizioso: e se i costumi degli
uomini alle doti preziosissime della terra fossero uguali, non solo felice,
come la dissero alcuni, ma sarebbe da domandare beata e fortunatissima. E
manifestamente appare, la potenza d’Iddio aver con l’amaritudine del male
volato temperare la soverchia dolcezza del bene: poscia che alla fertilità
dei terreni, alla comodità del mare, al temperamento dell’aria, ha opposto
l’altiera natura della maggior parte de’ paesani; quantunque il più delle
volte ella venga in essi da acuto ingegno e da singular valore accompagnata.
La lunghezza di lei di poco non aggiugne a cento miglia; e la larghezza a
trenta. Fu di già da’ Sanniti abitata, da’ Camani e da’ Picentini. È
irrigata da quattro fiumi principali, Garigliano ,
Volturno , Sarno e
Sele ; i quali, come sono intra di loro poco men che di
uguale distanza, così di ogni tempo ne’ più de’ luoghi non si possono
guadare: nel cui mezzo in sul mare è fondata la città di Napoli , già colonia de’ Greci, et ora sedia e donna del
Reame . Ella è
posta alle radici di piccioli colli che in guisa di arco la circondano; ha
dirimpetto il golfo Cratera , così
dagli antichi nominato, però che Miseno , et il
promontorio di Minerva, ora
detto di Campanella , con l’ isola di Capri ,
lo cingono in forma di tazza: e tazza di argento degnamente sì può
domandare, poiché la purità e tranquillità di quell’acqua sembra a’
riguardanti un vivo argento.
Ha Napoli da levante campi che per lunghezza aggiungono ai
piani Acerrani ,
e per ampiezza corrono alle falde del Vesevo . Il
monte Vesevo , al presente detto di Somma , se ne venne in maggior parte fuori delle viscere
della terra ne’ tempi di Tito imperadore ,
con ispavento universale di tutti i Campani e rovina de’ suoi più vicini; e
come che sdegni gli altri monti, siede solo; è non contento di un vertice,
nella sommità fendendosi ne fa due; e come sopra ogni altro monte, per la
bontà de’ vini greci, è nobile e famoso, così dalla qualità di quelli si
diparte: conciossiaché essi di terra e di sassi furono formati dalla maestra
natura per ornamento del mondo; et egli di pomici e di ceneri, per diletto
degli uomini, sali a tant’altezza. Questo paese adunque s’erano persuasi i
congiurati, con le sopradette quattro terre, in quei tempi stimate forti, di
poter occupare e travagliare, et impedire al Re qualunque
aiuto gli potesse venire dal rimanente del Regno . Et era
loro agevole; perché Carinola rendea
infesto quanto è tra il Garigliano e ’l
Volturno , e rompeva le strade degli Abruzzi : La Cerra
con Sarno , così nominato dal fiume, molestavano ciò ch’era tra
il Volturno e Sarno , e
sopratenevano quei che ne venivano dalla Puglia :
Sanseverino con
Salerno , che correa infino al Sele ,
offendeano il resto di Campania , con le
vie di Calavria e di Basilicata . Et
avvegnaché, mediante i loro luoghi, potessino i Baroni tumultuare
medesimamente in tutti gli altri lati del Regno , erano
nondimeno desiderosi, attorno Napoli et in
Terra di Lavoro
più che altrove, accendere la guerra e mantenere; per essersi lungamente
sperimentato che, sbrigata quella città e paese dalle molestie dell’armi, i
Re perdono l’altre provincie del Regno con gran
difficultà, e con poca le ricuperano. E pare sia di ragione: perché,
attaccato a noi il capo et illese, leggiermente si conservano le membra; ma
tronco quello, elleno inutilmente ci rimangono.
Fermati adunque intra di loro questi accordi, il Conte
accomiatatosi dal Principe ritornò
dal Re , e gli disse:
Salerno esser crucciato per maligne relazioni avute della
mala volontà di Sua Maestà verso
lui, rapportategli da uomini vaghi di vedere lei travagliata et il Principe
distrutto; ma che egli in modo l’avea addolcito e mitigato, che sperava di
non esser più che un’altra fiata seco, e poterlo condurre a’ piedi suoi. Le
quali finzioni e velamenti d’animo e di parole meco stesso considerando,
savissima reputo e verissima la sentenza che c’insegna, li costumi de’
soggetti andar sempre dietro all’usanze de’ dominatori. Però che Ferdinando ,
simulatore e dissimulatore peritissimo, aveva in modo pregni gli animi de’
sudditi e de’ ministri delle sue stesse arti, ch’egli, lor maestro, molte
fiate non se ne poté guardare: e per allora diede piena fede alle parole del
Conte ; ma non
molto dopo, avendo risaputo che prima di notte egli era stato col Principe ,
cominciò a sospettare della frode; e divenuto più sollecito in riguardare
l’azioni de’ Baroni sospetti, presenti la partita di messer Bentivoglio , che per mare da
Salerno si trasferiva a Roma ; et impose a
Franzi Pastore, di una sua galea capitano, a girgli incontro et a procurare
con ogni diligenza di averle nelle mani. La qual cosa dal Conte di Sarno
udita, temendo che, imprigionato colui, si appalesassino i suoi secreti,
prese incontanente al suo crollante stato pronto et astuto consiglio.
XXII. Partita del Conte di Sarno
da Napoli
Nel seno Baiano , ove già gli antichi imperadori a difesa del
mare Tirreno tenevano armata, soggiornavano alcune navi del
Conte , sotto al
governo di Antonio Coppola , le
quali la nipote del Re , figliuola
del Duca di Melfi ,
avevano a levare, che al signore di
Piombino ne andava a marito. Disse adunque il Conte , alle
genti di quei legni voler dare il soldo; e si condusse di sopra la maggior
nave delta********************** Capello, con le sue più preziose cose che
serbava alla casa di Napoli ; e spedì a
Gaeta
Paolo Amarania, a spiare la
presura del Bentivoglio ;
et a Napoli , ad Andrea
Gattola ordinò che senza indugiare li figliuoli menasse nel
castello di Sarno : ma
certificato dal fratello, il Bentivoglio non essere stato raggiunto, senza aspettar l’
Amaranta, a Napoli ritornò. Nello stesso tempo che parti il Conte di Sarno ,
egli ragguagliò il Conte di Carinola del pericolo in cui le loro cose erano
condotte, e come se ne giva; et il somigliante a lui persuadeva.
XXIII. Qualità del Conte di Carinola
Fu il Conte di
Carinola, oltra il prenarrato sospetto, per lievi cagioni
grande concitatore della presente congiura; essendo manifesto, l’altissima
prudenza del Marchese di Bitonto essere stata delusa et ingannata dagli avvisi suoi, e
dal fiero proponimento ch’esso affermava esser nel Duca di Calavria
di volerlo estinguere cel resto de’ Baroni principali, né più né meno operò
col Conte di
Morcone, col Grande
Siniscalco . Tentò anche insospettir gli Orsini suoi parenti; e, come diremo, consigliò che
s’imprigionasse il Re ; e ’l
Principe di
Salerno confermò a rifiutare la pace. Erasi egli inimicato
col Re, per avergli
proibito di trarre ne’ suoi poderi di Carinola un rio
di acqua, a lui di molto frutto, come che il cacciare alle fiere impedisse,
di che Ferdinando oltre
modo si dilettò. Nondimeno dimostrava il Conte di essere
indegno figliuolo del Secretario, et
in certo modo da lui odiato; sì perché sentiva alle volte dello scemo, come
perché de’ padroni favellava oltre al convenevole: di che il padre spesse
fiate con gli amici si rammaricò, et agramente ne riprese il figliuolo. Con
costui Sarno più che
col padre comunicava i suoi disegni. Oltre che il Secretario
l’aveva risoluto di non voler partire un punto dal servigio del padrone, se
prima il papa e’ Baroni
con qualche gagliardo progresso non avessino spiegate le bandiere: e in
questo mentre modestissimamente la sua passione e ‘l timore nell’animo
celava.
Udito adunque da Carinola il partire del Conte di Sarno,
morso dalla medesima conscienza, prese anche egli certe sue robe, e montò
sopra di un’altra nave ch’era in porto, dello stesso Conte, et
alquanto innanzi si sospinse. Ma dal Conte di Sarno
rincontrato, insieme a Napoli
ritornarono; stimando coll’accelerare la ritornata preoccupare la fama della
partita: in tanto il debito conoscimento era lor tolto, o dall’odio che
portavano a’ padroni, o dal dispregio in che gli avevano, che speravano di
non poter pervenire alle orecchie loro una partenza repentina di due
personaggi di tanta qualità, et in tempi così sospetti: ma, o che nol
risapessino, o che il dissimulassino, basta che per allora non se ne fe’
parola. Ma scoperti dal Re e dal
figliuolo i machinamenti del Principe e del
papa, si volsero
a munire le frontiere ch’erano a’ confini della Chiesa ; e sopra
ogni altra cosa, il Duca di Calavria
si volse assicurare de L'Aquila .
Ma prima che di Napoli uscisse,
volle anche tentare se con amico dimostramento potesse indurre il Principe di
Salerno a sperare bene di lui: et avendo in que’ dì la
Principessa sua
moglie partorito un fanciullo, il Duca gli fe’ noto
che si rallegrava del parto, e che, piacendogli, egli il verrebbe a tenere a
battesimo. Questa proposta travagliò forte il Principe : però
che, non acconsentendo che vi venisse, ingiuriosamente se gli scopriva
nimico; e permettendolo, temeva che non per onorario ma per interrompere i
suoi disegni volesse intervenirvi: perché egli, presa l’occasione da questo
battesimo, avea convitato di molti parenti et amici, co’ quali disegnava,
più che altro, i modi dell’impresa consultare. Pare, sapendo il Duca di Calavria
dover ire negli Abruzzi, pensò
con maggior astuzia superare un uomo astuto, e si dispose ad indugiar tanto
la festa che fosse costretto a dipartirsi. Risposegli, adunque, ch’egli li
rendeva grazie dell’onore che immeritamente gli facea, e che, come fossero
giunti gli altri signori che aspettava, gliel’avrebbe fatto sapere: i quali
fur fatti tanto tardare, che il Duca, come si è
detto, si pose in via.
XXIV. Parole del Conte di Sarno
al Principe di
Salerno
Dicesi che, quando il Conte di Sarno
seppe il Duca di Calavria
voler venire a Salerno, una
notte da Sarno tutto solo al Principe ne
venne, e trovatolo dormente, postosegli alla sponda del letto, così
gl’incominciò a dire: «Se non mi avesser desto l’anime del Duca di Sessa,
di Iacopo e
Francesco
Piccinini, di Antonio Caldora
, con altri senza numero che il Re e il buon
Duca nostro sotto
colore di amicizia, di parentela e di religione han fatto morire, non avrei
presa la noia del cammino, né a te con lo svegliarti ora ne darei. Ma le
misere anime di costoro, in sul buono ch’io riposava, m’apparvero, e m’han
pregato che ti raccordi che, facendosi il Duca, per
ingannarti, tuo prigione, vogli lor vendicare, e liberare il mondo di sì
perfido uomo. Nel che mi ti proferisco per adiutore e per compagno; pur che
facciamo una fiata provare a lui giustamente quei tormenti che egli tante
volte altrui con ogni ingiustizia ha fatto sentire».
Sorrise il Principe alle
parole del Conte, e
risposegli che i misfatti del Re o del
Duca non doveano
far malvagio lui; e che disconvenivasi, in altro che nelle virtù, imitarli:
ma, contuttociò, esso vi voleva far pensiero, e parimente facesse egli; non
essendo fuor di ragione che le cose che altrui sognando vengono in animo,
desto si considerino. Vogliono, la Principessa che
giacea a lato al Principe, donna
onorevole e religiosa, avere il marito rimosso da quel trattato: e ’l
Principe anche,
uomo di animo altiero, dové pensare, il vincere dover essere più glorioso
con l’armi che con l’inganno. Ma fu il male che non volse adoperare la
fraude, né seppe usar le forze. Si vide pure, che per poco mancò non si
verificasse nel Duca di Calavria
quello che si: costuma di dire, i mali consigli solere spesse fiate
rivolgersi nel capo di chi gli trova.
Ma mentre con tanta simulazione queste cose passavano nel Regno, messer Bentivoglio maneggiava in Roma col papa la lega: la quale da alcuna difficoltà era sopratenuta.
Perché i Baroni chiedeano che il papa si obligasse
a mandare loro il Duca di Lòreno
con esercito; affermando, se la guerra non si facesse nel cuore del Regno, il Re colle rendite
sue e forze de’ collegati potere agevolmente a’ confini del Reame e ’n sul paese di Roma far punta
all’armi ecclesiastiche: oltre che molti popoli e Baroni che dimoravano
dubiosi, veggendo in casa loro l’armi papali et angioine, di leggieri contra
il Re si sarebbero
scoperti. A che Innocenzio
rispondeva, che la guerra si dovea fare ove fosse il Duca di Calavria
, né prima entrar nel Regno che rotto
lui: il quale avendo seco gli Orsini, non si
avea a credere che dovesse far testa altrove che in sullo stato di coloro,
né giudicar per sé sicuro partito il dilungare il suo esercito da Roma,
per rimanere a discrezione degli Orsini e
Colonnesi, che
erano sull’armi, et amendue avevano col nemico intelligenza.
XXV. Cagioni della guerra de’ Colonnesi e degli
Orsini
Guerreggiavano allora queste due fazioni per lo possesso del contado di
Tagliacozzo ; ch’è un paese di parecchie castella dentro i
termini del Regno che guardano
l’ Abruzzi, ma tanto presso a’ confini della Chiesa
, ch’egli è quasi contiguo agli stati de’ Colonnesi e degli
Orsini . E
perciò fu ne’ tempi adietro da’ Re di Napoli
proposto per esca e premio a qualunque delle due fazioni seguisse le loro
armi; di cui, per frenare la potenza de’ papi, volentieri si servivano.
Questo contado, nel tempo che il Duca di Calavria
prese guerra con Sisto, era
posseduto da Virginio Orsino
; il quale, volendosi mostrare religioso e della patria amorevole, lasciò in
quell’impresa il soldo del Duca di Calavria
, e, come narrammo, difese Roma : sicché i
Colonnesi,
accostatisi al Duca,
l’ottennero. Segui poi tra Sisto e Ferdinando la
pace; e nelle convenzioni fu capitolato che a Virginio fossero restituiti tatti gli stati e le dignità che
innanzi la guerra riteneva: per virtù delle quali Virginio raddomandò a’ Colonnesi
Tagliacozzo, et eglino glielo negarono; allegando, tra le
altre ragioni, il Re averglielo
dato per li loro servigi, né senza ricompensa potergliene ritorre: di
maniera che dalle parole e dalle dispute vennero, sotto di Sisto più fiate, e nella vacanza d’ Innocenzio, a’ fatti et all’armi. Et il Re, per tener
inferme le forze del papa ,
promettendo all’uno, et all’altro concedendo, nudriva quest’incendio; et
aveva intra di loro acceso tant’odio, che in ogni minimo accidente
procuravano offendersi.
XXVI. Lega fatta tra i Baroni e il papa
Per lo qual sospetto, pareva che con giusta cagione si movesse Innocenzio in non volere, spogliandosi dell’armi sue,
perdere in Roma per acquistare nel Regno . Pure, alla
fine, risolvendo il Cardinal San Piero in
Vincola con lo acume del suo ingegno lutti i dubii, la lega
con questi patti si conchiuse: che i Baroni dovessero tutti sottoscrivere
una scritta contenente ch’essi supplicavano il papa a prendere la loro protezione (la qual domanda
Innocenzio voleva
che apparisse non solamente per pegno della lor fede, ma eziandio perché i
principi cristiani intendessero, per l’altrui difesa e non per il proprio
interesse farsi la presente guerra): che promettessin anche non
iscompagnarsi da lui, insino a guerra finita: che dovessino mandare in
Roma un di loro, il quale per tutta la guerra vi dimorasse:
e che con esercito quanto poteano maggiore i luoghi reali travagliassero.
Dalla parte sua il papa si obligava,
per tenere uniti i Baroni e dar riputazione all’impresa, mandare nella città
di Benevento un suo legato, assolverli dall’omaggio, far la
guerra sotto Roberto
Sanseverino , allora generale de’ Veneziani e primo capitano
d’ Italia , operare con gli Orsini che si
stessero di mezzo, inviar quanta più gente poteva nel Reame : trarvi il Duca di Loreno ,
e di esso coronarlo.
XXVII. La pretensione del Duca di Lorena
sopra il Regno
Ma prima che fra gli avvenimenti di questa congiura mi conduca più adentro,
egli è convenevole et opportuna cosa rammemorare ciò che il prefato
Duca di Loreno
avesse a fare nel Regno ; sì per
essersi commossa questa guerra con la speranza della venuta sua; come
perché, spente nel Regno le guerre
degli Angioini ,
sotto nome e con le persone di questi di Loreno alcuna se
ne maneggiò. Nel qual discorso apparirà ancora qualche scusa all’ambizione
di questo papa , avendola
quasi per eredità di alcuni suoi predecessori.
Dico adunque, la casa di Angiò ,
donde questa di Loreno discende,
essere stata posta nel regno da Urbano quarto ,
per trarne gli Svevi, da’ quali i romani pontefici avevano sostenute più
gravi e più spesse battiture che da alcun’altra nazione. Era salita al regno
la reina Giovanna prima di
Angiò , et al pontificato Urbano sesto ,
napolitano, sedeva; il quale, presa l’occasione che Giovanna avesse favoreggiato Clemente antipapa , e fosse di adulterî e di omicidî
macchiata, la cominciò a perseguitare; e del Regno , non avendo
ella figliuoli, investì Carlo terzo, duca di
Durazzo , anche lui della casa d’Angiò ,
e sceso da Carlo secondo, Re di
Napoli ; sperando ch’egli, in riconoscimento del ricevuto
beneficio, dovesse i parenti di ricchezze e di onori ingrandire; la qual
cosa poi non succedendo, fu intra di loro di capitali discordie cagione. Ma
Giovanna ,
vedutasi del regno spogliata, e non volendo servire, né comandare potendo,
ricorse per aiuti in Francia ; e per
avergli pronti e grandi, tolse per figliuolo, e nello stato per successore,
Luigi duca
d’Angiò , di Giovanni Re di
Francia secondo nato.
Fra quelli di Angiò ,
adunque, di Francia e questi di
Durazzo , pel
possesso del Regno , durò la
contenzione anni cinquanta, et infin’ alla reina Giovanna seconda : la quale temendo papa
Martino e Luigi terzo, duca di
Angiò , e confacendosi di nome, di costumi e di figliuoli
alla prima Giovanna ,
per difendersi simigliantemente rifuggì al riparo usato da quella, e adottò
Alfonso di Aragona e della
Sicilia Re : con cui venendo poi in dissensione, annullò
detta figliazione, e riadottò Luigi antedetto.
Amendue costoro, morendo, lasciarono loro successore Rinieri fratello
di Luigi , allora
duca di Loreno e di Barrois: ma Alfonso , per
virtù del suo primiero adottamento, spogliò del regno Rinieri , e
diedelo al presente Ferdinando ; con
cui Giovanni ,
figliuolo di Rinieri , per
quattro anni aspramente lo combatté. Morì poi Giovanni , sopravivente il padre, e né più né meno avvenne
del Duca Nicolasso
suo figliuolo; così di tutto quel ceppo non rimase altro che Violante , figliuola di Rinieri , già
moglie di Federigo conte di
Valdimonte , e madre di questo Duca di Loreno :
il quale, come per il prenarrato si vede, dirittamente succede nelle ragioni
che sul Regno dalla
casa di Angiò
pretendonsi. Ma vera cosa è che Rinieri suo
avolo, morendo, quelle lasciò insieme col contado di Provenza a Carlo di Angiò
suo nipote, nominato di prima il Conte del Maino
. E per quel che me ne creda, egli lo fe’, sì per cagione della legge, che
in Francia chiamasi Salica, che vieta alle donne il succedere
negli stati, come per l’orrevolezza della famiglia; la quale, di quelle
signorie spogliata, sarebbe rimasa da meno, e negletta dall’altre case
reali. Pure Loreno non
solamente non volle acconsentire a cotal lascito, ma incontanente, come cosa
spettante alla sua eredità, la Provenza
assali, ponendo campo a Marsilia .
Nondimeno ella fu dal Conte del Maino
, mediante le forze di Luigi undecimo ,Re
della Francia , poderosamente difesa: sicché, poco da poi,
mancando il Conte senza
figliuoli, per la nimistà dell’uno e benefizio dell’altro, dichiarò suo
erede Luigi predetto
della corona di Francia .
Ma i principi italiani, e ‘l papa
massimamente, che volevano emolo a’ Re di Napoli, che
ad ogni loro piacimento lo potessino muovere, e, mosso, far ritornare, non
isterono quieti al testamento del Conte ; anzi, a
questo Duca di Loreno
rivoltarono tutta la lor riputazione. Onde che il Re Ferrante , per
isturbare questi disegni, e porre loro alcun freno, si collegò col duca
Carlo di Borgogna
, di Loreno nimico:
col quale venne in tanta confidenza, che da lai ne mandò don Federigo di Aragona suo secondo nato; e sperò che il
Borgognone
accompagnasse seco l’unica sua figliuola, che poi con tutto il Regno fu nella Casa d’Austria
collocata. Ma Loreno , ucciso
il predetto Duca di Borgogna
, con l’aiuto de’ Svizzeri, e del trattato di Cola Monforte, conte di
Campobasso e fuoruscito del Regno , si
guadagnò fra gli uomini nome di valorosissimo capitano; e perciò, come
dicemmo, fu condotto da’ Veneziani nella guerra Ferrarese, et al Duca di Calavria
opposto: ove, o per difetto de’ compagni o per diffalta sua, perdé in
Italia buona parte di quella riputazione che nell’
Alemagna s’era conquistata. D’allora in poi, tre volte
questi di Loreno poco
avventuratamente sono stati da’ papi tratti all’acquisto del Reame : la prima è questa che noi descriviamo; nella quale,
come si narrerà, il duca Rinato non
ci venne; l’altra fu nel tempo di Clemente settimo ,
che ci condusse monsignor di
Valdimonte , che con Lotrecco
all’assedio di Napoli si morì;
l’ultima è stata questa di Paolo quarto ,
che ci fe’ calare Monsignor di
Ghisa , benché capitano del Re di Francia ;
il quale, per avanzare l’avolo, ci venne; e per superare il zio, senza molto
tentar la fortuna della guerra, tornossene salvo.
XXVIII. Descrizione de L'Aquila
Ma tempo è che la narrazione nostra ritorni all’intralasciata lega d’
Innocenzio ,
ond’ella si partì: della quale il Duca di Calavria
per varii indizii fatto avveduto, e pensandosi che, come l’altre guerre
l’avevano impoverito, così questa lo dovesse arricchire, si studiò andare in
Abruzzi a Civita di Chieti
, ove tutti i Baroni e comunità di quelle contrade avea convocate, in
apparenza per volere aumentare le gabelle del sale, per riparare le grandi
spese fatte nelle guerre adietro; ma nel vero per far prigione il Conte di
Montorio , aquilano, e (come di sopra si disse) per
assicurarsi de L'Aquila .
È L'Aquila , città degli Abruzzi , fra
altissimi monti posta, e dalle rovine de’ luoghi convicini tanto cresciuta,
che di uomini, di armi e di ricchezze era la prima riputata dopo Napoli ; la quale, situata a costa dello stato della
Chiesa , eziandio governavasi come le terre di quel dominio
in parzialità. Surse in lei la famiglia de’ Camponischi ,
potente tanto, che quasi ne avea preso il principato; e quando i Re di
Napoli volevano dalla città alcuna cosa ottenere, era loro di mestiere
guadagnar prima i Camponischi .
Era perciò L'Aquila meno
dell’altre terre aggravata, e, come republica, nella sua balia si viveva;
perché quelli ch’avean fondato il principato in sulla volontà e benivolenza
del popolo, non sofferivano ch’e’ fosse aspreggiato, temendo non se gli
scemasse l’autorità, e l’amore in odio si convertisse. Questa famiglia
stimavasi Angioina, avendo seguite le parti di Rinieri e del
figliuolo.
XXIX. Presa del Conte di
Montorio
Dopo le quali guerre, il Re , per
assicurarsi della città, et i Camponischi con beneficii obligarsi, donò a
Piero Camponisco
il contado di Montorio; il quale, già stato nella sua famiglia, si era per
le commesse ribellioni perduto. Ma Piero, facendo più stima dell’amore della
patria che dell’onore e della dignità, non acconsenti giammai che il
Re gli Aquilani
gravasse come gli altri sudditi: e perciò infra di loro erano corse molte
doglianze; il Re accusando il Conte d’ingratitudine; et all’incontro
replicando il Conte, che a lui doveva bastare che in tante guerre gli avesse
senza sua spesa conservato in fede L'Aquila .
Nongimeno il Montorio alla
richiesta del Duca di Calavria
, confidatosi nella sua innocenza, non solamente vi andò, ma per più
onorarlo menò seco due figliuoli: i quali, tosto che giunsero alla presenza
di lui, furono col padre sostenuti, e, aggiuntaci anche la madre, a
Napoli mandati. Affermava il Duca, per liberarsi dal carico
di quel bratto fatto, esser tanta la potenza et autorità del Conte presso
que’ popoli, e cotanta l’ostinazione che il Re le sue entrate
non accrescesse, che essendo egli libero e presente, non avrebbe ottenuto
nulla.
XXX. Lamenti degli Aquilani
Ebbe il Duca da coloro che rimasero impauriti et ispaventati dalla presura
del Conte, ciò che volle: il che a L'Aquila risaputo,
sollevò la città, et aggiunse al Montorio amore e parzialità; dicendo
ciascuno, che per difender la loro franchigia egli pativa immeritamente la
presente carcere; e nelle piazze e ne’ cerchi, la plebe e la nobiltà,
concitate da’ parenti et amici del Conte, l’avarizia del Re et il
tradimento: del Duca animosamente accusavano: così, così dicendo agli
Aquilani convenirsi, i quali sollecitati da’ Veneziani, pregati da Sisto , e veduto il Duca rotto e
conquassato, non solo essergli rimasi in fede, ma aver voluto sostenere da’
nimici tutti i danni e tutte le ingiurie, acciò che con l’esempio della
costanza loro gli avessero il rimanente del Regno conservato!
veramente si gran fedeltà non meritar altro guiderdone che intolerabile
servitù, ma se essi somigliassero i loro padri, che avevano voluto prima
morir liberi che viver servi, non rimarrebbono a scacciarla. E vi sarebbe
senza fallo seguita novità, se coloro, ne’ quali confidavano, fossero stati
come il nimico armati. Della qual cosa sospettando il Duca , pensò a
viva forza raffrenarla, avvezzo molto prima di rifiutare tatti gli altri
rimedii a placare le volontà de’ soggetti, come lenti et incerti; sicché vi
pose dentro, sotto Antonio Cicinello e Iacobello Pappacoda , due bande di soldati.
XXXI. Gita degli Aquilani al papa
Questo si debol presidio dentro di sì ampia città non assicurò il Duca , e
L'Aquila sì fieramente sdegnò, che mandarono subito loro
uomini dal papa , e la terra
gli offersero. Perciocché parve loro, il Duca non
solamente volergli privare delle antiche esenzioni, ma anche imprimer loro
timore coll’armi, et uno stato violento esercitare: a che gli sollecitava
ancora agramente l’arcidiacono della terra, uomo fra’ suoi di non piccola
autorità, sperando per questo fatto Innocenzio
dovergliene aver grado, et alle maggiori prelature sublimarlo.
I mandati narrarono al papa le ingiuste
loro miserie, e tutti mesti e pieni di pietà lo supplicarono, che essendo
vicario di Dio, sotto l’ali del giustissimo suo dominio la loro tribulata
patria raccogliesse; dove egli troverebbe fidissima compagnia e certissima
porta all’acquisto del Regno . Non
accadea usare molte ragioni col pontefice; il quale assai bene conosceva di
quanto momento doveva essere questa città alla sua impresa: sicché non
solamente gli accettò, ma persuase loro che ad un certo tempo, prendendo
l’armi, scuotessero dal collo il grave giogo del Re e del
Duca , sicuri di
riavere tantosto dagli amici d’Iddio ciò che da’ nimici era lor tolto.
XXXII. Descrizione del Conte Orso degli
Orsini
Trattanto il Duca di Calavria
, imaginando di avere assette le cose de L'Aquila ,
levatosi di Abruzzi , si
spinse in Terra di Lavoro
: ove, o per studiosamente aggiugnere sospetto ai Baroni, o per parergli,
con aver rotto in un tratto i termini della vergogna, essergli lecita
qualunque disonestà, volle anche del contado di Nola e
del Ducato di Ascoli
impadronirsi, spogliandone i figliuoli del conte Orso degli Orsini , che ne’ suoi di fu eccellentissimo
capitano, e della cui opera il Re e’ Duca utilmente si
valsero nelle lor guerre e pericoli, et alla fine, nel ritornare col
Duca dalla guerra
di Firenze , a Viterbo si mori.
Non si era il conte Orso , per
poter meglio nell’esercizio dell’armi vagare, curato dopo la morte di una
sua moglie, altra toglierne e procrear figliuoli legitimi: di maniera che,
ritrovandosene due naturali, generati con madonna Paola sua
concubina, donna di basso affare ma di alta virtù; innanzi ne gisse a quella
guerra, per: concessione del Re intitolò
Ramondo , il maggior di tempo, Conte di Nola e
della Tripalda , in sé ritenendo la dignità ducale che sopra
Ascoli per
adietro aveva acquistata. A che si aggiunse che Orso , sentita esser venuta l’ultima ora de’ suoi giorni, e
riguardando la fanciullezza de’ figliuoli e la cupidigia de’ padroni, l’una
atta a fare ingiuria e l’altra a riceverla, strettamente pregò il Duca di Calavria
, che con grande umanità lo visitava, a volere, per la memoria dei suoi
preteriti servigi e per li meriti de’ presenti, conservare quei figliuoli
cogli stati.
XXXIII. Presa de’ figliuoli del conte Orso
Promise di farlo il Duca , e per
mostrarsi ricordevole e grato, sino a que’ tempi gli lasciò con la madre
possedere l’eredità: ma essendo allora per le guerre adietro povero, e
perciò rapace, col prendersi li frutti di quelli stati, non si curò posporre
l’onore al comodo: sicché, messosi con le sue genti dentro di Nola ,
corse senza niun contrasto la città, e madonna Paola co’
figliuoli fe’ prigione: la quale gittatasegli lagrimando ginocchione, a mani
giunte, con supplichevoli voci gli raccomandò i meriti del padre, la fede
data e l’innocenza de’ fanciulli; e finalmente lo pregò che, lasciati quelli
liberi, in sé e nel suo corpo, che non gli doveva in si crudi tempi
generare, convertisse tutte le pene e tutti i martirii.
Ma non perciò si poté piegare l’avaro animo del Duca , dalla sete
dell’oro più che lo stesso metallo indurato. Egli è ben vero che, per
quietar gli Orsini , i
quali parea da quell’ingiuria venissero offesi, investi della città di
Nola il conte Nicola da
Pitigliano , i cui progenitori lungamente ne avean tenuto
possesso. Affaticossi ancora di persuadere che que’ giovani non fossero
figliuoli del conte Orso ;
allegando che quando nacquero, era tanto pieno di anni che non gli avrebbe
in alcun modo potuti generare. Il che approvar volendo con irreprobabile
testimonio, procurò fosse confermato dalla madre stessa: la cui miseria
tanto più da ciascuno fu giudicata compassionevole e grande, quanto che
pareva ch’essa medesima a sé togliesse l’onore, et a’ figliuoli un ricco
stato et un valoroso padre.